Gentile Tavecchio, quando si va nella casa di chi vince e convince…

Gentile signor presidente Tavecchio, lei rappresenta il calcio italiano e forse questo non è un complimento.
Bisognerebbe ricordare molto per spiegare e scrivere quello che il pianeta pallone ha sofferto.
La Juventus è una rappresentazione plastica di questo dolore, dopo 5 scudetti consecutivi e risultati sportivi di assoluto rilievo, si è costretti a coprire gli arredi di casa quando arriva la Nazionale a far visita.
E’ il ridicolo che domina il suo mondo, come quello della politica che si comporta allo stesso modo con i dittatori o gli ambasciatori di qualunque Bokassa. E’ il legame con l’atteggiamento suscitato negli altri a doverla insospettire. I salamelecchi si tramutano in coltellate, gli inchini in sbadigli annoiati di fronte a progetti che restano sempre tali e non assurgono mai alla realtà, alla vita.

Eppure lei signor presidente Tavecchio non sembra antipatico. Secondo alcuni anche questo potrebbe rappresentare un handicap, al pari dell’eloquio smozzicato e provinciale, o dei legami con padroni di club dall’aria di gangster.
Difendo il parlato anziano, la passione per il gioco, l’amore per la rotondità dovuta alla buona cucina. Non le faccio colpa per la rappresentazione sonnolenta e dovuta per una Federazione che ha vissuto poco tempo addietro una rivoluzione mai conosciuta prima. Non le faccio colpa del sistema che si fa condizionare dai cassonetti bruciati e dalle riunioni occulte nei circoli. Non le faccio colpa per l’emancipazione verso il meglio che non c’è.
Ma chiedo perché risponda sempre al comando di alcuni e mai alle richieste di giustizia che vengono da altri.

Il suo ufficio stampa è fatto di gente che lavora bene ed ha costruito sulle sabbie mobili della satira e dell’invettiva dei grandi giornali. Da parte nostra la vediamo come Don Abbondio, vaso di coccio in mezzo ad altri di rame, debole per costituzione e decisione altrui. Perché risulta inutile parlare di valori quando ci si nasconde dietro alle sentenze. Lei non ha riaperto il ‘Tavolo della pace’ pensato dal suo predecessore. Secondo noi lei ha deciso di far passare il tempo, attendere le scelte della politica e vedere quel che avviene. Il suo superiore di riferimento, il presidente del Coni Giovanni Malagò, è un altro signore dal sorriso di fronte alle beffe, dell’andamento sbattuto di quello che ha perso poker e vorrebbe rifarsi.

Gentile signor Tavecchio la prossima partita allo Juventus Stadium racconterà qualcosa. Non perché in panchina Conte ha lasciato il posto a Ventura. Non per quei drappi che copriranno meraviglie. E nemmeno per l’assenza o la presenza di chi s’immagina e spesso siede nella parte bassa della tribuna e quasi non fa più notizia. L’incontro dirà che forse le cose possono tornare a posto, perché sono passati anni e il tempo cura le ferite, anche quelle più profonde.
L’esempio è Paolo Maldini che dovrebbe tornare al Milan. Chi conosce le cose rossonere sa bene quanto sembrava impossibile fino a poco tempo addietro. Il peso dello sport, dell’affermazione giusta, vincerà sempre sul potere caduco di chi impone con la leva della sanzione, della punizione.

I novanta e più minuti sull’erba sono una occasione per ricordarsi bambini, innocenti, puliti.
I mondiali, gli europei, i campionati, devono essere occasioni di divertimento. Serve il sorriso, signor presidente. Quando si va nella casa di chi vince e convince, esportando meraviglie, si deve solo dire grazie. Senza suggerirle altro chiediamo di avere anche un po’ di coraggio. Si caccino a pedate quelli che vogliono il male di questa o quella squadra e si faccia il bene, secondo il testamento dell’immenso Artemio Franchi, e di quell’uomo che ha tenuto la sua foto bene in mostra, anche quando non faceva comodo farlo. Dicono si chiami Carlo.

Simone Navarra