Non è stata una finale di Coppa Italia granché esaltante, parliamoci chiaro. Come e più dello scorso anno contro la Lazio, la Juventus ha offerto una prestazione decisamente incolore, lasciando nel primo tempo il pallino del gioco ai (poveri) avversari, complici le assenze di Marchisio, Bonucci Khedira Nel grigiore generale, progressivamente diradatosi in seguito alle sostituzioni operate da Allegri, a brillare è stata la gemma di Alvaro Morata che ha regalato alla Juventus il terzo trofeo della stagione.
Non è stata una stagione per niente semplice quella del centravanti spagnolo; bloccato da un infortunio in occasione della finale di Supercoppa e della prima di campionato, Alvaro non è riuscito a emergere nella mediocrità del periodo più nero della Juventus di Allegri, il quale ha poi trovato la quadratura con Dybala e Mandzukic fissi in avanti e l’iberico come riserva di lusso pronta a spaccare la partita in caso di necessità. La risalita della Juve in campionato non è coincisa con il ritorno su buoni livelli di Morata, a secco di gol da inizio ottobre a fine gennaio e a tratti irritante negli scampoli di partita riservatigli da Allegri. Migliorato nel girone di ritorno, con reti importanti come la doppietta al Torino e il 2-1 alla Fiorentina, Morata ha chiuso la stagione con 7 gol e altrettanti assist in 34 partite; bottino discreto ma probabilmente non in linea con quanto era lecito aspettarsi dopo le ottime premesse della scorsa stagione.
Già, le premesse: dopo un’annata nella quale ha tolto il posto al connazionale Llorente e preso per mano la Juventus nel cammino verso Berlino, chi si aspettava una sua esplosione è rimasto probabilmente deluso. Dal punto di vista realizzativo Alvaro è stato sì penalizzato dalla posizione in campo non sempre conforme alle sue caratteristiche, dato che i ruoli di esterno del 4-3-3 o di seconda punta col compito di fare da raccordo tra centrocampo e attacco gli tolgono inevitabilmente lucidità sotto porta, ma anche da un atteggiamento quasi insofferente nei confronti di compiti a lui non proprio congeniali, disagio poi amplificato dalla lunga astinenza dal gol. Non a caso il rendimento dello spagnolo è andato migliorando in seguito alle reti contro Inter e Torino che hanno spezzato il lungo digiuno; Morata ha progressivamente compreso come calarsi al meglio negli schemi di Allegri, affiancando alla sua naturale propensione di attaccare l’area un’attenzione sempre maggiore ai movimenti dei compagni.
Crisi del secondo anno? Solo in parte, dato che il numero 9 ha confermato la sua fama di re di coppe, rivestendo un ruolo di prim’ordine nelle competizioni a eliminazione diretta. In Champions League Morata ha ripreso il discorso interrotto lo scorso maggio a Berlino, andando in gol contro City e Siviglia nella fase a gironi e offrendo ottime prestazioni nella doppia sfida col Bayern Monaco (la cavalcata che porta al gol di Cuadrado è da vedere e rivedere). Nel contempo, dimostrandosi affine alle competizioni a eliminazione diretta, Alvaro ha consegnato alla Juventus una bella fetta di Coppa Italia, grazie alla doppietta all’Inter e soprattutto al gol che ha permesso ai bianconeri di alzare il trofeo al cielo.
Chi definisce Morata un giocatore “da coppa” e soprattutto un giocatore “da Europa”, anche generalizzando sin troppo, non va molto lontano dalla verità. L’élite del calcio europeo, dal Real Madrid al Bayern Monaco passando per le inglesi e per certi versi anche per il Barcellona degli alieni, ha costruito le proprie fortune su giocatori con caratteristiche simili a quelle di Alvaro. I vari Bale, Ronaldo, Robben, Diego Costa, Aguero, Suarez, Aubameyang e compagnia sono giocatori molto diversi tra loro, ma appartengono alla stessa macrotipologia di calciatori: buona forza fisica, grande velocità, capacità di saltare l’uomo nell’uno contro uno, eccellente abilità nel centrare la porta da fuori area. In pratica, un compendio delle qualità che Alvaro, comunque non ancora all’altezza dei grandi sopracitati, ha messo in mostra in questa e nella scorsa edizione della Champions League. Per sollevare la coppa dalle grandi orecchie c’è bisogno di giocatori con queste abilità fondamentali, giocatori che è sempre più difficile trovare sul mercato a prezzi abbordabili.
La rete al Milan, un lampo nella notte che ha ridestato quanti stavano assistendo a una delle partite giocate peggio in tutto il 2016, chiude idealmente il cerchio per Morata, eroe eletto miglior giocatore della finale di Coppa Italia, e ne riapre un altro, nel quale Alvaro verrà giudicato non più come giovane promettente, ma come giocatore fatto e finito sul quale la squadra potrà e dovrà poggiarsi. La stagione 2015/16 non verrà certo ricordata come la migliore della carriera di Morata, ma probabilmente col senno di poi lo spagnolo la eleggerà ad annata più utile per la sua crescita, fatta di momenti che l’hanno aiutato a diventare un calciatore più diligente, più duttile e ancora più incisivo nelle gare che contano. Certo, la domanda è sempre la solita: dove avverrà la sua consacrazione definitiva? Come affermato dallo stesso Alvaro, prima c’è da pensare agli Europei in Francia, poi sarà Vinovo o Valdebebas. Noi, nel dubbio, la maglia numero 9 la lasceremmo ancora libera.
Alex Campanelli