Ormai siamo alle porte del campionato di calcio 2016/2017, e tiene banco il passaggio da parte di Gonzalo Higuaín dal Napoli alla Juventus etichettando l’argentino come il “traditore” per eccellenza. Ritornando indietro di qualche anno, Gonzalo nasce nella cittadina francese di Brest nel 1987 a causa del padre Jorge, anch’egli calciatore, appena acquistato dal Boca Juniors dalla squadra locale bretone.
Nei primi mesi di vita è costretto ad affrontare la sua prima sfida personale per colpa di una meningite fulminante che riuscirà a sconfiggere appena in tempo grazie all’assunzione quotidiana di medicinali per diversi anni.
Gli Higuaín sono conosciuti per la loro forte personalità ed il loro marcato temperamento, la loro attitudine nel volersi cimentare in nuovi contesti e l’ambizione di voler essere i migliori nonostante questo comporti prendere decisioni impopolari agli occhi dei comuni tifosi.
Sorprendentemente secondo la madre Nancy il carattere del figlio non è dato tanto dal padre quanto dalla sua famiglia Zacarías, dedita alla passione del pugilato ed uno zio di nome Claudio, anche lui calciatore e compagno di squadra del cognato Jorge al Boca che sopravvisse addirittura all’esplosione di una bomba carta posizionata davanti alla vetrata che delimitava lo spogliatoio del San Lorenzo in cui militava all’epoca e la compagine di casa dell’Instituto de Córdoba prima della partita decisiva per il campionato argentino che vedeva proprio la squadra di Almagro fronteggiare il Newell’s Old Boys alla testa della classifica. Una scheggia di vetro causata dalla deflagrazione si conficcò sotto l’ascella sinistra di Claudio Zacarías rischiando l’inevitabile amputazione completa dell’arto e l’inesorabile conclusione della carriera sportiva.
Detto questo, la scelta personale di Gonzalo, condivisibile o meno, non è una novità per chi porta il nome degli Higuaín.
E’ il 1986 quando Jorge Higuaín detto “El Pipa”, di professione difensore centrale, duro ed arcigno, il tipico difensore odiato da tutti gli attaccanti avversari, approda nella capitale Buenos Aires, sponda xeneises e nonostante la sua permanenza duri soltanto un anno, il suo carisma naturale gli permetterà di essere eletto capitano della squadra ed acclamato da tutta la Bombonera.
L’anno seguente il presidente francese François Yvinec decise di modificare il nome della sua squadra in Brest Armorique per creare un nuovo progetto vincente che potesse far conoscere la piccola squadra della Bretagna oltre i confini nazionali ed introdurre una politica di “calcio-business” che permettesse l’acquisizione dei migliori calciatori sudamericani disponibili sul mercato per aumentare il tasso tecnico dell’intera formazione.
Con queste prospettive Jorge si trasferisce in Francia, ed è proprio in quel periodo che nasce il figlio Gonzalo. L’esperienza europea purtroppo si rivelerà un autentico disastro ed il Brest addirittura retrocederà in Division 2 mentre Jorge anche a discapito di altri 4 anni di contratto lascia il club in seguito all’acquisto del paraguaiano Roberto Cabañas causando il superamento del numero massimo di calciatori stranieri in rosa attivo negli anni ’80.
E’ qui che il destino di padre e figlio si collega come attraverso un leggero filo rosso che porta l’argentino a fare forse la scelta più facile, probabilmente la più ambiziosa ma sicuramente la più controversa approdando di nuovo a Buenos Aires ma questa volta tra le file del River Plate scatenando chiaramente il dissenso generale. Qui Jorge rimarrà molto più di una stagione, vincerà anche il campionato nel 1989 e lo farà con la fascia di capitano al braccio, perché chi ha le qualità da leader, prima o poi, raggiunge la posizione di comando ovunque si trovi.
E’ proprio nei Millionarios che nasce la storia calcistica del Pipita che lo porterà poi alla corte del Real Madrid fino all’ambizioso Napoli di Aurelio de Laurentiis che ha bisogno di un attaccante di primo livello per sostituire il partente Edinson Cavani al PSG.
Il primo anno in Italia è più che soddisfacente, fa registrare 46 presenze condite da 24 reti, si aggiudica anche il primo trofeo, la Coppa Italia contro la Fiorentina in un clima surreale a causa delle note vicende extra sportive fuori dallo stadio. D’altronde un progetto vincente si costruisce negli anni ed anche se la Juventus, il nemico pubblico numero uno, sia arrivata a quota 102 punti non fa paura, perché i cicli prima o poi sono destinati a finire e la partenza di Conte e l’arrivo di Massimiliano Allegri il primo giorno di ritiro sembrano confermarne la certezza.
Il primo ostacolo da superare per il Napoli è il turno preliminare di Champions League contro l’Athletic Bilbao dove Gonzalo fa esplodere il San Paolo con una rete delle sue ma che purtroppo non basta per evitare l’eliminazione. La rivincita sperata si verifica proprio nel mese di dicembre dove è in palio la Supercoppa Italiana a Doha, una occasione irripetibile da non perdere assolutamente, l’inizio della partita in realtà non è proprio di buon auspicio quando appena passati 5 minuti, un pasticcio difensivo porta Tévez solo davanti al portiere per il vantaggio bianconero, come detto questa è la partita di Gonzalo e lui non si fa attendere ed al 68° pareggia. Nei tempi supplementari con un gioco di prestigio, “il falso argentino che gioca a Torino”, elude la marcatura di Koulibaly e segna di nuovo, questa volta sembra veramente la fine, ma il Dio del calcio è imprevedibile ed il Pipita a 2 minuti dal termine, trova inaspettatamente il pareggio rigirando il pallone da terra alle spalle di Buffon. La nota significativa non è tanto la rete segnata che porta ancora il Napoli a sperare ma è l’esultanza che Higuaín rivolge verso i suoi compagni mostrando gli “attributi” con un gesto delle mani, è lì che la partita si ferma ed infatti la sequenza rocambolesca dei rigori consegna la vittoria alla squadra partenopea.
Il campionato invece non si rivela però degno delle aspettative previste ed il Napoli è costretto a rincorrere la terza posizione in classifica alle spalle della Roma e della Juventus che non ha per niente intenzione di mollare lo scudetto. Il 10 maggio in piena corsa Champions League, il Parma già fallito di Donadoni costringe i partenopei al pareggio ed il Pipita non gradisce per niente la perdita di tempo del portiere Mirante scatenando un parapiglia finale. Lo score conclusivo di Higuaín è di 58 presenze e 29 reti, le ultime due nello scontro decivo contro la Lazio all’ultima giornata dove rimette letteralmente in piedi una partita persa che poi contribuirà a perdere veramente sbagliando il rigore del 3-2.
Il terzo anno per Gonzalo Higuaín deve essere quello della consacrazione, il ricordo della Coppa America persa grazie anche ad un suo altro rigore fallito, è ormai lontano, la squadra c’è, il nuovo tecnico Sarri promette faville e la Juventus finalmente ha perso il perno centrale della squadra dopo l’addio di Pirlo, Vidal e Tévez, questa deve essere per forza la volta buona ed infatti sembra proprio essere così, l’avvio dei bianconeri è disastroso, l’Inter di Mancini, in testa per tutto il girone d’andata comincia il suo declino a gennaio e la Roma di Garcia insieme alla Fiorentina di Paulo Sousa hanno da parecchio lasciato il passo. La media realizzativa del Pipita è impressionante, segna in ogni modo e da ogni posizione ma dal mese di marzo, i bianconeri inanellano una serie impressionante di vittorie che li porta a ridosso proprio della squadra napoletana, adesso lo scontro tra le due squadre è serrato e la contesa sembra risolversi a Torino nella gara di ritorno dove purtroppo il Pipita resta in disparte, la BBC è molto di più di quello che era al principio e la Juve mette la freccia.
La posizione da inseguitore per chi è sempre stato davanti da 3 mesi a quella parte sembra più difficile del previsto ed i nervi saltano definitivamente nella gara di Udine dove Gonzalo reagisce male alle continue provocazioni e si sfoga verso l’arbitro Irrati beccandosi 3 giornate di squalifica. Lo scudetto ormai è perso ancora una volta ma c’è sempre un obiettivo da raggiungere, il record di reti siglato da Gunnar Nordahl addirittura nel 1950.
La partita finale contro il Frosinone è una apoteosi, il Pipita supera il record firmando la tripletta finale in rovesciata chiudendo la stagione con 36 reti in campionato (38 totali) in 42 presenze.
La gente di Napoli lo acclama come il nuovo Re di Napoli, addirittura affiancando la sua figura a quella di Diego Armando Maradona, l’unica differenza sostanziale tra i due argentini però è soltanto una: Vincere. Alcuni mesi dopo l’Albiceleste perde di nuovo la Coppa America contro il Cile ai calci di rigore ed Higuaín viene accusato nuovamente di aver contribuito alla sconfitta dopo alcune occasioni limpide sprecate durante la partita, la rabbia chiaramente c’è, ma è già successo l’anno prima e dopo il conseguimento del record manca solo lo scudetto, il problema è che nei primi giorni di luglio Pjanic, Dani Alves e Benatia approdano a Torino mentre alla sponda del Vesuvio, dopo i numerosi “NO” incassati, arrivano Tonelli e Giaccherini, buoni si ma con tutto il rispetto non abbastanza per competere con una squadra che ha vinto il suo quinto scudetto consecutivo.
E’ qui che il passato si ripropone, è qui che il destino del padre si unisce a quello del figlio, la scelta sarebbe facile, sicuramente molto ambiziosa ma impopolare, e anche questa volta il flusso naturale delle cose fa il suo corso, la natura non si può cambiare, la voglia di vincere non si può ingabbiare.
Higuaín gente di razza orgogliosa, sanguigna e passionale, che non può far passare di essere chiamato “chiattone” nel momento in cui si sta dando il cuore, Gonzalo Higuaín si può solo odiare o amare ma dai suoi occhi sai che sarà sempre più importante vincere che partecipare.
Di Alain Di Lupo
Scusate il ritardo – Ho visto Pipa volare
Juve-Fiorentina non si è mai giocata. Solo un ologramma, tutto finto, una grandissima illusione.
La percezione dell’inesistenza di Juve-Fiore si è avuta già in sede di sorteggio calendari, quando Sconcerti, la cui lucidità negli ultimi anni è valsa un passaggio da Sky a Rai, dichiarava sicuro: meglio incontrarla subito la Juve, che all’inizio sarà un po’ svagata, da assemblare. E poi si sa..le partenze di Allegri..
Pian piano che ci si avvicinava all’evento fantasma, si avvertiva l’assenza del solito rituale pre Juve-Fiore. Mancavano i paginoni sulla sfida delle “due grandi rivali storiche” (la Juve ha 18 grandi rivali storiche, tolto il Sassuolo, che infatti regolarmente ci frega..). Mancava qualcosa, mancava tutto in realtà: silenzio da Renzi, impegnato a gufare l’ital-volley, nemmeno una battutina salace da Carlo Conti, Pieraccioni e Panariello, una frecciatina colta da Zeffirelli o Pontello, un bestemmione livoroso di Agroppi, un j’accuse violento di Della Valle al Giovine Elkann. Niente di niente, perfino i mastri porcellanai di Ponte Vecchio se ne stavano a braccia conserte, senza lavorare alacremente alle tazze commemorative che avrebbero celebravato il “+3” da tramandare ai posteri.
Nada de nada. Silenzio tombale. Preventivo? E pensare che all’annuncio delle formazioni l’assist l’aveva fornito Paulo Sousa (manco più citato come l’ex-avvelenato che ci costò una Champions..): il giovane Federico Chiesa, figlio del che avrebbe potuto rinverdire la purga subita illo tempore dal padre Enrico, magari infilandoci quella spruzzatina di Batigol che insaporisce il piatto. Anche il mesto Pepito Rossi in panchina non veniva acclamato dai media come “Colui che fece il Triplete alla Juve”, ma anzi “l’autore dello schiaffo che svegliò la Juve dei 102 punti”.
Come mai tutto ciò? Niente Juve-Fiore dei bei tempi, golosissima torta mediatica dell’Antijuventinismo militante? Perché Juventus–Fiorentina mediaticamente non si è giocata per i 3 punti, ma solo ed esclusivamente per iniziare a sparare a zero sui 90 milioni buttati dalla Juve beffata dal volpone De Laurentiis. Ma sì, l’istrionico O’ Presidente che da tradizione napolista ci aveva rifilato il “paccotto” , facendosi pagare un milione al chilo per un gordo che non avrebbe mai ripetuto la storica annata neo-borbonica.
Già la panca per Higuain rappresentava una solenne bocciatura per essersi presentato in ritiro con una quindicina di chili in più, abbronzato e addirittura sorridente! Tutti addosso con: “Ma come si permette, guadagna fantastiliardi e si presenta chiatto, mentre i cassintegrati fanno la fame, gli immigrati ci soffiano il lavoro e i marò (il marò!), per tacere della mancanza di rispetto per i suoi ex-tifosi, manco un video strappalacrime con citazione di Gigi D’Alessio!”
La gara infatti è iniziata e sì, vabbè, la Juve gioca bene, Dani Alves, Dybala, Khedira, un Asa ritrovato, ma sti grandissimi cazzi! Interessa solo e soltanto il Chiattone: 39 telecamere Sky e Premium su 40 erano solo e soltanto rivolte sulla panca, verso Higuain, grasso, stempiato, canuto e anche un po’ ingrigito e imbruttito senza più sole e calore partenopeo. L’ incanalarsi della gara verso i binari di una tranquilla vittoria non faceva che rimarcare per i cronisti quanto forse fosse quindi SUPERFLUA quella zavorra giacente in panca.
In questo clima di “La Juve vince, ma il Pipita resta chiatto”, Allegri decide di concedere quantomeno ai 40mila dello Stadium modesti 20 minuti a Higuain, così giusto per tenerlo un po’ in attività. Il Pipa entra, si prende il boato e i flash, ed ecco che tempo 2 minuti e subito diventa Sfhiguain, col pareggio viola, subito capace di compromettere una vittoria scontata con la sola presenza. Da Milano a Napoli, si alza un coro gaudioso: 90 milioni e appena entra la Rube becca gol!
E invece NO.
Gonzalo Gerardo prende le chiacchiere, le cattiverie, gli insulti, gli anatemi, le bestemmie, le maledizioni e maldicenze e tirando dentro la panza, al primo guizzo, al primo tocco, al primo lampo, si muove come una farfalla e punge come una vespa. Mi pagano per essere dove gli altri non sono e metterla lì dove gli altri non arriveranno. Eccomi qua.
Tempo 8 minuti e una manciata di secondi e Gonzalo Gerardo è lì, dove sarebbe stato l’altro franco-argentino del nostro cuore, Trezegol, e la mette lì, dove la metterebbe l’acerrimo rivale Batigol. Ma adesso c’è Gonzalo Gerardo e in un istante diventa Treze e Bati insieme, stessa tecnica, potenza, fame, cattiveria e amore carnale per il gol.
Ed è qui che tutti capiscono che Juve-Fiore è finita anche se non c’è mai stata. Per tutti gli altri c’è la sensazione cupa di una Juve che è sempre la Juve e di un Higuain che, ahiloro, è sempre Higuain. Per noi è un inizio – ho visto il Pipa volare – . Per loro è una routine, per noi forse no, quel colpo di fioretto-sciabola-sparo e tutte gli sport olimpici messi assieme rappresenta forse non solo l’ennesima goduria estiva, ma qualcosa in più.
Per il Pipa è la parola fine e la parola inizio insieme. Alla Juve si pretende il meglio, e si ha la netta la sensazione che il meglio sia arrivato e sia proprio qui con noi, altro che “deve ancora arrivare”. La sensazione di un novello Del Piero ce l’abbiamo nel veder volteggiare la Joya, ma la sensazione del primo gol di Gonzalo Gerardo, ancora in fieri, ancora in divenire, è qualcosa che va forse oltre Tevez, oltre anche Trezeguet, chissà..
Si chiude così la prima gara che non c’è stata, così come non ce ne saranno altre, nell’attesa di un passo falso che quando verrà sancirà (forse) l’ inizio di un campionato vero e l’incanto della nostra invincibilità in A. Per ora la sensazione è quella di una lunghissima tournée di preparazione al vero unico obiettivo che farebbe finalmente volare Pipa nell’olimpo dei grandissimi, scrollandogli di dosso l’etichetta di eterno secondo.
Dallo Juventus Stadium al Millennium Stadium (andatevi a cercare dov’è..)