Juve-Napoli ai tempi dello Stadium

Cronistoria di un’egemonia

La Juventus, il Napoli, lo Juventus Stadium. Un trittico che non può che riportare ogni tifoso a momenti di gloria, di festa, di dominio su un avversario che, risalito assieme a noi dalla Serie B, sembrava averci drasticamente superato nelle due stagioni precedenti l’esordio nel nuovo stadio. Quei giorni ora sembrano lontani anni luce, ma non va dimenticato che nel biennio di Ferrara-Zaccheroni-Delneri il Napoli è arrivato davanti alla Juve, rispettivamente con 4 e 12 punti di distacco. In entrambe le occasioni inoltre, la Juve non è riuscita a battere i partenopei tra le mura amiche: al clamoroso 2-3 del 2009 con Ferrara, una rimonta impensabile dopo il 2-0 dei bianconeri, è seguito l’ancor più umiliante 2-2 nell’ultima giornata della stagione 2010/11, un pareggio agguantato a fine gara contro un Napoli che schierava riserve delle riserve quali Cristiano Lucarelli, Cribari, Ruiz, Maiello e Mascara.
La musica è decisamente cambiata da quando la Juve ha potuto contare sul suo nuovo tempio: 5 vittorie su 5, 12 gol fatti e una sola rete subita, peraltro su ribattuta dopo un calcio di rigore. In attesa della sesta sinfonia, godiamoci tutte le sfide tra i bianconeri e gli azzurri allo Stadium, un’epopea un po’ Star Wars e un po’ Le Cronache Di Narnia che non vediamo l’ora di aggiornare con un nuovo, entusiasmante episodio.

Episodio I – La genesi, il capolavoro, il “core n’grato”

Primo aprile 2012, allo Stadium non si scherza: la Juventus vuole approfittare del passo falso del Milan, fermato a Catania dalla zampata di Nicolas Spolli, per portarsi a -2 dalla vetta. Davanti agli uomini di Conte si staglia il Napoli di Mazzarri, forse la squadra che nel girone d’andata ha messo più in difficoltà i bianconeri, i quali sono usciti dal San Paolo con un rocambolesco 3-3. Il modulo base della Juve è ormai quel 3-5-2 che l’allenatore avversario sembra aver inventato, la formazione non riserva sorprese con l’eccezione di Borriello preferito a Matri come partner di Mirko Vucinic. Dall’altra parte i decantati e temuti “tre tenori” partenopei, Hamsik, Lavezzi e Cavani, guidano l’assalto borbonico in terra sabauda, o almeno questo è quello che sentono i tifosi (ma anche gli addetti ai lavori) partenopei ogni volta che salgono in Piemonte. La prima frazione è tesa, con un paio d’occasioni per la Juve, eccezionalmente in maglia rosa, e mezza per il Napoli con Hamsik, ovviamente definita da Caressa “la più grande della gara”. Pirlo fa le prove su punizione, e proprio su calcio da fermo la Juve trova il vantaggio, con Vucinic che nella mischia batte a rete trovando il ginocchio di Bonucci, che spedisce il pallone alle spalle di De Sanctis. Mentre tutta l’Italia non bianconera maledice la Dea Fortuna, incurante della supremazia territoriale della Juve e di un gol regolare annullato a Vucinic, Arturo Vidal si mette in proprio e decide di mostrare all’Italia e all’Europa chi è e cosa sarebbe diventato di lì a venire: il cileno prende palla sullo spigolo sinistro dell’area, con una serie di doppi passi manda al bar Campagnaro e Caressa , quindi col sinistro scarica in porta una bordata imprendibile che vale il raddoppio bianconero. Il Napoli inizia a mollare la presa, Mirko sfiora il gol da distanza siderale, ma a chiudere la pratica è Fabio “‘core ngrato” Quagliarella, l’uomo che vantava il maggior numero di minacce di morte in napoletano prima dell’affare Higuain. Nessuna vendetta, nessun riscatto, nessuna esultanza: dopo aver segnato il 3-0 Fabio non si scompone, rispettando la sua terra e il suo popolo. Uno dei tanti segreti delle vittorie bianconere che al San Paolo non capiranno mai.
(Ci sarebbe anche un rosso a Zuniga a fine gara, ma non merita più spazio di quello che gli stiamo concedendo tra queste parentesi, né può sognarsi di stare nello stesso capoverso del bel gesto di Quagliarella).

Episodio II – Panchina rovente, il predestinato, Walter il mago

20 ottobre 2012, in sei mesi il mondo si è capovolto. Il Milan ha ceduto lo Scudetto alla rinata Juve, galeotto il gol di Muntari, e ha iniziato uno smantellamento che avrà conseguenze catastrofiche, i bianconeri sono diventati la squadra da battere ma hanno temporaneamente perso Antonio Conte, sostituito in panchina da Carrera prima e da Alessio poi, a causa del farsesco scandalo scommesse, inoltre le acredini col Napoli si avvicinano ai massimi storici dopo le due espulsioni comminate ai partenopei in Supercoppa Italiana, partita più di calci che di calcio per lunghi tratti. Alessio deve rinunciare a Buffon e Vucinic, sostituiti da Giovinco e Storari, mentre a sinistra un sorprendente Asamoah ha stabilmente rubato il posto al buon Paolo De Ceglie; dall’altra parte Mazzarri ha visto partire il Pocho Lavezzi, per l’occasione sostituito da un Pandev che quando vede bianconero ha più o meno la stessa reazione di Cruz e Icardi. Le due squadre arrivano all’ottava giornata in vetta a pari punti, in un campionato che come ogni anno si prennuncia “il più equilibrato degli ultimi tempi”. La partita è più intensa che bella, la Juve crea due mezze palle gol non concretizzate da Giovinco (sarà un fastidioso leit motiv per tutta la stagione), il Napoli non riesce a impensierire il bunker bianconero se non su piazzato, con una punizione magistrale di Cavani che si stampa sull’incrocio dei pali. Sarà praticamente l’unica occasione ospite del match. Come nella stagone precedente, la ripresa vede una progressiva scomparsa degli azzurri; la Juve scalda le mani a De Sanctis in più riprese, ma le polveri di Giovinco, Quagliarella e in seguito Matri sono più che bagnate e il risultato resta in equilibrio fino all’ottantesimo. A far saltare il banco è Martin Caceres, che da uomo della provvidenza e killer delle big si alza dalla panchina e alla prima occasione corregge in porta con una perentoria inzuccata un corner di Pirlo. Neanche il tempo di esultare che arriva il colpo del KO da parte di un ragazzo di 19 anni, altro subentrante e altro eroe inatteso, che con un sinistro al volo di rara precisione e potenza (non parliamo di piede debole, dai) punisce la superficialità di Campagnaro nel disimpegno e recita il De Profundis per i partenopei. Viene da Manchester, l’ha portato Mino Raiola; ne sentiremo parlare. L’uno-due micidiale stende il Napoli ma non Mazzarri, che nel postpartita ha il tempo e la freddezza di giustificarsi affermando che i suoi stavano comandando la gara, che la Juve non ha fatto grandi tiri in porta e che il gol è arrivato perché “ci aspettavamo Barzagli e non Caceres”. Un ottimo dessert al termine di un lauto pasto.

Episodio III – Il ruggito, l’ascensore, la “fortuna”

10 novembre 2013, in poco più di un anno la squadra da battere è diventata la mirabolante Roma di Garcia, novità più bella dell’ultimo lustro di calcio italiano, una squadra che inanella 10 vittorie nelle prime 10 giornate e sembra davvero imbattibile, fermata solo dalla sfortuna e dagli arbitri “poco asserviti” nelle successiva due uscite con Torino e Sassuolo. Una Juventus in crescita dopo il crollo di Firenze (4-2, tripletta di Rossi, funerale di Buffon e della Juve tutta) marca stretto i giallorossi, a 4 punti di distacco con una gara in meno, per l’appunto quella col Napoli, che a sua volta segue i bianconeri tre lunghezze più in là. Coi partenopei Conte deve fare a meno di Chiellini e Lichtsteiner, al loro posto i titubanti Ogbonna e Isla, mentre davanti il tecnico può contare su una coppia d’attacco nuova di zecca, il grasso e bollito Tevez e il bel lungagnone Llorente, i quali a fine stagione metteranno insieme qualcosa come 35 gol in due nel solo campionato. Di fronte alla Signora non c’è più Mazzarri ma Rafa Benitez, un tecnico europeo che fa giocare il suo Napoli con il più europeo e spettacolare dei moduli, il 4-2-3-1, col trio delle meraviglie Callejon-Hamsik-Insigne dietro a Gonzalo Higuain, che ha già fatto dimenticare Cavani e che a differenza del predecessore sembra pronto a piantar radici in riva al Golfo. Gli ingredienti per la tanto attesa vittoria del bel calcio europeo sul noioso vecchiume italiano ci sono tutte, ma a un centinaio di secondi dal via è la Juve a passare: Vidal tira da fuori, Tevez devia col tacco, il Re Leone Llorente è appostato meglio di tutti e con la punta del piede mette alle spalle di Reina (portiere europeo, va detto). Sui 20cm della scarpa di Llorente oltre la linea del fuorigioco, menzionati a più riprese da tutte le testate sportive del Belpaese, i tifosi partenopei ricameranno storie e storielle per buona parte del campionato, com’era lecito attendersi. Il Napoli però si rivela meno arrendevole rispetto agli incontri precedenti e si affaccia spesso dalle parti di Buffon, soprattutto con Insigne, anche se a dover fare gli straordinari è il dirimpettaio Reina, miracoloso su Pogba e su un colpo di testa da zero metri di Bonucci. La partita va avanti su questo spartito fino a un quarto d’ora e rotti dalla fine, quando Andrea da Brescia decide di chiudere tutto: il suo destro su punizione non gira, non ha effetto a entrare né a uscire, è una sorta di pallonetto dannatamente potente che s’impenna scavalcando la barriera e va a morire nell’angolo non coperto da Reina. Un capolavoro che chiama un altro capolavoro, quello di Paul Labile Pogba, il ragazzino che vi avevamo presentato nello scorso episodio; il francese si alza il pallone al limite dell’area e lo colpisce con un esterno destro, il suo sì, carico d’effetto, che mette letteralmente in ginocchio Reina e chiude i giochi sul 3-0. Mentre mezzo mondo riguarda il replay ammirato ed estasiato, un cronista napoletano il cui nome non è assolutamente importante, commenta “ma quant’è fortunato questo ragazzo”. Parlavamo di stile?

Episodio IV – Superiorità, prima volta, addio

23 maggio 2015, lo Juventus – Napoli meno sentito della storia dello Stadium, forse anche per questo uno dei più divertenti e goderecci. La Juve di Allegri che ospita il Napoli è una squadra proiettata al sogno europeo, che approfitta dell’ultima stagionale in casa per festeggiare lo Scudetto, mentre gli uomini di Benitez devono assolutamente portare a casa punti preziosissimi per la qualificazione alla Champions League. Tante riserve per la Signora, da Padoin a Sturaro passando per Ogbonna e il giovane Coman, gli ospiti invece sono in formazione tipo fatta eccezione per Inler e Hamsik, quest’ultimo fuori per scelta tecnica. Le maggiori motivazioni del Napoli emergono fin da subito, con la squadra che si riversa in avanti, venendo però punita alla prima occasione utile per la Juve: Coman inventa un bel lob per Pereyra, un attacco di amnesia folgorante colpisce tutta la retroguardia azzurra e l’argentino è liberissimo di depositare il pallone alle spalle di un attonito Andujar, che fa anche un po’ tenerezza. La squadra di Allegri gioca con quella di Benitez come il gatto col topo, nascondendo il pallone e concedendo di tanto in tanto qualche azione rabbiosa ma disordinata che non può impensierire Buffon. A mettere un po’ di pepe (e non sarà la prima volta…) alla ripresa ci pensa Banti, che punisce Asamoah in quanto dotato di arti superiori e fischia il penalty per il Napoli. Dal dischetto si presenta o’scugnizzo Insigne, Buffon intuisce e respinge ma David Lopez si avventa sul pallone e segna il suo unico gol stagionale, provando a dare un senso al suo inatteso approdo a Castelvolturno (spoiler: non ci riuscirà). Benitez torna a crederci e inserisce Hamsik per aumentare la pressione, con poche e confuse e idee gli ospiti si affacciano più spesso dalle parti di Buffon, deciso a non regalare ulteriori gioie agli avversari, mentre la Juve ci prova da fuori ma senza eccessiva fortuna. Nel momento migliore del Napoli, è il turno di Stefano Sturaro di infrangere i sogni borbonici: con un movimento tanto rapido quanto semplice, il numero 27 bianconero beffa un Albiol in versione statua di sale, s’incunea in area di rigore e scaglia un sinistro che, deviato, batte Andujar. In casa Napoli a qualcuno inizia a tapparsi la proverbiale vena, nella fattispecie al centrale greco Britos, che senza apparente motivo colpisce Morata con una testata in area a palla in gioco, lasciando i suoi in 10 e regalando un calcio di rigore alla Juve. Allegri, i giocatori e il pubblico mandano a gran voce dal dischetto Simone Pepe, mai dimenticato protagonista della cavalcata della prima Juve di Conte, che saluta il suo stadio realizzando il suo tredicesimo e ultimo gol con la maglia della Signora. Grazie Britos.

Episodio V – Simone, Zaza, 88′

Se il campionato 2015/16 fosse un poema epico, o se preferite un videogioco d’azione, Juventus – Napoli del 13 febbraio 2016 sarebbe la battaglia decisiva tra protagonista e antagonista (intercambiabili a seconda dei punti di vista), lo scontro all’ultimo sangue che tutti attendevano. Le premesse per una gara dall’alto tasso emozionale ci sono tutte: una Juventus data per spacciata a inizio stagione, caduta troppe volte, e in seguito protagonista di una clamorosa rimonta, un Napoli mai così vicino allo Scudetto che può contare sul miglior Higuain di sempre e sullo spettacolare ed efficace gioco di Maurizio Sarri. Tra i partenopei i protagonisti ci sono tutti, da Hamsik a Insigne passando per il già citato Pipita, nella Juve manca invece Giorgio Chiellini, così Allegri passa al 4-4-2 in linea con Cuadrado davanti a Lichtsteiner e Pogba finto esterno sinistro con licenza di accentrarsi. Juan inizia da subito a seminare il panico nella trequarti ospite, la Juve tiene il pallino del gioco ma il Napoli mette in difficoltà la retroguardia bianconera quando parte in contropiede in batteria. Proprio in occasione di una ripartenza arriva la più nitida occasione da gol per i partenopei: Hysaj va via sulla fascia destra e mette in mezzo un cross al bacio, uno di quelli che un killer come Gonzalo Higuain non potrebbe che mettere in rete. Potrebbe, per l’appunto, se sul pallone non arrivasse una frazione di secondo prima dell’impatto la punta dello scarpino di Leonardo Bonucci, a deviare la sfera quel tanto che basta per toglierla dalla portata dell’argentino. L’espressione “un intervento che vale un gol” è sin troppo abusata, ma mai come in questo caso esatta. Nella ripresa le occasioni latitano ancor di più, la paura di perdere sembra prevalere sulla voglia di vincere, fino all’87’ contiamo solamente un rasoterra di Insigne dalla linea di fondo e una conclusione in corsa di Dybala dal limite dell’area. Poi arriva il minuto 88. Cuadrado parte in progressione nella propria trequarti, il colombiano subisce fallo ma l’arbitro fa proseguire perché la sfera finisce sui piedi di Khedira, il tedesco sventaglia a sinistra per il subentrato Alex Sandro, il brasiliano svetta di testa in mezzo a due maglie rosse e serve Evra, che appoggia al centro per l’altro nuovo entrato, Simone Zaza. Il numero 7 riceve il pallone spalle alla porta, ai 25 metri, aggira con facilità un distratto Koulibaly e scaglia un potente sinistro verso l’angolo lontano della porta, il tiro viene deviato da Albiol quel tanto che basta per diventare imparabile, battere Reina e scatenare l’urlo dello Stadium. La Serie A 2015/16 finisce lì, sul pallone beffardo di Simone, con la Juve che supera il Napoli in classifica ma soprattutto uccide le velleità di Scudetto dei partenopei, che naufragheranno definitivamente in seguito all’espulsione di Higuain a Udine. Episodio V, da “io sono tuo padre” a “il gol di Zaza” il salto è dannatamente breve.

Alex Campanelli

Quando Vidal lanciò un mattone a Mazzarri e alla storia del campionato

Quando Vidal lanciò un mattone a Mazzarri e a

Matteo Viscardi


Quel 2011/12 di grazia fu l’anno della New Age di Pirlo, dell’evoluzione stile Pokemon di Barzagli (che si trasformò da ottimo difensore a campione assoluto) e del ritorno nell’olimpo dei portieri del mostro sacro Buffon. Eppure, l’emblema sul rettangolo verde di quella Juventus che cambiò la storia (per lo meno quella recente) del calcio Italiano, fu un ragazzo sudamericano, appena giunto in Piemonte da Leverkusen. Uno che nella campagna di rafforzamenti estiva venne preso piuttosto sottogamba da molti tifosi, ma anche da innumerevoli addetti ai lavori (presidenza Bayern esclusa, con Rummenigge che rosicò a lungo).

 

Dopo anni in affitto in abitazioni scomode e deludenti, in seguito allo sfratto violento di Calciopoli, la Vecchia Signora capì che era giunto il momento di riedificare un palazzo di successo, e si affidò ad un architetto per certi versi novello ma di sicuro affidamento come l’ex capitano Antonio Conte. Arturo Erasmo Vidal Pardo da Santiago del Cile rappresentò, almeno all’apparenza, il cemento armato della nuova abitazione che era anche una nuova dimensione. Una casa talmente solida da non crollare mai, in nessuna delle trentotto le partite di campionato. Un’impresa che senza il titolo sarebbe però rimasta nel Limbo dei Numeri, scaldando comunque i cuori dei tifosi, ma non riempiendo una bacheca assetata di trofei da troppo tempo.

 

Se quello scudetto (sempre da tramandare ai posteri) giunse sulle rive del fiume Po, lo si deve anche e soprattutto ad una giocata di coraggio e classe del ‘Guerriero’ Vidal. Una di quelle in grado di rivoltare, di stravolgere totalmente stagione e approccio mentale di una squadra eccezionale, ma che necessitava di una scintilla illuminante, utile a spostare ancora un poco più in su l’asticella della confidenza con se stessi. Il colpo di teatro del cileno andò in scena al J-Stadium in una serata di aprile. Una notte in cui si percepì la fragranza soave dei cari e gloriosi vecchi tempi che parevano a un passo, o forse ad un “doppio passo”.

 

La Juventus si presentò alle soglie della trentesima giornata in ritardo di quattro punti rispetto al Milan di Ibra ed Allegri, capolista del torneo (e dententore del titolo). I rossoneri però impattarono in anticipo a Catania (in una gara ricca di polemiche per l’ennesimo gol/non gol milanista della stagione) e lasciarono aperta la porta alle speranze della rimonta zebrata. Una scalata alla vetta che passava inevitabilmente dal successo sul Napoli di Mazzarri, una squadra solo lontana parente di quella vista l’anno prima (anche perché distratta a lungo dalla Champions League), ma comunque molto pericolosa sulla partita singola disponendo di un sistema cinico ma collaudato e di giocatori del calibro di Cavani ed Hamsik. La Juventus disputò un primo tempo gagliardo, annichilendo le velleità azzurre (pur senza passare in vantaggio), usufruendo della spinta tecnico-emotiva di un Vidal maestoso dominatore del centrocampo. A inizio ripresa Bonucci sbloccò il match con uno stranissimo gol di rimbalzo, da condividere col genio montenegrino Vucinic, ma sull’1-0 la tensione era ancora palpabile.

 

Il proscenio dell’incontro, a quel punto, se lo prese tutto lui, Arturo. Come quell’alunno che non si accontenta del sette (ottenuto con lodevole sforzo per la prima ora abbondante di fuoco, al centro del ring) e non ha paura, consapevole dei propri mezzi, di puntare a qualcosa che non sia meno del 10. Il cileno si inventò un gol da leggenda, quasi come se volesse urlare al mondo che quella Juventus non fosse solo una meccanica e (piacevolmente) monotona macchina da guerra impostata su schemi rigidi, ma potesse sfoderare, al momento opportuno, anche il colpo ad effetto (mai fine a se stesso) in grado di legittimare una classifica da titolo.

 

 

Descrizione per i pigri e per i nostalgici: ricezione di palla da Marchisio al vertice sinistro dell’area di rigore, controllo e poi un pensiero meraviglioso, quasi abbagliante. Doppio passo reiterato ai danni del malcapitato Hugo Campagnaro (che sta ancora cercando quel pallone), sterzata fulminante e sinistro ad incrociare di bellezza stordente. La palla si infilò dolcemente in rete, e partì la sagra dei sentimenti e delle emozioni, anche quelle sfacciate. Boato furioso dello stadio. Gioia pura. Commozione, pure qualche lacrima incontrollata. Un gol che chiuse la gara, ma sembrò chiudere un’intera era bianconera. Forse la più buia dell’epoca moderna, sicuramente una delle più sofferte in assoluto. Una rete che disegnò una nuova traiettoria del destino juventino, una parabola con la concavità rivolta verso il basso, il cui vertice avrebbe toccato addirittura la finale di Champions League nella stagione 2015. Arturo non combatte più per i nostri colori ormai da un anno, ma sarà per sempre ricordato come il guerriero che seppe trasformarsi in artista. A Berlino c’era e beccò anche le ultime coraggiose critiche. Scultore sopraffino di scudetti, e di gol che hanno spaccato la storia, proprio come quello al Napoli il 1 aprile del 2012.

Verso Juve-Napoli: più scelta di approccio contro chi non può perdere

Verso Juve-Napoli: più scelta di approccio contro chi non può perdere

I recenti avvenimenti rendono lo Juventus-Napoli di sabato ben più che semplicemente significativo per la formazione partenopea. Per come stava viaggiando il Napoli meno di un mese fa, probabilmente Sarri si aspettava di arrivare a questa sfida con ben altre prerogative. Se il disastroso infortunio di Milik secondo molti ha già compromesso addirittura buona parte della stagione, la squalifica di Gabbiadini a Crotone priva Sarri dell’unica altra prima punta utilizzabile.

Insomma, al sortilegio Juventu Stadium si uniscono le recenti difficoltà, le quali hanno un po’ spento l’entusiasmo ad un ambiente che si aspettava grandissime cose. Il Napoli, quindi, arriva nel capoluogo sabaudo con più pressione addosso di quanto si potesse pensare, anche perché una sconfitta potrebbe rivelarsi già decisiva.

Per lo meno, prima della partita di sabato, Sarri ha avuto un test per provare Mertens al centro dell’attacco. Contro l’Empoli è stata schierata praticamente la formazione migliore disponibile, con l’eccezione dei panchinati Hamsik e Hysaj. Suscitava molta curiosità tattica il modo in cui si sarebbe schierato l’attacco azzurro, se l’assenza di una prima punta avrebbe fatto vedere qualche ibrido tattico. Tutto ciò riguarda direttamente la Juventus, visto che ha già fornito i primi segnali in vista di sabato.

Certo, a prescindere dalla posizione di Mertens, sarebbe stato utopico non assistere a qualche azione sull’esterno tipica del suo repertorio.

 

Tuttavia, il belga ha sorpreso perché, sostanzialmente, ha fatto la prima punta nello stesso modo in cui avrebbe agito qualsiasi altro giocatore di ruolo. Già solo le posizioni medie tenute dai partenopei e le zone ricoperte da Mertens parlano chiaro, con questi che si è mosso prevalentemente in zone centrali.

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Anche vedendo la gara, comunque, si è potuta osservare con chiarezza la zona d’azione del belga, col classico tridente offensivo napoletano che non ha subito grosse modifiche.

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Ha senza dubbio sorpreso la naturalezza di certi movimenti, come abbia saputo farsi trovare al posto giusto negli ultimi metri quasi come un centravanti di ruolo. In quest’azione partenopea – col taglio di Callejon che è una delle giocate simbolo del Napoli, a cui Allegri dovrà porre le corrette contromisure -, solo il mancato controllo dello spagnolo ha impedito a Mertens di segnare già nel primo tempo.

 

Però, non va dimenticato che, come abbiamo visto anche qui su Juventibus nella presentazione dedicata, l’Empoli è abbastanza anomala tra le provinciali italiane: si tratta di una squadra che gioca e che lascia giocare, un avversario con cui ha più facilità a costruire rispetto ad altre compagini di simil livello. Pur conoscendo benissimo le caratteristiche di Mertens, i toscani non sono mai riusciti a limitarlo con efficacia: la scarsa aggressività di Bellusci e Costa non ha mai costretto il belga a giocare spalle alla porta, anzi, grazie a una velocità d’esecuzione notevole ha sempre avuto modo di puntare l’uomo e/o girarsi velocemente.

 

Senza parlare poi della profondità che è stata concessa, con l’intero Napoli che ci ha di conseguenza sguazzato. Mertens compreso, soprattutto quando Insigne ha azzeccato la giocata.

 

Va da sé che a Torino sarà ovviamente tutto diverso, con la retroguardia juventina che molto difficilmente consentirà all’ex PSV situazioni del genere.

 

RICETTA: Ormai del Napoli di Sarri abbiamo imparato a conoscere sia i pregi che i difetti. In generale, quest’anno sta manifestando più difficolta a bucare le difese schierate. I numeri aiutano a fornici qualche indicazione: nonostante i partenopei siano per distacco la squadra col maggior possesso palla del campionato, sono appena in quinta posizione per quanto riguarda i tiri dentro l’area di rigore, a pari merito con la Sampdoria.

Rispetto ad altre squadre che possono permettersi di andare a ritmi contenuti, un Napoli in non eccellente forma fisica perde molto del suo potenziale. Quella di Sarri è infatti una squadra che opta per un recupero piuttosto alto del pallone: l’esempio è quello del primo gol di Mertens, con Allan aggressivo e Jorginho (il brasiliano spesso si alza per impedire la prima costruzione dell’avversario) a smistare immediatamente la palla per Callejon.

 

Quando però le energie calano un attimo, la squadra rischia di assumere forme troppo sbilanciate, con la difesa che non viene adeguatamente protetta. E’ successo anche nel secondo tempo della partita di mercoledì ( i tiri concessi all’Empoli sono tutti avvenuti nell’ultimo quarto di gara), con Sarri che per questo ha inserito Diawara al posto di Jorginho.

Oltre allo scoglio del match contro la Juventus, martedì il Napoli sarà impegnato in un decisivo scontro in Turchia che potrebbe rivelarsi decisivo per l’esito del girone. Queste due sfide, oltre a essere un importante banco di prova, costringeranno Sarri a gestire uomini ed energie nel modo giusto.

Molti dei passi falsi del Napoli sono stati anche causati da errori sia individuali che di reparto, da vere e proprie amnesie. Ciò però a volte viene enfatizzato dalla scrupolosità con cui la squadra effettua i dettami di Sarri, come per esempio nella costruzione della manovra del basso. L’errore di Koulibaly nel match contro la Roma è il caso più celebre, ma va detto che certe situazioni sono successe con frequenza.

 

Come anche detto da Allegri in conferenza stampa, la partita di sabato sarà molto più decisiva per il Napoli che non per la Juventus, visto che un’eventuale sconfitta dei partenopei complicherebbe la classifica degli azzurri. Alla luce delle condizioni e delle caratteristiche dei partenopei, i bianconeri hanno diverse modalità con cui provare ad avere la meglio sugli avversari. Approfittando delle già citate difficoltà nello scardinare difese schierate – senza dimenticare la presenza di Mertens come prima punta -, Allegri potrebbe adottare una strategia più attendista, concedendo uno sterile possesso palla ai rivali che poi faticherebbero molto a tradurre in concrete occasioni da rete. Per quanto riguarda la scelta degli uomini, va sottolineato che, quando viene attaccata, la difesa del Napoli spesso si stringe troppo, quindi sia Cuadrado che Sandro possono essere valide risorse.

Un’altra possibile soluzione – a dire la verità insolita per la Juve di Allegri – sarebbe l’utilizzo di una pressione alta per mettere in difficoltà la manovra partenopea. Ciò però potrebbe provocare dei potenziali rischi nelle retrovie, col tridente offensivo che troverebbe profondità e, di conseguenza, ripartenze e situazioni in cui pungere. Insomma, frangenti che tecnico e senatori della Juventus hanno già dimostrato di gradire poco, sia a parole che nei fatti. A prescindere da quel che si deciderà, la prerogativa dovrà comunque essere quella di bloccare Jorginho, uomo forse troppo centralizzante nel gioco partenopeo: senza il proprio regista, il Napoli si ferma.

Con tutta probabilità, vedremo una gara piuttosto conservativa, in cui il timore di scoprirsi  troppo provocherà un match bloccato, non troppo dissimile da quello dell’anno scorso. Sperando che anche questa volta l’episodio premi la squadra coi maggiori valori tecnici.