L’amore per il bianco e il nero non fa differenze di sesso

Voglio cominciare quest’articolo, fin troppo a lungo rimandato, parafrasando uno dei più famosi incipit della letteratura per esprimere quella io chiamo “la filosofia del maschio alfa”.

 

“È verità universalmente riconosciuta che una donna che guardi una partita di pallone debba necessariamente annoiarsi”.

 

Il maschio alfa non concepisce che l’essere femminile possa amare il pallone, poiché l’essere femminile non è in grado di comprendere le sciabolate morbide, le lunghe corse lungo la fascia, i tacchetti affondati negli stinchi, le bestemmie ed il fuorigioco. L’essere femminile guarda una partita di pallone solo se vi è costretta, ovviamente sbuffando ed alzando gli occhi al cielo, per poi esultare al goal della squadra avversaria, poiché incapace di comprendere la differenza tra le due opponenti. Del resto, le sfumature cromatiche delle maglie calcistiche sono troppo difficili per lei. E se una giovane fanciulla dimostra di saper distinguere le formazioni, di conoscere a memoria gli schemi, di prevedere le mosse dell’allenatore, di imprecare per un errore della sua squadra del cuore, beh, la sua cultura calcistica sarà dovuta ad un sottile ed acuto tentativo di seduzione del maschio alfa (credetemi, signori miei, mi è capitato diverse volte di trovare soggetti che pensavano di essere i prediletti del mio cuore).

Ma oggi è verità sempre più diffusa che una donna che guardi una partita di pallone, lo faccia perché ESSA AMA IL CALCIO!

Questo ribaltamento dell’opinione universale è dovuto al crescere del numero di mie colleghe, JLadies e non, appassionate non solo di quella sublime tortura chiamata gioco del calcio, ma di quei due colori, il bianco ed il nero, che ricoprono una maglia ricca di storia, di successi, di gloria.

La fede bianconera non fa differenze di sesso: ti carpisce il cuore, l’anima e non ti abbandona più. Ti può prendere in qualsiasi momento, che tu stia guardando la partita, ancora bambina, sulle ginocchia di tuo padre o che tu stia guardando il tuo primo amore scivolare in Serie B.

Brucia come una fiamma, divampa quando uno dei ragazzi rende onore alla maglia, quando un Zaza qualsiasi segna quello che può essere il goal più importante della sua carriera finora.

Si riversa sotto forma di lacrime quando in campo si lotta, quando un Mandzukic prende per mano la squadra e scuote via la paura ed il timore causati da un mostro come il Bayern Monaco.

Esce fuori con le urla, con l’esultanza che accompagna quella di un Bonucci che sblocca la partita con i rivali di sempre.

Si mostra sotto forma di sorrisi e di abbracci dopo una vittoria, mentre osservi quegli 11 sconosciuti in televisione, che però tu senti vicini, vicini più che mai, perché loro lo sanno. Lo sanno cosa significa vestire la maglia, lo sanno cosa significa lottare, sacrificarsi, lavorare, lavorare, lavorare, e solo per quei colori, solo per quella fede.

Questa squadra, quest’anno, ci sta dando una grandissima lezione di vita. Ci sta insegnando che il duro lavoro ed il sacrificio pagano, che i piagnistei e le lamentale sono le scuse dei perdenti.

Ci sta facendo vivere quella che è forse la stagione più bella della storia della Juventus, ci sta facendo esultare, piangere, imprecare partita dopo partita, goal dopo goal, record dopo record.

E la fede divampa, è un incendio, ti consuma, che tu sia donna o uomo, e canti anche tu, che sei lontana da loro, insieme a chi è abbastanza fortunato da seguire i ragazzi dal vivo: fino alla fine, forza Juventus.

@SempreLibera___

Agnese Rumolo.

Il flusso di coscienza di Antonella, una cultrice bianconera

Non ho mai avuto intenzione di scrivere un articolo vero e proprio sul mio amore per la Juventus, sulla mia intensa e indefessa fede calcistica, sulle emozioni che solo Lei mi fa provare, soprattutto perché credo che non sia in grado di esprimere tutto questo col linguaggio, sebbene adori usare le parole ed esprimere concetti tendenzialmente prolissi.

D’altronde i miei pensieri li ho sempre espressi semplicemente sulla mia bacheca, e miei amici sono ben consapevoli di questo appuntamento fisso, fino a ritenermi talvolta monotematica e noiosa (e vabè!). E se mai, prima d’ora, questo pensiero mi era passato per la testa, non è per un qualche timore di non esserne in grado (ne sono in grado, lo penso fermamente) o per la paura di palesare qualche stronzata, ma più semplicemente non ne ho mai avuto l’esigenza.

Fino ad oggi.

Fino a quando non mi viene proposto, quasi a mo’ di provocazione.

E allora eccomi.

Sono Antonella, e sono una cultrice della Juventus. Amo questa vecchia Signora, e se solo fossi nata il primo novembre del 1897, la starei amando praticamente da sempre. Credo che questo mio sarà un flusso di coscienza a tinte bianche e nere, ma forse va bene anche questo. Detesto, per esempio, tanto per cominciare, i sostenitori del pregiudizio (perché questo è) per cui donne e calcio non possano essere un connubio perfetto o quantomeno lecito, per cui se una donna si intende di calcio rappresenta l’eccezione a fronte della regola, per cui se capisco al volo quando un gol è in fuorigioco l’anormale sarei io. Sia chiaro: convengo col fatto che le donne della “mia specie” siano percentualisticamente la minoranza; e a dire il vero, meglio mi sento, perché detesto altresì e al contempo le donne che poco capiscono di calcio, che tifano una squadra non si sa perché, che riducono il tutto ad un “Principino quanto sei figo”. E no. E no. Si corrobora il pregiudizio così, ledendo ovviamente quelle come la sottoscritta. Ma al di là di questo, se e quando una persona ti conosce, il pregiudizio viene distrutto. E allora la gente viene stupita. E stupitevi, gente, stupitevi, perché io non solo capisco di calcio, non solo capisco gli schemi e i tatticismi, non solo vi saprei commentare tecnicamente una partita, ma sono anche una folle fedele bianconera.

Non gradisco troppo definirmi tifosa; lo sono, ma preferisco la definizione di fedele, perché di questo si tratta. Quella per la Juve, per me, è una fede. Una fede che mi porta ad amarla indiscutibilmente sempre, dacché ero una piccina ingenua sino a quando, oggi, da autodidatta quale sono stata, sono dotata di una certa coscienza e cognizione di causa.

Da quel 5 maggio a quella rovesciata di Del Piero con annessa rete di Trezeguet a quel pareggio in quel di Rimini. Dalla nuova casa dall’acciaio scadente a quel gol di Borriello e Giaccherini e quella punizione del Capitano contro la Lazio, a quel pomeriggio gelato, innevato, agghiacciante e agghiacciato.

Da quel pomeriggio di panico e stupore e lutto post inizio ritiro a quel rapido passaggio da un “no, lui no, Dio ti prego” ad un “benvenuto, mister Allegri, da oggi uno di noi”. Da quelle lacrime dopo il pareggio al Bernabeu a quella orgogliosa tristezza di quel 6 giugno.

Da quei tre addii di non poco conto all’acquisto della Joya (che io adoravo già in casacca rosanera e “Marotta grazie per averlo preso!”), e di Danielino, e di Marione (per il quale non son riusciuta a gioire immediatamente causa tristezza infinita per il saluto a Nando) e di tutti gli altri, da Lemina ad Hernanes a Goetze… Ah no, lui no!

Da questo inizio inaspettato e clamoroso a quel gol preso su calcio d’angolo contro il Frosinone, dalla sconfitta col Sassuolo a quel derby contro il Toro vinto alla fine, di nuovo, con Juan.

E da lì una, e due, e tre, e quattro, e cinque… quindici vittorie consecutive solo in campionato, e la risalita, e gli scavalcamenti, e la sconfitta col Siviglia, e il secondo posto, e il Bayern, e quel gol di Simone nello scontro diretto, e la ripresa della vetta, e il primo posto, casa, finalmente, e l’1-2 di Dybala, e il 2-2 di Stefanino.

Amo la Juventus sempre.

In ogni momento, in ogni singolo istante, anche quando piuttosto che farmi godere una partita mangiando pop corn e senza ansie di alcuna sorta mi fa ritrovare a sperare che Neto pari dei rigori ai nemici di sempre. La amerò anche quando magari saremo costretti ad abbandonare l’Europa perché lì a Monaco vinceranno gli altri. Forse. Perché io ci credo, e guai a non crederci.

Penso di aver scritto tanto, eppure troppe altre cose potrei dire, troppe altre cose avrei da dire.

Ma mi fermo qui.

Forse, magari, sarà per una prossima volta.

 

di Antonella Lillo