Palermo-Juve: qualche pagina di storia

Ripercorriamo alcuni episodi del racconto della sfida fra la Juve e i rosanero al “Renzo Barbera”

Sono finora 27 le sfide giocate allo stadio di Palermo fra la Juventus e la squadra di casa. E quella delle partite fra le due squadre è una storia che, nel corso dei decenni, ha visto protagonisti praticamente tutti i più grandi campioni della storia bianconera.

Intanto, riassumiamo i precedenti: si diceva, su 27 partite, la Juve ne ha vinte 13 e pareggiate 8, segnando la bellezza dei 35 reti in terra di Sicilia.

Le ultime tre di queste reti portano la firma di Morata, Sturaro e Zaza: è il 29 novembre 2015 e la Signora passa con un netto 3-0.

 L’ultimo pareggio fra le due squadre, invece, ha curiosamente una data molto lontana: per la precisione, si verifica il 9 febbraio 1969, e fa tutto la Juventus, dato che al minuto 52 sarà  Haller a pareggiare un’autorete di Salvadore al quarto d’ora del primo tempo.

Abbiamo visto l’ultima vittoria e l’ultimo pareggio: con un volo pindarico torniamo invece alla prima vittoria, che è datata 1933: lo stadio palermitano porta il primo nome della sua  storia, “Littorio” (gli altri saranno “Favorita” e, in tempi recenti, appunto “Barbera”), ed è una doppietta di Monti a permettere ai bianconeri di prevalere.

Nel mezzo sono molte le vittorie da ricordare, come il 3-1 del 1970, firmata da Vieri, Del  Sol e da un siciliano Doc (seppur catanese e non palermitano”, “Pietruzzu” Anastasi.

Oppure, quella del 1972, griffata da una zampata di José Altafini: questa zampata, per capirci.

Quella partita resterà particolare, poiché Juve e Palermo non si affronteranno più in Sicilia per qualche decennio: si dovrà attendere il 2005 per rivivere una sfida fra bianconeri e rosanero, e il 2006 (doppietta di Mutu) per rivedere la Juve vincere al Barbera.

Ma dicevamo di grandi nomi: non ne mancano affatto, per esempio, nel 5-1 datato 1951 alla Favorita: Boniperti, Muccinelli, Praest,  Vivolo e Hansen. E non ne mancano nemmeno in tempi più recenti, se si pensa che, nel 2009, i conti di Palermo-Juve vengono chiusi da David Trezeguet, dopo che Momo Sissoko aveva segnato il primo dei due gol bianconeri in quella partita.

Due a zero, così come quello di tre anni dopo (Bonucci e Quagliarella i marcatori): quella vittoria fra l’altro inizia un miniciclo, tuttora aperto. Da allora, infatti, la Juventus ha vinto tutte le ultime sfide a Palermo, giocate il 9 dicembre 2012 (1-0, Lichtsteiner), il 14 marzo 2015 (identico punteggio, rete di Morata) e, come raccontato all’inizio, quasi un anno fa.

Per ora quindi è un poker bianconero a chiudere la storia di Palermo-Juve, che si riaprirà proprio fra due giorni.

IN PRINCIPIO FU JAVIER PASTORE – Intersezioni in bianco-rosa-nero. Da Vycpalek a Dybala, passando per Amauri e Cavani

IN PRINCIPIO FU JAVIER PASTORE – Intersezioni in bianco-rosa-nero. Da Vycpalek a Dybala, passando per Amauri e Cavani

Lo sbarco di Maurizio Zamparini a Palermo fu salutato da noi palermitani, quasi tutti tifosi di nascita delle oggi odiate “strisciate” (anche se in realtà quella realmente odiata è solo una, lascio a voi immaginare quale), come la possibilità di vedere dal vivo il grande calcio. Solo sporadiche occasioni, in passato, di assaporarne l’ebbrezza.
Sei anni prima, ad esempio, quando la vittoria per 6-1 al Parc des Princes fece subodorare alla Triade la possibilità (quasi certezza) di un Delle Alpi vuoto e spettrale per il ritorno della finale di Supercoppa Europea contro il PSG. Così qualcuno rammentò che la storia di Palermo, e del Palermo, è intrecciata con quella della Juventus.
L’amicizia tra l’Avvocato Agnelli e i Principi Lanza di Trabia, Cestmir Vycpalek, Vladimiro Caminiti, Beppe Furino, Totò Schillaci, Salvatore Giglio, sono solo alcuni fotogrammi in comune tra i due romanzi. La Sicilia è un feudo gobbo.

Si giocò così alla Favorita, nome storico dello stadio ristrutturato per Italia ’90, oggi un po’ trasandato ma comunque tra i migliori d’Italia come architettura e visibilità dagli spalti. La città era elettrica. Io, allora sedicenne, il giorno della partita dovetti marinare il liceo perché ero impreparato in tutte le materie: trascorsi il pomeriggio precedente a guardare l’allenamento e ad andare a caccia di autografi dei miei beniamini. Raccolsi quelli di Peruzzi, Porrini e Zidane. Gli ultimi che io abbia raccolto.
Dopo poco capii che le loro firme contavano poco anche sui contratti, e che l’unica garanzia per la mia passione era quella maglia a strisce, quale che fosse il nome e il numero stampato dietro, anche se qualche eccezione al sentimentalismo ancora la concedo. Della partita ricordo un Del Piero entusiasmante e l’esplosione di Bobo Vieri, fin lì oggetto misterioso, che da quella sera iniziò a prendersi in spalla l’attacco della Juve, fino alla sciagurata finale di Monaco, alla bugia di Moggi all’Avvocato e ai 34 miliardi dell’Atletico Madrid. Quello che rimane più impresso però è lo stadio stracolmo, traboccante di gioia ed entusiasmo per la visita di Madama in un’occasione così prestigiosa.
Da quella sera poche gioie, per il pubblico palermitano, arrivarono dalla squadra di casa. La caduta fino alla C2, il ripescaggio in C1 per il fallimento dell’Ischia, la promozione in B nell’era Sensi in un pomeriggio del 2001 molto simile al 5 Maggio dell’anno dopo, con Vittorio Torino del Messina in versione Gresko e l’avellinese Caridi precursore di Poborski nel rovinare gemellaggi ed happy ending scontati. Poi il disimpegno del patron giallorosso e, a metà di un’estate anonima, l’avvento dell’imprenditore friulano col travaso di mezza squadra del Venezia (club di cui era proprietario fino a quel momento) con nomi altisonanti come Maniero, Di Napoli, Marasco, Conteh e altri acquisti big come Alessandro Lucarelli, Zauli e l’ex granata Antonino Asta, nato a 50 km da qui e l’anno prima nel giro della nazionale.
E’ il risveglio di una passione sopita, ma il campionato finisce male, la promozione in A sfuma al termine di un match/spareggio perso 3-0 contro il Lecce di Vucinic. Promozione solo rimandata, però.
L’anno dopo arrivano altri colpi come Luca Toni ed Eugenio Corini. A gennaio si aggiungono Fabio Grosso e i gemelli Filippini. Francesco Guidolin in panchina, subentrato a Dicembre a Silvio Baldini – perché anche nelle annate trionfali un allenatore a Palermo, se possibile, si cambia – guida i rosanero a una cavalcata trionfale culminata il 29 Maggio del 2004 con la promozione matematica in serie A.
Luca Toni, arrivato con la “nomea” dell’attaccante imponente ma che segna pochi gol e, a dispetto della statura, “scarso nel gioco aereo”, fa 30 gol, molti dei quali di testa.
Diventerà il centravanti titolare dell’Italia Campione del Mondo, dodici mesi dopo. Dopo 34 anni il Palermo torna nella massima serie e lo fa con i migliori auspici per il futuro. Città sveglia per i festeggiamenti tutta la notte. A Palermo non era mai accaduto che non si trovasse nulla da mangiare, e mai riaccadrà. Ma quella sera sì. Tutto finito a mezzanotte.

Il resto è storia nota ai più. Il Palermo dell’anno dopo è fortissimo. Lo stadio è già “sold-out” con i soli abbonati, unico caso nella storia della Serie A. Ai protagonisti della promozione si aggiungono altri tre futuri campioni del mondo: Barzagli, Zaccardo e Barone. Tornano Santana e Brianza dai prestiti a Chievo e Perugia. Anche la Juventus cadrà al Barbera, vittima di un tiro da fuori di Ciccio Brienza, che si rivelerà bestia nera anche negli anni successivi della sua lunga carriera. Le tre “strisciate” e le romane, in casa, non vanno oltre il pari nei match contro i rosa. Il Palermo sfiora la qualificazione in Champions (accadrà un’altra volta, cinque anni dopo sotto la guida di Delio Rossi, con Pastore sulla trequarti dietro Miccoli e Edinson Cavani), che avrebbe forse raggiunto senza un crollo in una delle due sole partite saltate da Luca Toni, in casa con l’Udinese.
L’impressione è che in quegli anni sarebbe bastato “volerlo” un po’ di più affinché al Barbera si potesse ascoltare la musichetta della Champions. Gli ultimi anni sono molto meno poetici: il disimpegno del portafogli di Zamparini, decine di allenatori a tempo, campionati discreti misti a salvezze sofferte e una retrocessione, ma anche altri due talenti argentini lanciati nel calcio che conta: la nostra Joya ed il Mudo Vazquez. Alcuni dei giocatori di questo Palermo degli ultimi 12 anni, i migliori della storia rosanero, hanno poi vestito la maglia della Juve con sorti differenti. Altri ci sono andati vicini. Ognuno con intersezioni diverse con la parabola degli ultimi 12 anni bianconeri.
Vediamoli uno per uno.

 

LUCA TONI
“L’uomo giusto nel momento sbagliato”

Arrivato in Sicilia in sordina, la sua partenza causò la prima contestazione del popolo palermitano all’allora intoccabile “EmmeZeta”. La cessione per dieci milioni alla Fiorentina dopo cinquanta gol in due campionati, fu il primo indizio – oggi possiamo dirlo – di un progetto che puntava sì a tenere il Palermo in una serie A di buon livello (lontano dalle paludi della zona retrocessione), ma che non avrebbe inseguito gli altari della gloria con la stessa dedizione riservata alle ricche plusvalenze. Palermo ricambiò le gioie regalategli dal gigante di Pavullo con l’acclamazione continua che spinse Lippi a farlo esordire in una partita di qualificazione ai Mondiali, contro la Norvegia, giocata proprio a Palermo. Era rimasto solo il terzo cambio e stava per entrare Blasi. Ma era 0-0 e la folla spingeva, quindi dentro Luca. Gol decisivo e posto di centravanti della Nazionale suo fino a Berlino 2006. Inevitabile, perchè Lucatonigol segnava sempre.
Arrivato alla Juve troppo tardi, complici Calciopoli e le poco brillanti scelte di mercato della dirigenza post-Triade, diede il meglio di sé in maglia viola e al Bayern. Beppe Marotta lo portò a Torino a gennaio 2011 per sopperire all’infortunio di Quagliarella. Quando stava nascendo una nuova Juve vincente, Antonio Conte scelse di puntare su altri attaccanti, ritenendolo al crepuscolo. Ma il crepuscolo era ancora lontano, perchè un grande professionista può continuare a far gol, più di tutti, anche a 38 anni, e anche quando il segreto del suo successo è lo strapotere fisico. Di lui si ricorda il primo gol nel neonato Juventus Stadium, in amichevole contro il Notts County.

 

ANDREA BARZAGLI
“Il ministro della difesa”

Così venne soprannominato sin dalle prime apparizioni in rosanero. Fisico possente, tecnica e velocità poco comuni per un centrale difensivo. Concentrazione costante nell’arco dei 90’. Diventa rapidamente leader della retroguardia di Guidolin, che con soli 44 gol subiti (13 nelle ultime 8 partite, a corsa Champions compromessa) è la settima del campionato. Numeri rari per una neopromossa, merito anche della splendida stagione del centrale fiorentino. E’ solo alla seconda stagione in A, eppure è già considerato da tutti gli addetti ai lavori il “dopo Nesta-Cannavaro” in azzurro. Ma dopo due stagioni di alto livello e la vittoria del mondiale in Germania, diventa capitano della squadra e, vuoi per le aspettative alte, vuoi per prestazioni non sempre all’altezza (forse dovute alle motivazioni calate) non si conferma ai suoi livelli nelle due stagioni successive. Nell’estate 2008 viene ceduto al Wolfsburg per 15 milioni dopo una lunga trattativa, non conclusa, con la “sua” Fiorentina. La sua cessione non viene salutata con grandi rimpianti a Palermo, ma vince subito la Bundesliga da titolare fisso. Dopo due stagioni e mezza passa, senza clamore, alla Juve nel corso della finestra invernale 2011 (guarda caso, insieme all’ex compagno Toni), per soli 300 mila euro. Il suo arrivo si rivelerà ben più importante del previsto, essendo superfluo sottolineare il peso specifico di Barzagli nel quinquennio di vittorie bianconere e nella rosa attuale, alle soglie dei 36 anni. Ministro della difesa per più di una legislatura.

 

Carvalho de Oliveira AMAURI
”Fumo negli occhi”
Dopo un anno di interregno Del Neri-Papadopulo e lo Tsunami Calciopoli, il Palermo torna nelle mani di Francesco Guidolin, che chiede un ariete capace di far reparto da solo. L’annata precedente vide nei panni di sostituti di Luca Toni gli improbabili (almeno a questo livello) Caracciolo e Makinwa. Guidolin vuole di più: chiede e ottiene Amauri che, dopo varie esperienze in giro per l’Italia, sembra vicino alla consacrazione con la maglia del Chievo.
L’inizio è devastante, il Palermo contende la vetta della classifica all’Inter fino alla pausa natalizia. Si invocano “orialate” da più parti per fornire in tempo il passaporto italiano ad Amauri e farlo giocare in azzurro. Nell’ultimo match prima della sosta il centravanti brasiliano, fin lì incontenibile, si rompe il crociato a Siena e da lì il Palermo si scioglie come neve al sole, una caduta che culmina a primavera col solito valzer di tecnici sulla panchina. La stagione dopo Amauri torna in campo. Non è straripante come nei primi quattro mesi palermitani, ma si rivela comunque uno dei migliori centravanti del campionato. Forte fisicamente anche se incline agli acciacchi muscolari, difende palla, fa salire la squadra, batte a rete (15 gol quest’anno) di testa e di destro. L’acme della sua stagione è la doppietta del 3-2 casalingo alla Juventus.

Due gol pazzeschi, tanto belli da stupire Gigi Buffon e sedurre la volubile dirigenza di quella Juve, convincendola a prenderlo a tutti i costi l’estate successiva. Grande affare per Zamparini che incassa 22,5 milioni più il cartellino di Antonio Nocerino. Non per la Juve, perché a Torino dopo un inizio ricco di gol (quello nel derby col Toro e quello in Champions col Real i più importanti) ma non di prestazioni, non riesce a lungo a essere credibile come sostituto di Trezeguet. Nel tempo si intristisce, forma con Melo e Diego la colonia brasiliana più improbabile della storia del calcio italiano dai tempi di Pedrinho e Luvanor, segna solo 17 gol in due anni e mezzo e finisce in prestito al Parma a Gennaio nell’anno di Del Neri. Non rivestirà più la maglia bianconera. L’amore con i tifosi, che pure all’inizio lo sostennero, non sboccia. Si rivela inadeguato, prima caratterialmente e poi tecnicamente, ad un club in cui non basta giocare bene una partita ogni tre o quattro. Discutibili e fuori luogo le dichiarazioni livorose rese negli anni successivi sulla Juventus: se in maglia bianconera non ha sfondato, la colpa non può essere affibbiata ad altri.

 

EDINSON CAVANI
“DNA compatibile”

Ultimamente ha dichiarato che lui no, non sarebbe mai passato dal Napoli alla Juve. Eppure i ben informati dicono che più di una volta abbia flirtato con Madama e non avrebbe certo disdegnato di vestire la “7” bianconera. Non un caso, perchè il giovane indio arrivato dall’Uruguay nel Gennaio 2007 – si narra che gli uomini mercato del Palermo dovettero nasconderlo in una stanza di hotel a Milano, per fargli firmare il contratto prima che lo raggiungessero emissari del Manchester United – sin dall’esordio, in un Palermo-Fiorentina, mostra coraggio e la voglia di emergere. Al 26’ del secondo tempo, con Palermo sotto di un gol e di un uomo, dal vertice destro dell’area scaraventa al volo sotto l’incrocio un pallone respinto dalla difesa viola.

E’ un gol che somiglia a quello, storico, di Van Basten all’URSS agli Europei del 1988, che rivela la personalità nascosta di un ragazzo di 19 anni, arrivato da lontano con lo sguardo un po’ perso e l’apparecchio ortodontico. Ero allo stadio e ricordo i commenti: un predestinato, non può essere altro, uno che si presenta così.
Eppure nei tre anni e mezzo a Palermo non diventa mai un idolo. Pur facendo bene spesso è fischiato dal pubblico, i suoi allenatori non lo utilizzano mai nel ruolo di prima punta in cui chiede di essere schierato ed in cui effettivamente sfonda poi con la maglia del Napoli.
Cavani è un istintivo, uno che cerca la porta, spesso trovandola, da ogni dove. Ci vengono in mente pochi attaccanti con una velocità di coordinazione pari alla sua. Oltre alle sue doti realizzative, eccellenti sia nella quantità che nella qualità (spesso fa gol bellissimi), colpisce il suo spirito battagliero, la sua capacità di corsa, i ripiegamenti in soccorso della difesa, il “non mollare mai”. Quest’estate abbiamo sperato di vederlo in bianconero, finalmente. Poi nessun rimpianto, perchè chi è arrivato non è secondo in nulla al bomber uruguagio, ma siamo certi che con il motto “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta” sarebbe andato a nozze, e lui lo sa.

 

JAVIER PASTORE
“La speranza è l’ultima a morire”

Faccio subito “coming out”: su questo giocatore non so essere obiettivo. Come per Dybala, per lui è amore incondizionato. Arriva a Palermo giovanissimo, pescato dal duo Sabatini-Cattani nell’Huracàn. Ci mette qualche mese ad ambientarsi ma le sue qualità sono chiare e al di fuori della norma. Classe sopraffina, dribbling, rapidità. Gioca sempre in verticale, per questo ricorda a molti Kakà ma col brasiliano ha in comune solo questo sguardo fisso e alto verso la porta avversaria che tanto piace a Carlo Ancelotti (forse per questo con lui a guidarlo fa le cose migliori).
Rispetto a lui ha ben altra tecnica ma non la stessa cattiveria agonistica. Passato al PSG nell’estate del 2011, non sfonda mai del tutto nell’Ile de France. A Mondello torna spesso in vacanza, con la bellissima compagna palermitana, Chiara Picone. A Parigi invece subisce il peso della concorrenza, in una squadra che fa collezione di trequartisti e che non punta mai, con decisione, su di lui. A volte viene schierato da esterno, a volte da mezzala. Come possedere una Ferrari e andarci sullo sterrato.
El Flaco è un “10” puro, uno dei pochi rimasti in circolazione. Non è un leader e forse mai lo sarà, non è un goleador, ma nella sua posizione, in una squadra senza doppioni, con un allenatore che lo stimi davvero e compagni in grado di trasmettergli l’arroganza dei vincenti, sarebbe capace di fare scintille.
E’ forse un caso che le migliori prestazioni del PSG in Champions, negli ultimi anni, portino la sua firma?

Ho sperato invano, da quando Allegri chiede un trequartista, di veder arrivare un giorno a Vinovo una Jeep con a bordo Javier. Sappiamo che a volte la Juve ci ha pensato, non è mai accaduto, ma ci spero ancora. Che trio argentino sarebbe! Chi non ci crede è perchè non lo ha mai visto giocare , nel suo ruolo vero, due partite di fila.
Pastore è il calcio. Per questo lo eleggo a “principio” anche se, di questa storia, non lo è. Perdonatemi.

 

FRANCO VAZQUEZ
“L’eleganza silenziosa”

Strana la storia palermitana del “Mudo”. Arriva nel Gennaio 2012 e, nella suggestione popolare, dovrà essere il nuovo Pastore, per ruolo e provenienza. Ma il suo apporto è impalpabile e, a fine stagione, viene prestato agli spagnoli del Rayo Vallecano. Anche lì non fa bene e sembra il classico sudamericano sopravvalutato che non si ambienta in Europa ed è destinato a tornare a casa a vivacchiare. Nel frattempo il Palermo finisce in B e cerca di cederlo senza riuscirci, così rimane ai margini della rosa, fuori lista, fino a gennaio quando Iachini, subentrato a Gattuso, ne chiede il reintegro e lo piazza in tandem con Dybala al centro della manovra offensiva della squadra, che torna in A stracciando tutti i record. Nella stagione del ritorno in A la coppia con la Joya continua a regalare lampi di grande calcio. Partito Dybala, si trova a tirare quasi da solo la carretta nella stagione degli 8 allenatori, dando un contributo decisivo alla salvezza rosa, ottenuta per il rotto della cuffia all’ultima giornata.

Un po’ per il ruolo, centrale nel calcio di Allegri, un po’ per l’intesa perfetta con Dybala, la suggestione Vazquez alla Juve emerge spesso nelle ultime due estati, ma mai si concretizza. Eppure spendere per il Mudo i 14 milioni sborsati dal Siviglia, per i prezzi che girano, sarebbe stato un buon affare anche per la Juve.
Il Mudo non è un fulmine di guerra, non ha un temperamento da guerriero e non è più un ragazzino, è vero. Ma il suo calcio è elegante, il suo mancino d’autore può assicurare assist e una buona familiarità con la porta avversaria (legni compresi, che limitano di tanto l’appeal delle sue statistiche). Non sarebbe stato un titolare fisso, in bianconero, ma non se ne sarebbe mai lamentato (il suo soprannome docet), e sarebbe stato un’arma in più:. l’unicità delle sue caratteristiche, nella rosa di Allegri, avrebbe innalzato la cifra tecnica e anche consentito un cambio di modulo in determinate occasioni. In Spagna tuttavia, si gioca forse il calcio che più gli si addice. Buona fortuna, eccetto che per il prossimo 22 Novembre.

 

PAULO DYBALA
“L’eletto”

Vale per lui la stessa captatio benevolentiae richiesta per Pastore. Qui sono certo di poterne beneficiare visto che il popolo bianconero ormai lo conosce bene. Non mi dilungo su di lui perchè ne ho scritto già in passato. Dico solo che riassume in sé il talento, la fame e la serietà professionale che sono propri dei più grandi campioni della storia bianconera. Non faccio nomi, pensateci voi. E queste stimmate si vedevano già nel corso dell’ultimo anno a Palermo, dove al pari di Cavani e Pastore è arrivato bambino ed andato via uomo.
Esprimo solo un auspicio per il futuro. Arrivato il crepuscolo per Messi e CR7, tra i “numeri uno” al mondo ci sarà lui, poco ma sicuro. Vediamo qualcuno della sua età che gli si avvicina, forse, ma nessuno che lo superi. Come sarebbe bello che qualcuno da corso Ferraris gli dicesse: “vogliamo fare di te l’uomo della storia, quello che ci aiuta ad alzare quella coppa e, se possibile, più di una volta. Il simbolo della maglia bianconera nel mondo nei prossimi dieci anni, il nostro Messi. Non ne facciamo una questione di soldi, per noi sei una priorità”!
“Il sonno della ragione produce mostri”, “i campioni vanno, la Juve resta”, lo so, ma sono curioso di sapere quale juventino non lo desidererebbe. Vedergli alzare la Coppa e il pallone d’Oro con un’altra maglia sarebbe un colpo al cuore. Dybala e la Juve sono fatti per stare insieme: nessuno li separi mai, per favore.