Come tanti tifosi bianconeri, ho guardato la finale di Champions League con il magone, senza riuscire a smettere di pensare che, anche stavolta, vent’anni dopo l’ultimo trionfo e con la finale giocata in Italia come allora, non è stato il nostro anno. Molti segnali mi confortano però in vista di un futuro in cui la Juventus ha come obiettivo dichiarato quello di riportare la coppa dalle grandi orecchie a Torino.
Mentre spegnevo il televisore sui festeggiamenti del Real (e pensavo a Evra che non spazza), mi è venuto in mente questo articolo, scritto per Juventibus pochi giorni dopo il sorteggio degli accoppiamenti per gli ottavi. Allora, cercavo di dare una forma alle mie angosce, derivanti dal timore che la Juve venisse eliminata e, sparendo “troppo presto” dalle competizioni europee per il 2015/16, distruggesse quell’appeal che si era (ri)creato arrivando in finale l’anno prima. Temevo soprattutto che, facendo un passo indietro nelle gerarchie continentali, non riuscissimo più a trattenere i talenti o attrarre altri giocatori di livello, entrando quindi in una spirale che ci avrebbe visti allontanarci ancora di più dalla possibilità di trionfare nuovamente in questa competizione. Mi sbagliavo: la Juve è effettivamente uscita contro il Bayern, ma la sensazione è che il gap con le tre superpotenze (Barça, Bayern, Real) si sia ridotto, e gli animi si siano rinsaldati.
Innanzitutto il modo in cui si è perso contro i bavaresi ha lasciato, oltre all’amarezza, una grande consapevolezza dei propri mezzi. La squadra, priva di tre titolari indiscussi, avrebbe potuto trovarsi facilmente sullo 0-3 dopo il primo tempo. Se rischiavamo di vincere all’Allianz giocando con Hernanes titolare, significa che, a ben guardare, i fattori decisivi che sono mancati per arrivare in fondo a questa Champions sono stati il cinismo e la sorte.
L’evoluzione della competizione non ha fatto altro che confermare quanto sopra, e far aumentare i rimpianti: da una parte il Barcellona (personalmente, la squadra che temevo di più) non è uscito indenne dal blackout di aprile, e così, resistendo all’Allianz, un coriaceo Atletico è approdato in finale. Dall’altra, un Real sbiadito rispetto a quello da noi battuto l’anno scorso ha superato, non senza fatica, tre avversari totalmente alla nostra portata: Roma, Wolfsburg e quel City a cui abbiamo regalato il primo posto nel girone. Queste squadre apparivano tutte inferiori alla Juventus di quest’anno, compreso il PSG, caduto ai quarti senza brillare. La sconfitta beffarda di Monaco e le riflessioni sulla qualità della rosa e lo stato di forma delle squadre che si sarebbero incontrate dai quarti in poi devono aver generato rimpianti e voglia di rivincita anche nei giocatori, oltre che nei tifosi. Nonostante l’eliminazione a quello che resta uno stadio ancora embrionale della competizione, deve essere maturata nei giocatori una certa consapevolezza di non essere poi così lontani dal livello di alcune squadre che sono arrivate alle semifinali, o di essere addirittura superiori. Credo che sia stato questo a evitare che ci fosse la fila verso la porta di uscita, a suon di “Vado via per vincere la Champions altrove” (cit.). Al contrario, si sentono tante dichiarazioni che portano a pensare che proprio il desiderio di riprovare a conquistare questa coppa in maglia bianconera sia ciò che tiene a Torino Pogba.
Proprio il francese è un personaggio chiave per la visibilità in Europa della Juventus. Oltre ai suoi innegabili meriti in campo, Pogba è appena stato indicato da Sports Pro come il secondo sportivo al mondo per valore commerciale (è il primo calciatore, in quanto il primo atleta in assoluto è Stephen Curry). Il suo posizionamento in questa classifica è solo il sigillo di un’esposizione mediatica molto intensa, che gli è valsa lo scorso mese due copertine prestigiose: So Foot (#136) e Eight by Eight (#8). Tutto ciò è dovuto, probabilmente, anche al recente contratto stipulato con Adidas, al suo essere uno dei giocatori cardine della Francia favorita agli Europei, e, last but not least, al suo look stravagante e alla sua personalità swag, che si manifesta tanto nelle esultanze quanto sui social. Pogba è un magnete, facendo parlare di sé rende visibile la Juve, e ha trovato nel predestinato Dybala, molto presente anche lui sulla stampa estera e additato spesso come la possible next best thing del calcio mondiale, il suo perfetto complice.
Un altro giocatore quest’anno ha lasciato l’Europa a bocca aperta: Buffon. Il numero uno bianconero non solo ha disputato una delle sue migliori stagioni in carriera, centrando il record di imbattibilità, ma, da capitano, ha anche guidato la Juve a quella rimonta che ha reso la vittoria del campionato un’impresa, e in quanto tale ha meritato più risonanza mediatica rispetto a una vittoria “normale”. Anche Buffon è finito sulla copertina di So Foot, il mese prima di Pogba (#135). L’hype mediatico internazionale generato da questi tre giocatori in particolare e dalle loro prestazioni, ha permesso alla Juve di rimanere visibile e rispettata, anche più di squadre che si sono avvicinate maggiormente alla finale di Milano.
Nella teoria delle reti, si dice che il valore di una rete aumenta con il quadrato dell’incremento del numero dei nodi; più campioni ci sono in una squadra, più la squadra avrà valore e attrarrà altri campioni, as simple as that. La Juve è uscita troppo presto dalla Champions 2015/16, ma durante questa stagione ha offerto un’immagine di sé molto positiva: allenatore professionale e competente, gruppo saldo, ricco di giocatori di alto livello, ambiente sano in cui le operazioni di lancio dei giovani (Dybala, Morata) sono ben riuscite, e quelle di rilancio (Khedira, Evra) anche. Questi sono i principali motivi per cui giocatori del calibro di Dani Alves sono interessati a far parte del progetto e per cui, anche se non mi aspetto spese folli da parte della dirigenza, la Juventus potrebbe essere una destinazione appetibile per altri grandi nomi.
In primavera, durante un’intervista, Buffon ha dichiarato che il progetto della società è quello di lavorare per disputare nuovamente una finale di Champions entro i prossimi due anni. L’affermazione non sembra una sbruffonata, è anzi altamente credibile, vista la direzione presa dalla società e gli intenti molto trasparenti. E, visto che tra due anni Buffon lascerà il calcio, sembra quasi rivelare un patto tacito: lavorare tutti insieme per riuscire a vincere la Champions prima del suo ritiro. Vincere, non “disputare una finale”. Questo deve essere l’obiettivo della Juve, che quest’anno pur cadendo è riuscita a mostrare all’Europa il suo profilo migliore.
Elena Chiara Mitrani.
+ qualità e intelligenza, – quantità
La difesa fa vincere il campionato, ma l’attacco ti fa trionfare in Europa. Se è giusto – e lo è – descrivere le diverse situazioni di gioco che si riscontrano in Champions League facendo notare i miglioramenti della Juventus nell’accettare un calcio più aperto, più rischioso, un calcio in cui non si può pensare di entrare in campo sistemando le proprie pedine sulla scacchiera senza incontrare forti resistenze, si deve arrivare alla conclusione che sono le qualità tecniche e fisiche abbinate all’intelligenza calcistica dei singoli giocatori a fare la differenza. E’ squisitamente una questione di letture delle situazioni, di continui adeguamenti alla realtà e di forza nel far male agli avversari.
Qualità, qualità, qualità, quindi. La Juventus può contare su una delle migliori fase difensive continentali, un reparto difensivo che non è stato toccato negli anni e che fa anche della conoscenza reciproca un punto di forza; lo stesso non si può dire dell’attacco dove gli interventi della dirigenza, voluti o dettati da scelte dei giocatori, si continuano a susseguire. Anche quest’estate il parco attaccanti non verrà molto probabilmente risparmiato da nuove entrate e uscite: Morata ha molte possibilità di partire, Berardi sembra pronto ad arrivare a Torino. Se la privazione forzata di un giocatore, specialmente se ha fatto vedere lampi assoluti di classe, fa scattare immediatamente la vedovanza calcistica (qualche anno fa lo stesso allenatore piangeva la cessione di due riserve come Matri e Giaccherini), non si può non essere soddisfatti per l’arrivo di uno dei migliori talenti europei dell’annata 1994, uno che in tre anni di campionato ha realizzato 38 gol e 23 assist.
Fermarsi a questa sostituzione non andrebbe però a migliorare il reparto – sebbene l’ala del Sassuolo potrebbe riempire non solo la casella del vice Dybala ma consentirebbe ad Allegri diverse soluzioni tra le quali anche il ritorno al 4312 -, specialmente perché Zaza non accetterebbe probabilmente di vivere un’altra stagione da quarto attaccante, un’ipotesi che si fonda anche su dichiarazioni dello stesso attaccante nelle quali ha fatto chiaramente intendere di aver vissuto con qualche insoddisfazione il proprio status; una sua cessione potrebbe consentire alla Juventus di andare a completare il reparto. Zaza è un finalizzatore, ancora in difficoltà nel dialogo con i compagni, che non ha pienamente convinto nelle occasioni in cui è stato chiamato in causa dal primo minuto; un vero e proprio centravanti, un uomo che staziona nell’area di rigore, non sarebbe digerito nel gioco di Allegri e verrebbe rigettato come successo a Llorente. Servirebbe quindi una prima punta mobile, abile a muoversi lungo il fronte dell’attacco, rapido, tecnico, bravo nelle situazioni in campo aperto.
Qualità quindi. Anche a centrocampo. Se è fondamentale trovare un vice Marchisio, lo è altrettanto trovare un interno dotato tecnicamente, di letture tattiche: è in quel reparto che nasce l’equilibrio difensivo e si creano le occasioni per segnare.
Liberarsi degli esuberi – ringraziando magari i ricchi proventi dei diritti tv in Inghilterra – per costruire una squadra che può contare su 15-16 titolari di ottimo livello e con più giocatori a centrocampo e attacco determinanti nelle partite in cui una giocata di un singolo risulta spesso decisiva. In fondo sono i calciatori a essere i protagonisti; è la loro qualità a fare la differenza.