“Abbiamo preso una decisione davvero storica per il calcio. Ifab e Fifa stanno continuando a discutere del tema e il dibattito non si fermerà oggi“. Tradotto dal burocratese, cui anche il simpatico Gianni Infantino si è dovuto ben presto adeguare: “State calmi perché ci vuole ancora tempo“. Messaggio evidentemente non recepito dai media del Belpaese che, qualche giorno fa, hanno riportato trionfanti: “Via libera alla moviola in campo!” Per la gioia del buon vecchio Aldo Biscardi cui non sarà parso vero di vedersi riconosciute così di botto le battaglie di tutta una vita.
Ma al di là delle facezie di casa nostra e ad uso e consumo dei pochi che si sono presi la briga di leggere tutto quanto accaduto all’assemblea numero 130 dell’International Board senza fermarsi ai titoli, è necessario precisare quanto segue: la Fifa ha dato il via alla SPERIMENTAZIONE della moviola in campo. Il che porta ad alcune conseguenze immediatamente intuibili:
- Come ogni sperimentazione che si rispetti non è detto che possa sfociare in qualcosa di concreto;
- Nel caso, la video-assistenza non entrerebbe in azione prima di 4/5 anni a causa dei fisiologici tempi necessari per testarla;
- Sarà il Board, e non le singole federazioni, a decidere in quali tornei avviare i suddetti test. Difficilmente nei grandi eventi, più probabile nelle serie minori o nelle partite di coppa nazionale;
Ciò detto proviamo ad andare oltre tutto questo puntando al cuore del problema: la moviola in campo serve davvero? Possibile che basti una semplice verifica video per porre fine ai secolari dibattiti dell’italico pallone e alle meravigliose teorie del complotto susseguenti a un fuorigioco di 10 centimetri non visto? Vediamo.
Stando a quanto ci è dato sapere non tutti i casi dubbi potranno essere disciplinati. La scelta, per forza di cose, è ricaduta sugli episodi che possono maggiormente incidere sul corso di una gara: quindi, fuorigioco, espulsione diretta, calci di rigore, con l’esclusione di ammonizioni e punizioni dal limite dell’area. E già qui si potrebbe discutere visto che si verrebbe a creare un vantaggio iniquo alla squadra che, tra le proprie fila, può annoverare un formidabile specialista su calci piazzati. In ogni caso, però, il problema è un altro. Rispetto ad altri sport che da tempo si avvalgono dell’instant replay, il calcio è giocato su uno spazio molto più ampio, con un numero di atleti maggiore e, soprattutto, in situazioni molto più dinamiche. Esempio classico, il fuorigioco: indipendentemente dalla sua sussistenza o meno, al momento della chiamata del guardalinee, i calciatori tendono a fermarsi e a non proseguire l’azione. Cosa accadrebbe se, dopo aver visionato le immagini, l’arbitro di turno decidesse che, invece, l’azione era buona? Fa ridisporre al millimetro i giocatori sul campo nella posizione che avevano prima del fischio errato? E se, ancora, l’attaccante ha proseguito nell’azione segnando, mentre difensori e portiere si sono fermati confidando nell’occhio del guardalinee? Si convalida ugualmente il gol anche se gli avversari potevano opporsi e non l’hanno fatto?
Domande che non trovano risposta nel protocollo diffuso dall’Ifab, che si limita a contemplare la possibilità di fermare il gioco per visionare le immagini se la palla si trova in una zona di campo “non influente” o alla prima interruzione successiva all’azione incriminata: altra idiosincrasia evidente, soprattutto con la velocità d’esecuzione del calcio moderno. Per non parlare dell’opzione “challenge” che consentirebbe agli allenatori di chiedere la verifica video: un autogol clamoroso. Almeno dalle nostre parti, visto che in una normale partita della Serie A, i tecnici passano più tempo a protestare che non a cercare di capire come far rendere al meglio la propria squadra.
Quel che è certo è che le partite saranno più lunghe con conseguente allungamento del recupero. Immaginatevi la scena: classico “grande contro piccola” con la prima in vantaggio di un gol e con la seconda che pareggia nell’extra time concesso a causa del tempo perso per analizzare gli episodi dubbi. Altro che polemiche azzerate: qui si va al raddoppio facile.
Anche perché, comunque, la parola finale spetta ugualmente all’arbitro. Sempre più calato nel significato letterale del termine latino arbiter, ovvero “chi concilia una controversia a suo esclusivo giudizio”. Tradotto: la visione delle immagini non è sinonimo di certezze visto che a decidere è comunque un essere umano basandosi sul proprio personale metro di valutazione. Quindi, quel contatto dubbio in area di rigore potrebbe comunque essere giudicato ininfluente per accordare la massima punizione anche dopo enne replay. Ecco, adesso potete riaprire l’icona Iuliano-Ronaldo: quello che, ai tempi dei miei studi alla facoltà di Giurisprudenza, i professori avrebbero definito come “caso di scuola”. Nel corso degli anni, infatti, l’arbitro Ceccarini, che quelle immagini le avrà viste fino allo sfinimento, ha sempre sostenuto con forza la bontà della sua decisione. Forse anche per una latente incapacità ad ammettere un errore: chi può dirlo. Sta di fatto, però, che ancora oggi lui non fischierebbe calcio di rigore.
Piaccia o non piaccia, quindi, oggi come allora sarà sempre l’uomo a prevalere sulla tecnologia, sarà sempre un arbitro e non un robot a valutare un contatto, un tocco di mano e/o qualunque altra cosa non suscettibile di oggettività. Potrete fargli vedere la stessa azione per ore, giorni, mesi, anni: l’unica parola che conta è la sua e se la sua decisione è una piuttosto che un’altra non sarà certo un replay da un’angolazione diversa a fargli cambiare idea, quanto meno sul momento. Salvo, ovviamente, abbagli o errori di valutazione clamorosi.
Ah, quasi dimenticavo. Oltre all’arbitro chi sarà ammesso alla visione delle immagini a bordo campo? Gli allenatori? I capitani delle due squadre? E, domanda ancor più importante, chi gestirà le riprese per evitare nuove rimostranze alla Galliani? Quesiti legittimi (e che non avranno risposta in tempi brevi) visto che per il “chi controlla i controllori” il passo è breve. Soprattutto in Italia.
Torniamo, perciò, al punto di partenza: la moviola in campo metterebbe davvero la parola fine alle polemiche sugli arbitraggi azzerando il margine d’errore? Si e no. Si per quanto riguarda gol fantasma e fuorigioco (pur con tutte le difficoltà del caso esposte poco più su), in virtù di situazioni oggettive e non interpretabili. No per tutto il resto, trattandosi di decisioni non scindibili da una valutazione personale, soggettiva e umana. E, in quanto tale, suscettibile di errore, con buona pace di fantomatiche classifiche reali o dei cahiers de doléances che, di tanto in tanto, finiscono sulla scrivania del povero Marcello Nicchi da parte di quelle squadre che si ritengono danneggiate. L’impressione che si ricava dalle discussioni delle ultime ore è che niente di tutto questo potrà tornare utile senza un deciso passo in avanti dal punto di vista della mentalità. Perché se continuerà a predominare il Liguori pensiero, quello che dovrebbe essere nelle intenzioni un ausilio alla categoria, finirà inevitabilmente per ritorcersi contro agli sventurati che si troveranno nella posizione di fischiare qualcosa di impopolare grazie a/nonostante le immagini a supporto. E allora via di Juve che paga gli arbitri e di Goal Line Technology non affidabile perché sviluppata da una società collegata agli Agnelli. Nihil novi sub sole.
Ecco perché riterrei, in un’opinione personale che vale quello che vale (cioè poco o nulla), molto più opportuno dare agli arbitri uno spazio settimanale, magari televisivo, in cui spiegare regolamento alla mano i motivi che li hanno spinti a prendere una decisione piuttosto che un’altra in quella particolare situazione, aprendosi magari anche al confronto (civile, s’intende) con tifosi e addetti ai lavori. Sarebbe un primo passo verso una doverosa distensione degli animi e verso una comprensione della difficoltà di uno dei mestieri più ingrati dell’intero panorama sportivo.
Poi, però, dopo questo:
Ti capita di leggere questo:
E allora capisci che il problema non è la presenza o meno della moviola. E’ una questione di cultura sportiva da terzo mondo. E per questo non c’è Ifab che tenga.
Claudio Pellecchia.