Quando il Milan era un impero (sfogo del venerdì mattina)

Alcuni imbecilli hanno capito il gioco. Sparano al bersaglio grosso e qualcuno li ascolta. Altri idioti, utili compilatori di pagine web, riprendono quei bofonchiamenti. Così tra un caffè e l’insalata passa la giornata. E’ il calcio, mica una cosa seria del resto. Lo raccontano in tanti. Tutti possono intervenire e dire la loro. E’ il circo dei social media, dell’”orizzontale diventato cultura del linguaggio” chiariscono gli esperti. Eppure certe cose le si dovrebbe conoscere meglio. Eppure alcuni argomenti bisognerebbe capirli meglio. Per il bene di tutti. Quelli che guardano e quelli che passano solo e chiedono se gioca la nazionale.
La partita tra la Juventus ed il Milan è sabato sera. Il loro allenatore si gioca molto. La squadra idem. La società è da mesi nella bufera per via delle diverse scelte di mercato e per quei soldi di questo o quello che tardano ad arrivare. E’ la fine di un impero, si aggiunge. Ci vuol tempo per veder cadere tutto e nel frattempo bisogna ascoltare quelli che si guadagno lo stipendio infilando banderillas sulla schiena del toro furente di turno. E’ la storia. La insegnano a scuola, si ricordi. Per questo alcune parole di presunti opinionisti non fanno notizia da questo lato del mondo.
Abbiamo letto libri, visto film, partecipato a risse più o meno verbali, per spaventarci con un direttore che si imbavaglia, un senatore che presenta interrogazioni parlamentari e un tecnico svedese che getta un po’ di fango su un ex giocatore che è stato bianconero “però” negli anni conclusivi di un altro regno, quello cialtrone di un direttore sportivo che aveva un carico di millanterie infinite. Dove è la sorpresa? Quale è la miglior risposta? E’ il silenzio sabaudo e antico che si oppone lasciando parlare le cose, i procuratori, gli agenti arrabbiati?
Dicono diversi studiosi del fenomeno che la violenza negli stadi non c’entra quasi nulla con la partita, con quanto avviene sul campo, su quel che si dice e si urla per quel centravanti. Ma in un bar di questa penisola questi professori ci sono mai andati? Hanno sopportato battute e occhiate quando dici di tifare per questa o quell’altra squadra? Hanno mai avuto la macchina rigata, lo specchietto retrovisore rotto? Guarda caso il giorno che hai aver lasciato quello stemma in bella vista sul parabrezza? Lo sanno cosa sono diventate le città e le periferie oppure vivono lontano, dentro alle televisioni, al riparo dalla gente e dal senso?
In molti dovrebbero imparare dalle tragedie che avvengono. Quando muore un tifoso, a qualsiasi longitudine e latitudine, bisognerebbe provare a riflettere, cambiare il giocattolo che impegna. Ed invece si continua solo a sparare contro il gigante, il mostro. Gli elementi di fatto vengono bruciati, dimenticati. E’ successo con quelle centinaia, migliaia, di intercettazioni lasciate in un cassetto per la vicenda ‘Calciopoli’; è avvenuto ancora per l’omicidio di un giovane che stava seguendo la squadra in trasferta. Non sono ingredienti diversi. Finiscono tutti nelle stesse pagine, sugli stessi giornali. Sono la stessa cosa. Il ‘palazzo’ avrebbe dovuto capire che stava sbagliando ed invece ha deciso di tirar dritto, di gettare nelle ortiche qualche compagno i viaggio e andare avanti.
Il Milan rappresenta il potere italiano degli ultimi 20 anni, lo si sappia. Ha governato a Roma ed a Milano, nelle province e nei comuni, nelle regioni e nei consigli di amministrazione. Era un impero. Alla Juventus, malgrado il blasone e gli scudetti, resta la parte del principe sconfitto che si affida ad armate raccogliticce. Il calcio come guerre stellari. Il gioco del pallone spiegato a chi vede film e legge fumetti. Sarebbe una bella opera da scrivere.

Simone Navarra