Lo scudetto nell’anno della nascita del sentimento popolare

Maggio, si sa, è il mese in cui finiscono di solito le stagioni calcistiche e quindi per la Juventus sistematicamente mese di anniversari e commemorazioni. Il 24 maggio 1981 per esempio, battendo la Fiorentina 1-0 con gol di Cabrini, la squadra bianconera vinse per la diciannovesima volta il campionato. È un titolo ingiustamente poco considerato nelle retrospettive e invece uno dei più cari per chi c’era, arrivato alla fine di una stagione tesissima e più significativa di quanto non si pensi, nonché fra le più famigerate quanto a presunte malefatte bianconere.

Non solo e non tanto perché immediatamente successiva al clamoroso scandalo del calcio-scommesse con la sua coda di retrocessioni e squalifiche, o per la riapertura agli stranieri in serie A dopo quindici anni, ma perché in essa furono piantati i primi semi del famigerato “sentimento popolare” anti-juventino che a partire da quell’annata uscì dall’innocuo e in fondo ameno alveo del bar per farsi fenomeno mediatico. Complice una coincidenza singolare: sul campo la Roma sapientemente condotta dal barone Liedholm, che con l’innesto di un grande giocatore (Falcao) e l’abile trasformazione di un limite (la lentezza dei difensori) in virtù, si propone – insieme al Napoli di Marchesi – come nuova realtà di vertice del campionato; in tv contemporaneamente debutta il Processo del lunedì. Fa male a sghignazzare chi pensi soltanto agli ultimi anni della trasmissione ormai degenerata nel macchiettismo e nell’auto-parodia involontaria (non senza aver costituito elemento probatorio di spicco nei processi di “Calciopoli”): il Processo è un’idea geniale, che modellerà non solo l’informazione televisivia sportiva ma anche quella politica, rappresentando una sorta di nefasto format per i futuri talk-show che sostituiranno le paludate tribune Rai; e soprattutto, data la sua natura romanocentrica, darà visibilità e consistenza mediatica al vasto sottobosco della stampa sportiva della capitale, trasmettendone su scala nazionale umori, teorie, tic e paturnie, convergenti verso un punto fondamentale: la Juve ruba. Così gli spettatori Rai abituati fin lì all’asettica e impenetrabile imparzialità di Paolo Valenti, vedranno vecchi marpioni del giornalismo capitolino come Ezio De Cesari del Corriere dello sport o Gianni Melidoni del Messaggero, assurgere a opinionisti, senza far mistero della scatenata fede giallorossa. Folkore, si dirà. Eppure.

La Juve parte male, arranca, il suo nuovo acquisto Brady non ingrana. Alla sesta giornata c’è il derby, dove sale in cattedra l’arbitro Luigi Agnolin di Bassano del Grappa, che annulla un gol valido alla Juve e ne convalida uno non buono al Toro, che vnce 2-1. I bianconeri protestano furiosamente, Agnolin risponde mostrando il medio, dicendo a Bettega “vi faccio un culo così” (o secondo alcuni la variante dialettale “mi te fasso un cesto cussì”) e facendo squalificare 4 giocatori. Sospeso per alcuni turni Agnolin guadagnerà da quel frangente, anche grazie al traino mediatico, la fama di Incorruttibile e baluardo dell’integrità arbitrale, al punto che ancora nel 2006 sarà nominato commissario straordinario AIA nel pieno della buriana; non prima, però, di avere ricoperto l’incarico, negli anni ’90, di direttore generale della Roma. Ops.

I nostri si scuotono, il 23 novembre (giorno del terremoto irpino) Brady smette i panni dell’oggetto misterioso e segna una doppietta all’Inter campione in carica, la Juve torna in corsa pur fra alti e bassi, in scia dei giallorossi campioni d’inverno, poi inanella una bella serie all’inizio del girone di ritorno: la corsa è apertissima.

22 marzo, mentre Falcao e compagni impattano a Catanzaro la Juventus ospita il Perugia con più di un piede in serie B. Occasione ghiotta. E invece ecco che i grifoni si presentano col coltello fra i denti, segnano con Casarsa, muoiono su ogni pallone. A cinque minuti dalla fine il pallone balla sulla linea di fondo. Dentro? Fuori? Non c’erano le telecamere di oggi; Marocchino crossa, Furino si avventa e viene falciato, rigore e pareggio. All’ultimo giro di lancette ancora Marocco segna il gol che vale la vittoria e il primo posto. Bufera n° 1, sull’arbitro Terpin di Trieste: non arbitrerà mai più.

Bufera n° 2: Frosio, Pin e Dal Fiume del Perugia (quest’ultimo non perché abbia sentito direttamente ma perché gliel’han detto gli altri due) accusano Bettega di averli invitati a impegnarsi meno e a farlo segnare. Non che l’”accusa” sia chiarissima: non si capisce se Bobby abbia detto “Chi ve lo fa fare? Siete in B”, “Fatemi fare un gol tanto siete in B” o addirittura “siete una squadra da serie B” rispondendo a Frosio che preannunciava un secondo gol per gli umbri. Voi riderete pensando a Marco Materazzi che piagnucola in mondovisione all’Olimpico il 5 maggio 2002, e invece scoppia il putiferio, urlano il presidente e l’allenatore (Ulivieri) del Perugia, il Processo suona il piffero e forza lupi, si apre l’inchiesta che – non era il 2006 – si prende 30 giorni di tempo. Trascorsi i quali si sentenzia che la frase di Bettega, quale che sia stata, “contrasta con gli obbilghi di lealtà, correttezza e rettitudine sportiva” e merita perciò una “equa” squalifica di un mese: fuori quindi per le ultime tre di campionato, fra cui gli scontri diretti con Roma e Napoli. Ops.

10 maggio, Juventus-Roma. È il Turone-day, inutile dilungarsi, c’è fra noi chi ci ha costruito una fondata epopea. Gioverà solo ricordare la distrazione di Bergamo dal diabolico piano per favorire la Juve, allorché al minuto 63, dodici prima del noto gol annullato e mentre la Juve si divorava con Fanna e Prandelli il possibile vantaggio, mostrò il rosso a Furino. Ops.

Il resto, da Causio falso nueve al gol di Verza al San Paolo alla ratifica finale contro la viola il 24 maggio, è storia. La Juve vinse il diciannovesimo che si ritaglierà il suo posto negli annali degli scudetti “rubati” (per qualcuno com’è noto a tutti, con un’apertura di credito sul 1905).