Tu, giornalista, devi dirmi

di Francesco Alessandrella

Sono cresciuto col mito di Beppe Viola e compravo Hurrà Juventus una volta al mese quasi solo per leggere Caminiti. Ho apprezzato Gianni Mura e avevo tra le cose più care una vecchia vhs del tifoso torinista Ormezzano che parlava in maniera spettacolare di Platini. Mio padre comprava “Il Mattino” e, pur non essendo tifoso del Napoli, adoravo lo stile di Pacileo.
Questi personaggi hanno contribuito, nel tempo a formare in me l’idea che il calcio, benchè possa sembrare, ed in fondo lo è, una materia semplice, in cui ognuno si sente in diritto ed in grado di dare la propria versione, è invece uno di quegli argomenti che, anche per le implicazioni che comporta, dovrebbe essere trattato sui mezzi di informazione da chi è in grado di arricchirne il senso, fornendo spiegazioni, raccontando storie. Da chi, in una parola, apporti qualità.
Fino a qualche anno fa gli organi di informazione erano solo i giornali e le televisioni nazionali. Poi vennero le televisioni locali e, qualche anno dopo, internet e i social.
È proprio a questo punto che, quando ci si poteva attendere una rincorsa verso la qualità, si è avuto l’esatto contrario. Paradossalmente, l’allargamento dell’offerta, la creazione di nuovi spazi, è andata proprio a discapito di quell’obiettivo, disperdendo il tutto in tanti rivoli nei quali è davvero complicato districarsi.

Il baricentro si è spostato verso il basso, inutile negarselo, e gli organi di informazione hanno abdicato, volontariamente o no, al loro compito “educativo”. Dove questa parola sta nel suo significato etimologico di e-ducare, condurre fuori, dalla ignoranza, dalla incultura sportiva. Dove una volta c’era lo spazio per provare a spiegare le cose, a raccontarle – e leggerle – con attenzione, oggi c’è un grande ingorgo dove tutto va veloce e va consumato in piedi come nel peggiore dei fast food. Vale un po’ quello che nel tempo è accaduto nel calcio, se vogliamo, per i “numeri 10”: il gioco è cambiato e va tutto più veloce. E, o sei capace di creare in un fazzoletto, con tutti addosso, o sei ritenuto un lusso, qualcosa di cui poter fare a meno.

Ormai la televisione generalista (leggasi RAI) su questo versante pare essersi arresa alla mediocrità. Commenti appiattiti, nessuno slancio, pochezza di mezzi e di idee. Né va tanto meglio su quella a pagamento, dove senz’altro qualcosa in più si intravede ma non abbastanza per segnare un percorso. Su Internet, la generazione 49 euro, più o meno quanti ne bastano all’anno per tenere aperto un sito internet, ha dato a chiunque, compreso me in questo momento, certo, di dire la propria. E questo può senz’altro essere un aspetto positivo. Ma a quale costo? La china che è stata presa, a mio modesto avviso, è esattamente quella che non porta da nessuna parte. Si parla più alla pancia che alla testa: cosa vuole il popolo? Moviola e calciomercato? Dategli moviola e calciomercato, anche a marzo e a ottobre. Cosa grida la gente? Al ladro? Troviamo il ladro, diamoglielo in pasto, e se non c’è, costruiamolo! Insomma: il bar. Quel momento in cui dai libero sfogo davanti ad un caffè, in cui sei libero di dire tutto e il contrario di tutto, anche di litigare, insomma: quel momento in cui fai il tifoso, è diventato il “giornalismo” di oggi, è stato istituzionalizzato. La verità è che, ormai, ogni giudizio, ogni considerazione, viene espressa attraverso la lente del tifo, della passione. Si è passati dai giornalisti – tifosi ai tifosi – giornalisti. Ma una cosa è il ruolo di Zuliani o Zampa, un’altra è la professionalità di uno degli opinionisti di punta di una rete televisiva che passa la settimana ad insultare i tifosi di una squadra sui social e poi la domenica è chiamato ad esprimere opinioni su quella stessa squadra. Non puoi farlo, amico, mi spiace. Hai perso credibilità, ripassa dal via! L’idea che ogni parola abbia un peso e che chi ascolta o legge (sempre più di sfuggita, magari un titolo al volo o un tweet, maledetta fretta) si formi un’opinione su quel fatto non sembra più essere motivo di attenzione e responsabilità da parte di chi quella idea espone, principio che, invece, dovrebbe essere sempre alla base di ogni espressione pubblica del proprio pensiero. Soprattutto in un terreno come quello del tifo, ispirato talvolta dalle passioni più becere, dove una parola fuori posto può innescare conseguenze non controllabili.

Qualità, dunque. Che vuol dire: preparazione, neutralità (che non significa non essere tifosi, ma capaci di giudicare nonostante quello), responsabilità e attenzione. Ma, anche, competenza.
Io non ne capisco niente di calcio, lo ammetto. Mi piace vedere la partita, divento un altro durante quei 90 minuti. Odio le polemiche arbitrali (per forza, sei juventino, vi sento già…), non sopporto il calciomercato. Quello che mi piacerebbe, però, è che ci fosse qualcuno a spiegarmi le cose che non so: perché la mia squadra ha giocato in quel modo, dove potrebbe migliorare, cosa ha il mio allenatore che altri non hanno e dove ha sbagliato, se ha sbagliato. Se la Juve fa 12 punti in 10 partite non mi serve sapere che nessuno mai ha vinto lo scudetto partendo così. Non mi servono le sentenze dei “so-tutto-io” del tipo: non si cedono tre pilastri della squadra: figurati se non lo so, io che volevo fare lo sciopero della fame per trattenere Vidal. Mi serve sapere come mai, adesso, si trova in quella condizione. Che è una condizione di merda lo so anche io, ma vorrei che qualcuno mi spiegasse con chiarezza se c’è possibilità di riprendersi, cosa sarebbe bene fare, se c’è un modulo di gioco più adatto ai calciatori che ho in rosa, cosa posso aspettarmi in prospettiva. Ecco, questo mi servirebbe sapere. Se c’è una squadra che gioca malissimo, ma vince dieci partite 1-0 non puoi esaltarla e basta. Devi dire che se non cambia registro, ci sta che prima o poi vada in crisi. Non puoi poi, quando succede, dirmi che è stato sbagliato il mercato. Quello posso dirlo io, tifoso che non ne capisco. Tu giornalista devi dirmi, mentre le cose vanno in un certo modo, che è una squadra a cui sta andando tutto per il verso giusto ma che è costruita male. Se la nazionale pareggia con la Spagna grazie a tre giovanotti di belle speranze buttati nella mischia dal ct non puoi esaltarli fino a chiedere di farli partire titolari nella partita successiva e, poi, presa l’imbarcata dalla Germania, tre giorni dopo, dirmi che servono uomini di esperienza. Questo so farlo anche io. Tu, giornalista, devi aggiungere qualcosa in più. Devi dirmi, ad esempio, dove abbiamo sbagliato se a tre mesi da una competizione europea non abbiamo una vera prima punta a cui affidarci. E me lo devi dire mentre le cose vanno bene, se no spostati e vengo io al posto tuo.

Insomma: la sensazione è che per la fretta, per la rapidità, con cui tutto viene consumato, oggi quello che emerge nell’ingorgo è sempre il lato peggiore. E invece bisognerebbe davvero mettersi lì, armarsi di pazienza e scavare per riuscire a trovare qualcosa che valga la pena leggere o ascoltare.
Qualcosa che davvero arricchisca, che aggiunga. Insomma, qualcosa che migliori.
Difficile, lo so. Molto difficile. Ma Dio solo sa quanto ce ne sarebbe bisogno!