Miracolato da Ibra. Allegri, per diverso tempo, è stato considerato un beneficiario delle virtù taumaturgiche del buon Zlatan grazie al quale vinse, dicono, un campionato. Aziendalista, perché accettava le decisioni della società senza protestare. Incapace di gestire un gruppo imponendo regole severe, troppo rilassato e gaudente anche nella concezione del calcio. Ibra che vorrebbe prenderlo a pugni dopo la sfida con l’Arsenal, Gattuso che parla di uno spogliatoio in cui è entrato il germe dell’anarchia. Re delle partenze lente, degli infortuni seriali, raggiunge la Champions grazie ai rigori di Balotelli, fa giocare male le sue squadre. Quando Allegri arriva sulla panchina della Juventus la percezione generale, farcita da tutti questi pregiudizi che non fanno vedere la realtà dei fatti, è questa: arriva un allenatore esonerato dal Milan, uno scarso, non un sergente. In due anni ha smontato quasi tutte le accuse. Da subito si è dimostrato un uomo intelligente e furbo: ha saputo convivere con l’eredità ingombrante di Antonio Conte, una figura amata dai tifosi e con una presa straordinaria sul gruppo. Non si è comportato come fece Benitez con Mourinho, non ha fatto cancellare foto: è arrivato a Torino per vincere, tutto il contorno non gli interessava. Si è imposto nel tempo. Ha usato il 352 del triennio precedente come base di partenza: le marcature dei difensori diventano più aggressive, le due punte non giocano più in linea, gli schemi abbandonati. Allegri è un allenatore che lavora su un canovaccio, preferisce il jazz alla sinfonia di una orchestra: lascia libertà, i protagonisti sono i giocatori che devono migliorare nell’esecuzione tecnica e nella interpretazione dei diversi momenti della gara. Il primo anno la squadra acquisisce maggiore tranquillità, consapevolezza e fiducia dei propri mezzi: non è più una Juventus furiosa, sa essere anche sorniona, lenta ma capace di accelerazioni rock. Comunicativamente non sbaglia una mossa aiutato dal suo spirito livornese. Al momento giusto arriva la svolta, prevista da inizio stagione, del 4312. Il primo anno è trionfale, ma le accuse restano: ha sfruttato il lavoro di Conte, è stato fortunato in Champions.
La seconda stagione è completamente diversa. La squadra rinnovata. Torna la partenza lenta, lentissima. Tornano gli infortuni. Avevano ragione i suoi critici? No, quello che succede è un qualcosa che non è stato ancora esaltato nella giusta maniera. Nel momento più acuto della crisi, Allegri non perde la lucidità, non si fa prendere dal panico. Aiutato certo dai senatori del gruppo, arriva a dove voleva: Allegri è un allenatore italiano, conosce il calcio, non s’inventa niente di particolare. Non si fissa sui moduli, completa i giocatori, li aiuta nella comprensione del gioco. Sono loro i protagonisti, non lui. Lavora nel tempo e col tempo ottiene i risultati: la sua seconda Juventus è una squadra solida nel suo 352, migliorata nel possesso palla, capace di cogliere i diversi momenti della partita, è furba e intelligente. E’ una Juventus tranquilla, esaltante nella sua normalità: alza i ritmi quando deve, sa quando deve giocare al massimo delle proprie possibilità (come col Bayern). I limiti d’inizio stagione (la mancata circolazione interna, una manovra periferica, una difficoltà a trovare equilibrio nelle transizioni difensive) vengono cancellati nei mesi. Più che il giudizio dei tifosi, conta quello della società: la Juventus stima, e si tiene stretto, Allegri perché è un allenatore completo, preparato tatticamente e tecnicamente, gestore del gruppo, buon psicologo, integrato dentro la società. E i pregiudizi si cancellano avendo a disposizione Buffon, Bonucci, Pogba, Dybala: altro che inventarsi qualcosa con Birsa e Constant… Per il prossimo anno, però, niente partenza lenta e meno infortuni: meglio andare sul sicuro.
Davide Terruzzi.
Il mago Max
di Simone Aversano
Chiariamoci subito: io sono uno di quelli che all’indomani dell’addio – inspiegabile e mai veramente spiegato – di Antonio Conte alla Juventus più vincente dell’ultimo decennio, ha pensato a voce alta “va bene tutto, ma Allegri no”. E sono uno di quelli cui è andata di traverso quella prima conferenza stampa dell’ex “acciughina”, con Marotta di fianco e indosso la giacca scura con lo stemma bianconero. Quello stemma su quella faccia mi pareva un affronto, una presa in giro, un contrasto insopportabile. Eppure, poche sue parole mi rimasero subito impresse: “capisco la diffidenza dei tifosi, ma li conquisterò con il lavoro, la serietà e i risultati” (citazione forse inesatta, parola più parola meno).
Con le settimane e i mesi che avanzavano, esattamente tre cose permisero a Max Allegri di fare breccia nel mio cuore bianconero, abituato a vincere ma anche a perdere: e cioè esattamente il lavoro, la serietà e i risultati. La partita che mi fece abbandonare per sempre la mia opinione negativa sul nostro mister fu quella di Parma, dove – a differenza del suo predecessore – non ebbe paura a fare turnover in vista della più importante sfida di Champions pochi giorni dopo. Perché in certi momenti un trofeo europeo può essere più importante di un record da battere (questione di gusti…).
Ma lo spartiacque della storia di Allegri con questa Juventus è forse un altro: il preoccupante avvio di questa stagione, fino alla gara di Sassuolo. Per chi legge Twitter, il ricordo delle innumerevoli espressioni di disappunto e contestazione di tifosi e “tecnici” nei confronti di quella gestione di inizio campionato è forse un po’ impolverato, ma ancora nitido. Se ne sono dette e scritte di tutti i colori, ben oltre il bianco e il nero, ma molto più di nero che di bianco. In tanti (forse troppi) hanno auspicato l’esonero di Max, immediato o per lo meno a fine stagione, con la motivazione che una squadra su cui si è investito tanto e così forte sulla carta non poteva e non può fallire, men che meno così miseramente.
Tutto vero, a parte le soluzioni prospettate.
Facendo un balzo in avanti, oltre 24 vittorie su 25, oltre il maggior numero di punti di qualsiasi altra avversaria, oltre una dimostrazione di forza che non si può descrivere con le parole, in tanti stanno facendo mea culpa per quella comprensibile – ma troppo facile – miopia di inizio stagione. In tanti ora dicono “grazie” a Max, il mago dello scudetto più storico della squadra più storica della storia del calcio. In tanti, da che chiedevano l’esonero anticipato (manco fossimo il peggiore dei Milan), ora pregano perché questo tanto chiacchierato rinnovo contrattuale per Allegri arrivi al più presto, anche prima della finale di Tim Cup, ché tanto non c’è più molto da dimostrare.
Perché Max il mago ha già dimostrato capacità e bravura nel 99% delle cose che ha fatto. Chiedergli di più sarebbe come chiedere di più a Dybala. Essere insoddisfatti di lui sarebbe come essere insoddisfatti di Buffon. Volerlo sostituire con qualcun altro sarebbe come voler sostituire Pogba. E proprio Pogba – state sereni, non andrà via – in Allegri ha trovato il miglior maestro, come giocatore e come uomo, e il video in cui i due si sfidano a suon di tiri liberi nel giorno di Kobe è molto più di una geniale trovata pubblicitaria. Perché la magia di Max sta tutta nelle alchimie che ha saputo innescare in ciascun singolo, da Pogba a Cuadrado, da Alex Sandro (sento ancora gli echi dei “non lo fa giocare mai”) a Morata, da Rugani a Mandzukic, da Dybala a Hernanes.
Lui, Max il mago, egregio gestore dell’uomo come calciatore e come componente di un gruppo che solo unito può vincere. Professionista vero, “aziendalista” nell’accezione più positiva del termine, compito esaltatore della tecnica che però, quando serve, si straccia le vesti per far andare le cose come devono andare. E chi di voi – o magari dei tantissimi denigratori e detrattori di qualsiasi trionfo bianconero, persino di questo – può dire di aver mai sentito Max parlare sopra le righe, lamentarsi, accusare, recriminare? In basso c’è lo spazio per i commenti, se citate un solo episodio rinnego tutto quello che ho scritto. Ma non ne troverete nemmeno mezzo, perché mister Allegri è quello che quando elogia la squadra dice “i ragazzi” e quando dice che bisogna migliorare mette davanti il “noi”, comprendendo anche se stesso.
Se abbiamo ancora una volta riscritto la storia, se abbiamo vinto un altro scudetto strameritato, se abbiamo potuto festeggiare in aprile con le pantofole ai piedi, il merito di quel mago di Max va da 90% a infinito.
L’anno prossimo si ripartirà come sempre da 0 punti e sarà un’altra storia da scrivere. Ma state sicuri che dopo la vittoria di questo campionato la Serie A possono anche chiuderla, o possiamo rigiocarla altri cento anni: nessun’altra squadra potrà mai dimostrarsi più forte della Juventus. Perché se eri dietro tutti e nessuno è riuscito a rimanerti davanti, significa che “siamo i più forti, lo siamo sempre stati e sempre lo saremo” (cit. Mark Iuliano, 05.05.2002).
#GrazieMilleMax
5toria di un grande amore
@PierSRicchiuti
14/05/2012 La Gazzetta Dello Sport titola “Invincibili”, è per la nostra Juventus, che vince lo scudetto senza perdere neanche una partita in tutta la stagione con un allenatore alla prima esperienza in un top team, con una squadra nuova con giocatori per alcuni troppo giovani o troppo vecchi, uno JStadium nuovo di zecca ed una voglia di riemergere che ci ha portati a 23 vittorie e 15 pareggi.
Neache una sconfitta, davvero invincibili.
A 4 anni di distanza da quel campionato, quel titolo, potrebbero riproporlo.
Si, sono passati 4 anni (quando si vince gli anni sembano passare molto velocemente, quando invece non si vince gli anni sembrano secoli e chi ci insegue da 5 anni sicuramente ne sa qualcosa) e sembra che la Juventus abbia davvero qualcosa di invincibile, non sono l’eccessiva autostima, l’estrema gioia o il semplice pavoneggiarsi che mi porta a scrivere, è una pura e limpida constatazione dei fatti:
In questi 5 anni abbiamo vinto tanto (e presto ci aspetta un’altra finale di Coppa Italia contro il Milan, speriamo sia il prossimo trofeo) lo abbiamo fatto partendo da zero quando l’obbiettivo era il 3° posto per tornare tra le grandi, ed invece eccolo lì, il 1°, inatteso sradicato con le unghie e con i denti dal petto del Milan… poteva essere uno scudetto “episodico” quello “dell’anno buono in cui va tutto bene” ma invece no, l’abbiamo vinto anche l’anno dopo. Per molti è sempre l’anno più delicato, quello con il peso della riconferma, quello che deve ribadire che tu sei la più forte, quello con metà campionato senza allenatore, squalificato per motivi ancora da chiarire, ma questo è un altro discorso. L’abbiamo vinto con il record dei 102 punti poi l’anno dopo. Record di sempre in A, sorprendendo tutti, quasi facendoci chiamare marziani, quasi fosse facile vincerne tre di fila “e allora fate anche il record se ne siete capaci, visto che ci siete, provateci!” Detto fatto.
3 Scudetti, 2 SuperCoppe e 1 finale di Coppa Italia persa.
Poi il mister va via a metà luglio. Feste, caroselli, fuochi d’artificio e titoloni per le avversarie: “La Juve ha finito di vincere, cominciamo a festeggiare! Olè!” , nuovo mister ,lui però è diverso, predica calma e pazienza, ma non è un tipo silenzioso e soprattutto è uno che sa fare bene il suo mestiere. Subito contestato, tutta la fiducia che la dirigenza ha accumulato per tre anni è poca roba, oppure è messa momentaneamente da parte, non si sa.Ed invece ancora una volta, no, non c’è spazio per gli altri, si vince ancora. Per la seconda volta consecutiva a +17 sulla seconda e guarda un po’, ci aggiungiamo una finale di Champions quasi alla pari con il Barcellona, persa (ma anche questo è un altro discorso).
E 4, più la 10° Coppa Italia, anche in questo caso in Italia siamo al comando. Si ricomincia.
Si ricomincia male, con difficoltà, con sfortuna, con pochi punti, con qualche idea non proprio brillante, con il dubbio di aver fatto le cose giuste, di aver lasciato andare pezzi grossi, con il secondo anno di questo mister che è “storicamente” deludente, dello sponsor che se lo cambi poi porta sfiga e la stagione non va bene. Di nuovo feste, caroselli, fuochi d’artificio e titoloni per le avversarie… quasi un coro unanime “Finalmente, care VoiAltre, giocatevelo questo Scudetto, che il campionato magicamente è diventato più bello. Statisticamente la Juve non potrà mai recuperare punti né vincerlo questa volta, è vostro, chi lo vince non importa, chissenefrega, non sarà la Juventus!” Poi comincia una rimonta pazzesca, fatta di 24 vittorie su 25 partite. 73 punti su 75 disponibili.
E vabbè scusateci, anzi no, sono contento perché abbiamo reso tutti tristi, per la 5° volta consecutiva.
Come nel 30-35, è STORIA, quasi un secolo fa, un calcio che non esiste più.
Viverli son sicuro che non renda l’idea della grandezza di questa impresa, quando metabolizzeremo i festeggiamenti, le gioie, i trofei alzati al cielo, i cori, gli sfottò, allora capiremo sul serio il valore e la forza di questi 5 scudetti consecutivi di (questa) Juve. Magari tra qualche anno ci penseremo, ci riguarderemo i gol, le esultanze, qualche video strappa lacrime, qualche coro allo JStadium e capiremo, davvero, che quella Juve, questa Juve, è invincibile.
No, non sul campo, siamo tutti essere umani, lo sono anche i nostri giocatori, ma nella testa, nello spirito, nella fame, negli occhi di chi scende in campo con la nostra maglia, nella voglia di chi per 5 anni non si è mai accontentato, non si è mai rilassato ed ha sempre lottato per vincere, in mille situazioni, una più difficile dell’altra, riuscendoci tante e tante e tante volte.
Nella mentalità. Lì si, senza dubbio, siamo davvero invincibili.
Grazie Juventus. #FinoAllaFine