Buon 5 maggio

Ed è ancora gioia.

 Ed anche…

5 maggio, godiamo ancora

5 maggio, godiamo ancora

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Claudio Pellecchia

Comunione di mio fratello. Interista. Quindi alla delusione del non poter vedere la partita si aggiunse quella del probabile disegno divino che voleva lo scudetto nerazzurro nel giorno della festa di un suo tifoso. E disegno divino fu. Ma al contrario. Seppi dell’ 1-2 Trezeguet – Del Piero al ristorante, con un lontano zio che era riuscito a intrufolare una radiolina. Seguì supplica a mio padre di lasciarmi seguire almeno il secondo tempo con l’autoradio in macchina. Riaccesi in tempo per il 3-2 di Simeone. Del resto ricordo il sole di rame che rendeva l’auto un inferno di lamiera e plastica e l’aereoplanino di gioia, alla Montella, dopo il fischio finale. Dubito che i miei genitori si siano mai vergognati tanto come quel giorno. Il festeggiato non mi ha parlato per settimane.

Giulio Gori

Il 5 maggio ero ad assistere al trionfo con mio babbo, in Mugello. Lui non ci sperava, io sì. Mi ero rotto il polso dopo una sforbiciata fantozziana a calcetto. E il 2 maggio avevo disegnato il 26° scudetto sul gesso: mi era bastato sentire i discorsi dei giocatori dell’Inter per capire che erano già così sicuri di vincere che quella partita con la Lazio non sarebbero mai riusciti a giocarla.

Davide Terruzzi

Il 5 maggio ho parlato con la parabola. A Milano aveva piovuto, il tempo instabile: con la pioggia si perdeva il segnale e pregai gentilmente quello strumento di non fare scherzi. Poi ascoltai anche la radio. In giro c’erano interisti già pronti a festeggiare. Fu una doppia gioia: campionato vinto all’ultimo, scudetto perso dai rivali. Per un tifoso juventino milanese il massimo del delirio. Ricordo ancora che il giorno dopo a scuola il prof. di latino mi graziò e non mi interrogò: “immagino che avrai avuto altri pensieri”. Pensava bene: la corsa a Torino, la festa improvvisata, piena di passione e amore. Mai imprevisto fu più causa di goduria pura. Libidine.

Alex Campanelli

Il 5 maggio 2002 avevo ancora 10 anni, dunque i ricordi che ho non sono molto nitidi ma sicuramente significativi. Tornavo da non so dove verso casa mia a Senigallia, in macchina coi miei; mio padre, non un grandissimo tifoso juventino ma sicuramente un buon antiinterista, voleva evitare di passare per il centro per paura d’incorrere nei caroselli nerazzurri. Di fianco a noi passa un anziano in Vespa suonando il clacson, troppo velocemente per capire che colori portasse addosso. Nel dubbio accendiamo la radio. Il resto è una serie di flash: il blocco del traffico nella zona del centro storico, le bandiere bianconere in strada e fuori dalle auto, mio padre che chiama il padre di un mio amico, ovviamente interista, le imprecazioni e le bestemmie via cellulare, la grande festa bianconera in tv.

Francesco Alessandrella

Ei fu. Quel giorno, oltre a Napoleone, poteva morire anche il mio matrimonio, previsto per inizio luglio. Quella domenica era tutto organizzato: le zie della mia futura moglie (di Roma) a mangiare a casa dei miei futuri suoceri, per la consegna delle partecipazioni. Ovviamente, dovevo esserci anche io. Ci avevano anche provato gli amici con cui vedevo le partite (allora come oggi) a convincermi a stare con loro ma lo sguardo della mia ragazza aveva potuto di più. E poi, diciamocela tutta, non è che ci credessi realmente più di tanto.
Fatto sta che alla fine del primo tempo, dopo i primi 45 minuti passati con una cuffietta nelle orecchie a rispondere a monosillabi, nemmeno chissà quanto pertinenti alle domande, mi alzo da tavola, a pranzo non ancora finito, saluto tutti, cordialmente e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, me ne vado, senza fornire nemmeno troppe spiegazioni.
Ho parlato di nuovo con mia moglie, che non mi rispondeva più al telefono, sabato 18 maggio, compleanno di sua sorella.
#Ilovethisgame (ma anche mia moglie, però).

Luca Momblano

Corso Francia, Torino. Avevo già scritto il mio primo articolo. Mi sentivo già un giornalista, e invece non ero niente. Pub, quasi all’angolo con piazza Rivoli. Walter non ci voleva venire. Ezio me lo ricordo carico, ma pessimista. Non sono mai stato uno da piazza San Carlo. Ma usai quella parola magica e la truppa di riunì. Dopo Gresko fu tutto un girovagare, ricordo che finimmo di notte in piazza d’Armi e che il culmine fu un un panino con la salsiccia. Cercavamo inconsciamente i profumi dello stadio, beati quelli di Udine come Matteo, che conobbi circa 3 anni dopo. Quei profumi a Torino sono spesso quelli dello scudetto. Uno dei tanti, uno dei meno sabaudi.

Francesco Adrianopoli

Eravamo a casa, io e mio fratello; non ci credevamo, non ci credevamo assolutamente, per noi “non succede, ma se succede…” non era un vuoto mantra, rispecchiava esattamente la nostra disposizione d’animo.
Non c’è stata alcuna preparazione, alcun rituale: abbiamo acceso su “Quelli che il calcio” sulla tv in cucina, lasciandolo sullo sfondo, quasi distrattamente, facendo altro.
L’attenzione, e l’esaltazione, sono cresciuti con il passare dei minuti.
Dopo il fischio finale, se quel giorno avete visto in giro per Genova una Y10 con un bandierone Juventino, “We are the champions” nell’autoradio e due scalmanati che strombazzavano… beh, adesso sapete chi erano.

Giacomo Scutiero

Il 5 maggio 2002 lo ricordo benissimo perché pronunziai una delle mie rare espressioni colorite: “Vaffanculo, Perugia”.

La nemesi due anni dopo Calori e Collina. Con gli interessi di parecchi punti percentuale.

Prof. Kantor

Il 5 maggio 2002 io e il Triglione eravamo gia’ amici da qualche anno e guardavamo le partite della Juventus insieme; la sensazione piu’ strana di quel pomeriggio e’ il senso di ineluttabilita’ che ebbe lo successione dei fatti. Una di quelle cose che, se le metti in un film, sembrano esagerazioni. E la mia impressione fu quella di avere un visto un film dei fratelli Cohen, in cui una serie assolutamente improbabile di eventi si concretizza in un finale che solo dopo appare logico e inevitabile. Psicologicamente e’ una delle esperienze piu’ strane che ho avuto osservando calcio, talmente particolare che e’ ancora vivida nella mia mente dopo 14 anni.

Antonio Corsa

Non mi ricordo (serio). Posso inventare?

Edoardo Siddi

Ero piccolo quel 5 maggio. Di lì a un mese avrei compiuto dieci anni, ma il cuore batteva già per i colori bianconeri. Come ora, anzi, forse in maniera ancora più folle. La mattina andammo a una gara di karate, senza nemmeno sapere se saremmo riusciti a tornare per la partita. Tanto ormai l’esito era scontato. Invece tornammo, tv su Quelli che il Calcio, ma nessuna speranza. Al gol della Juve a Udine esulto, mentre mio padre mi sgridava per un motivo che non ricordo, ma è un riflesso incondizionato. Il contesto ricorda che non c’è niente per cui esultare. Faccio altro, rassegnato alla festa interista, ma improvvisamente mia madre chiama: “La Lazio è in vantaggio”. Così gli ultimi minuti diventano spasmodici, un concentrato assurdo di ansia, incredulità e gioia pronta a esplodere. E alla fine esplode. Piansi, ricordo che cantammo l’inno della Lazio. Era una gioia incontenibile. A oggi, probabilmente, ancora il più bello degli scudetti.

Ah, poco dopo vidi un mio carissimo amico interista. Avrei voluto prenderlo in giro, ma la sua faccia mi impedì di essere così sadico.

Maurizio Romeo

Ora di pranzo, mio papà milanista mi chiede un pronostico e io gli rispondo: “Dobbiamo fare 2 gol nei primi 10’… e poi sperare…”
La partita non la posso vedere a casa, noi abbiamo Tele+ ed invece i match di Udine e dell’Olimpico vanno in diretta su Stream. Andrò a vederla al bar della stazione di Pietra Ligure, autentico covo bianconero… per un giorno trasformato nella Curva Scirea. Per non perdermi nulla mi porto la radiolina e proprio lì mi accorgo che la radio è in vantaggio di 4 secondi rispetto al segnale TV. Ottimo. Saprò in anticipo gli eventuali cambiamenti di risultato…
Pronti via c’è il gol di Trezeguet e proprio al 10′ Del Piero mette dentro il gol del 2-0 a Udine. Fedele al mio pensiero inizio a sperare… Mi gela subito il gol di Vieri, Poborsky ravviva la mia speranza prima che Di Biagio la raffreddi di nuovo. Spengo la radiolina… ma lo sciagurato Gresko e il mitico Karel me la fanno riaccendere. Ora ci credo… e al 10′ del secondo tempo mi alzo in piedi urlando “Treeeee!!!!”. Al bar mi guardano increduli prima che pochi secondi dopo la TV dia conferma del gol del dispiaciutissimo Simeone. Il cuore batte a mille e a 20′ dalla fine, quando urlo con le lacrime agli occhi “Quattrooooooo!!!” si rompono gli indugi e iniziano a saltare i primi tappi di spumante. Brindisi e cori da stadio con la hit “Siamo noi i campioni dell’Italia siamo noi!” a farla da padrone. In barba a ogni scaramanzia partono i festeggiamenti. C’è addirittura chi riceve una chiamata da San Siro da un amico rossonero che gli fa sentire il coro “Juve Alé!” provenire dalle tribune dello stadio…
Calcisticamente è una goduria senza precedenti che mi ripaga della delusione patita due anni prima a Perugia.
Le persone presenti in quel bar in quel caldo pomeriggio di maggio se lo ricordano ancora… Il mio pensiero va anche a una persona che quel giorno esultava di fianco a me e che oggi non c’è più… “Don” Franco festeggi anche lei il 5 maggio ovunque sia!

Sandro Scarpa

5 maggio 2002. 25 anni. Tornato da un anno di Parigi. Ero tranquillo, la Juve vinceva un anno si e uno no,capita. Ero rilassato: l’Inter pazza e sfigata, ma stavolta ce l’aveva fatta, e Cuper non era manco odioso. Traffico con la scheda pirata Stream (reato prescritto, no?), con mia sorella, bianconera, e mio padre, tifoso di un Napoli in B, con bomber Stellone.

10 minuti di Juve: Trezegol e Del Piero. Gufo l’Inter blandamente. Contro di loro gioca solo Poborsky. Poi Gresko fa il papocchio. Non ci credo e penso: “Guarda te, se lo devono vincere sti pellegrini!”

Poi il miracolo sportivo, alla Leicester: Simeone attonito come me. Al 4-2 di inzaghino ci abbracciamo tutti. Incredibile, impossibile, come Pep al 5° gol di Lewa. E’ ebbrezza improvvisa, il più godurioso di sempre. Fisicamente sto con Conte e Montero impazziti, i pianti interisti più che godere quasi mi provocano un briciolo di pietas..altri tempi. Poi realizzo sul serio l’evento, raduno i pochi amici bianconeri per birre e cannette urlate al bar. Non ci crediamo dai! Che goduria!

Massimo Zampini

Tarda mattinata. Sto guidando a Ponte Milvio. Bisogna andare piano, perché in giro è pieno di tifosi interisti e laziali a braccetto, sciarpe con i colori di entrambe le squadre. Nervosismo: l’anno scorso mezzo mondo fece pressioni sul Perugia e oggi tutti felici per questa festa dello sport. Che brutto vedere vincere loro, qui a 3 km da casa mia, con tutto uno studio a supportarli, tifosi e giocatori rivali compresi. Gli errori dei giocatori della Lazio, Peruzzi distratto, Nesta che ci mette sei ore a salvare un pallone facile facile, Couto che regala l’angolo. Che rabbia. Festeggiamo pure questo 1-1, speriamo pure con questo 2-2, ma stavolta purtroppo non riescono a non vincere, pure se stanno facendo il possibile. Stavolta no. Certo, se la stanno complicando. Sarà ancora più dura da digerire il loro titolo. Certo, ora devono farne tre. Assurdo che vincano così. Perché non possono perderlo, con tutto lo stadio a favore. Non possono perderlo, con la Lazio più molle e ben disposta del secolo. Non possono perderlo, se stamattina si abbracciano a Ponte Milvio. E invece potevano, loro potevano tutto, se si trattava di riuscire a non vincere. E passeggiare a Ponte Milvio, nel pomeriggio, era più bello che mai.