Di Calciopoli dovrebbero parlare quelli che sinora non l’hanno fatto, per scelta o ruolo. Di quanto avvenuto in quella tarda primavera ed estate di 10 anni fa dovrebbero esprimersi in tanti. Invece resta il silenzio. Se non peggio. La diceria. Ad esempio piacerebbe a tanti, sicuramente, sapere dal presidente del Tar di allora, un napoletano di grande rilievo istituzionale come Pasquale De Lise, se quel ricorso della Juventus poteva veramente far saltare il tavolo, bloccare tutto. Ed in questo alveo ci starebbero bene le parole di Luca Cordero di Montezemolo rispetto al fatto che quell’istanza preparata tra camere d’albergo e tavolini di ristorante doveva esser ritirata, per il bene di tutti. Adesso che non conta più come prima forse l’ex presidente della Ferrari potrebbe dire, potrebbe. Il coro di attuali silenziosi andrebbe completato da una memoria di Romano Prodi che allora era presidente del consiglio.
Sarebbe bello un film fatto così. Con le confessioni di quelli che non hanno mai chiarito cosa è stato e perché. Alla fine ci starebbe bene un monologo di Luciano Moggi, come Marlon Brando in Apocalypse Now, nel quale ammettesse responsabilità vere. La ripresa la farei fare nella cucina di casa sua, con dietro la moglie e le foto in bianco e nero di lui quasi ragazzo, negli hotel dove si faceva il calciomercato. Se poi Blatter leggesse qualcosa e Guido Rossi completasse il quadro non verrebbe ancora da chiedersi il perché, aumentando gli interrogativi, i dubbi, le soluzioni che non arrivano mai. Perché poi chissenefrega la Juve ha ripreso a vincere e sembra a portata di salto un trampolino per conquistare quello che altre squadre sognano da tanto, ma non hanno mai nemmeno accarezzato.
In mezzo a queste pagine bianche, che nessun libro di storia c’è da scommettere completerà mai, resta il silenzio che si respira in un viale di cimitero, poco lontano dalla tomba di Giorgio Tosatti, un giornalista eccelso che venne gettato nel fango solo per aver fatto il suo lavoro, coltivando rapporti e scrivendo notizie. Nella penombra si potrebbero rileggere alcuni eventi sportivi che non sono mai entrati nei processi ma che pure segnarono la cronaca di quegli anni, con la squadra che cantava Battisti-Mogol e si sentiva sempre contro tutti, manco fosse una come le altre, senza il sangue blu nelle vene. Allora ascolterei il ritornello di Mark Iuliano contro Ronaldo, ed il 5 maggio 2002, nella sua tragedia interista.
Il lungometraggio avrebbe come filo conduttore la storia di quei pazzi che ascoltarono “quasi” tutte le intercettazioni depositate nel processo di Napoli e fecero finalmente quello che non era stato fatto. Operai, addetti alle pulizie, impiegati, professionisti, disoccupati. Hanno rubato il tempo alle fidanzate, ai figli, alle partite di calcetto con gli amici, per sentire nel chiuso delle stanze i dialoghi smozzicati e confusi che si trovavano nascosti dentro quei cd-rom. Con difficoltà hanno ricostruito parte di quel panorama in cui mancavano i pezzi, aiutandosi con i ‘libri neri’ ed i giornali, mettendo insieme la testa di qualcuno e gli atti d’accusa che indicavano una strada, un senso unico.
Perché in mezzo a questo confusione è venuto fuori il ‘piaccia o non piaccia’ di quel pubblico ministero, gli incontri casuali tra quel magistrato e alcuni dirigenti milanesi, i libri presentati e discussi per dire che Moggi era il diavolo e che anche il diavolo era stato fregato in fondo.
Silvio Berlusconi sarebbe una voce non male per spiegare. Così come Adriano Galliani e gli altri che ad un certo punto dissero sì, fate quel che volete ma sbrigatevi. Qualcuno queste cose le ha riferite, ma non è stato molto creduto, seguito. E’ finito quasi nel dimenticatoio, in giornali morenti. Non può essere un caso, allora. Perché Agatha Christie insegna che l’assassino è sempre quello più vicino e mai quello con i sospetti e le luci scure.
Simone Navarrra