Tolisso risponde a Higuain, con il Lione finisce 1-1

La Juve non va oltre il pareggio con i francesi e vede sfumare la possibilità di qualificarsi agli ottavi con due turni di anticipo

La Juve non va oltre l’1-1 casalingo con il Lione e deve rimandare l’appuntamento con la qualificazione agli ottavi di finale e lasciare il primo posto nel Girone H al Siviglia, vittorioso con un rotondo 4-0 sulla Dinamo Zagabria. Il passaggio del turno è tutt’altro che compromesso, ma certo l’occasione sfumata brucia, anche perché i bianconeri passano con Higuain e sono padroni della gara per un’ora, ma quando abbassano il ritmo e vengono meno le forze, lasciano l’iniziativa agli ospiti e vengono agguantati negli ultimi minuti dall’incornata di Tolisso che lascia ancora aperti i giochi.

E dire che la squadra schierata da Allegri un inedito 4-3-1-2, con Marchisio in regia e Pjanic sulla tre quarti, all’inizio piace per l’aggressività con cui raddoppia gli avversari, e per la capacità di far girare il pallone rapidamente e in modo preciso. Il Lione comunque ha personalità e non pare intimorito, perché sa chiudersi e ripartire e ne dà prova dopo neanche dieci minuti, con la combinazione tra Rybus e Lacazette, che costringe Buffon a inaugurare la sua centesima gara in Champions con una provvidenziale respinta.

Immediata la risposta della Juve, con lo spettacolare servizio di Khedira per Mandzukic e il rasoterra del croato bloccato a terra da Lopes, ma soprattutto con il rigore di Higuain: Diakhaby spinge Sturaro in area in modo evidente e il signor Kuipers non può non concedere il penalty, che il Pipita trasforma.

Il vantaggio non cambia il piano tattico della gara, che rimane aperta e vivace e Marchisio sfiora il raddoppio con una fiondata dai sedici metri a fil di palo. La qualità della manovra dei bianconeri cresce con il passare dei minuti e se il Lione si rintana, i frequenti cambi di gioco permettono di trovare il varco giusto per avanzare il baricentro.

Quando poi è sono i francesi a iniziare l’azione, il pressing rimane alto e Mandzukic è uno specialista nel rubare palla: al 38′ dà un saggio della sua abilità, beffando Mammana, puntando l’area e liberando Higuain che, solo davanti a Lopes, fallisce il raddoppio sparano alto.

La gara è saldamente in mano alla Juve, ma in Champions  non si deve abbassare mai la guardia e il sinistro di Ghezzal, che allo scadere del primo tempo termina fuori di un soffio, è un utile monito per la ripresa.

Ripresa che, nei primi minuti, è un monologo della squadra di Allegri. Pjanic, pescato da un lungo lancio di Bonucci, opera un’intelligente sponda di testa per Mandzukic che colpisce mal dal limite e mette a lato. Il Lione però esce ben presto dal guscio e la velocità di Lacazette e Fekir tiene sul chi vive la difesa bianconera. Buffon rimane inoperoso, ma quando gli attacchi degli ospiti si fanno più insistenti, Allegri interviene con un doppia sostituzione: fuori Bonucci e Pjanic, dentro Benatia e Alex Sandro. Il primo è un normale avvicendamento, dopo un colpo rimediato dal Nazionale azzurro nel primo tempo, ma il secondo è un cambio tattico, che riporta la squadra al 3-5-2.

Il Lione non molla e Genesio aumenta la spinta con l’ingresso di Cornet, che sfiora l’incrocio con una sventola di sinistro. La Juve ora appare un po’ stanca, gli errori in fase di impostazione si fanno più frequenti  e Allegri prova a dare una scossa ai suoi mandando in campo Cuadrado al posto di Higuain. Pochi secondi dopo però, i francesi raccolgono i frutti degli sforzi profusi e arrivano al pareggio con il colpo di testa di Tolisso, pescato libero in area dalla punizione di Ghezzal. A questo punto mancano cinque minuti al termine e non ci sono né il tempo né le energie per riportarsi avanti, anzi, proprio all’ultimo respiro Lacazette conclude un contropiede sull’esterno della rete. Uno spavento che rende un po’ meno amaro l’1-1 finale.

JUVENTUS-LIONE 1-1

RETI: Higuain (rig.) 13′ pt, Tolisso 40′ st

JUVENTUS
Buffon; Dani Alves, Barzagli, Bonucci (23′ st Benatia), Evra; Khedira, Marchisio, Sturaro; Pjanic (23′ st Alex Sandro); Higuain (37′ st Cuadrado), Mandzukic
A disposizione: Neto, Rugani, Hernanes, Keane
Allenatore: Allegri

LIONE

Lopes; Rafael  Diakhaby, Mammana, Morel; Ghezzal, Gonalons, Tolisso, Rybus (26′ st Cornet); Fekir (32′ st Darder), Lacazette
A disposizione: Gorgelin, Yanga-Mbiwa, Ferri, Tousart, Greniere
Allenatore: Genesio

ARBITRO: Kuipers (NED)
ASSISTENTI: van Roekel (NED), Zeinstra (NED)
QUARTO UFFICIALE: Goossens (NED)
ARBITRI D’AREA: Liesveld (NED), van Boekel (NED)

AMMONITI: 38′ pt Pjanic, 13′ st Barzagli, 39′ st Marchisio, 44′ st Sturaro, 49′ st Ghezzal

A CALDISSIMO / Juve-Lione 1-1: occasione persa, non sboccia l’Europa bianconera

A CALDISSIMO / Juve-Lione 1-1: occasione persa, non sboccia l’Europa bianconera

Archiviata la vittoria col Napoli di sabato scorso, la Juve è chiamata a fare risultato anche in Champions per conquistare la qualificazione con due turni d’anticipo: allo Stadium arriva il Lione sconfitto con non pochi problemi nel turno precedente.

Allegri stavolta se la gioca col 4-3-1-2 per provare a dare più fluidità al gioco bianconero: scelte quasi scontate con Barzagli e Bonucci davanti a Buffon, il solito anarchico Dani Alves a destra e l’impreciso Evra a sinistra, Marchisio in regia con Sturaro e Khedira a fare più quantità che dar qualità, Pjanic dietro al tandem unico possibile, cioè Higuain-Mandzukic.

La partenza non è delle migliori nonostante un buon pressing a tutto campo, si rischia in apertura dopo un buco lasciato da Dani Alves, ma, passato il pericolo, arriva il vantaggio: azione orchestrata da Higuain, palla in profondità dal Pipita a Sturaro, fallo ingenuo sull’ex Genoa e penalty per la Juve. Dal dischetto va proprio Higuain, palla da un lato, portiere dall’altro. Non entusiasma la squadra di Allegri, complice anche un Pjanic che deve retrocedere di 20/30 metri per trovare spazio, ma, nonostante ciò, il gol del raddoppio non arriva per poco prima con una conclusione da fuori di Marchisio, poi con un tocco ravvicinato di Higuain sopra la traversa a sprecare un’ottima iniziativa di Mandzukic. Non cambia il copione della ripresa, subito vicini al 2-0 grazie all’unica vera giocata di Pjanic non sfruttata stavolta dal compagno croato, poi soliti evidenti problemi a trovare manovre pericolose, complice anche una comunque ottima prova dei francesi che hanno il merito forte di non demordere mai, per poi trovare in extremis il pareggio che lascia l’amaro in bocca: punizione dalla trequarti con la difesa piazzata male, Alex Sandro (entrato qualche minuto prima) tiene in gioco tutti, Buffon non esce, e Tolisso piazza l’1-1. Negli ultimi minuti si prova con una reazione più nervosa che altro, ma il risultato non cambia più.

La furia di Allegri al fischio finale è la fotografia perfetta della serata bianconera: il Siviglia scappa via col poker alla Dinamo Zagabria, il discorso qualificazione resta comunque più o meno fattibile (4 punti di vantaggio da gestire nelle due partite restanti), ma il primo posto si allontana, e soprattutto manca ancora quel definitivo salto di qualità europeo che porterebbe in dote anche quell’inevitabile entusiasmo che non riesce a coinvolgere la truppa.

A CALDO/ Juve-Lione 1-1: la condizione fissica non existe (cit.)

E’ tutto un controsenso. Il calcio ha meno logiche di quanto si possa pensare, ha meno regole standard, vincono squadre e allenatori che nel pensiero, nella produzione, nei principi e nei teoremi sono agli estremi, dove a volte c’è anche la via di mezzo. Che sarebbe uno zero dettato dall’equilibrio zen. La Juve di Allegri da che parte sta? Qual è la direzione? Lione-Napoli-Lione segna la tappa di un’evoluzione, il tentativo di risposta a una serie di domande che si trasformavano in necessità: come far correre meno in lungo e in largo Pjanic (che sbaglia anche la partita a cui tanto Allegri teneva, ma non è il primo e non sarà l’ultimo, detto che top-player a volte si diventa), come far emergere la coesistenza tra Higuain e Mandzukic (che partita quella del croato, uomo-Champions per lo meno nella testa, e si vede), come creare una dorsale epica, sulla carta, che parte da Bonucci (centrodestra per avere più campo naturale nei lanci, nell’impostazione, nell’appoggio, nel lancio) e passa da Marchisio-Pjanic (li avete già bollati?) per finire a Higuain (che ha sulla coscienza qualcosa, più l’ammollo nel tremore di gruppo che il gol incredibilmente mancato). Le risposte sono state diverse dalle attese di Allegri, che però deve dimostrare di avere la forza di insistere, se non altro per non livellarci a monorealtà tattica, con evidente rischio di autosoffocamento (perché nel calcio esistono anche gli avversari, e spesso avversari più degni di quanto la nostra baldanza faccia pensare).

 

No, non è per esaltare qualcosa di questo Lione, a cui il coraggio l’abbiamo consegnato noi. Il perfettibile non è il calcio assoluto fatto da luoghi comuni tipo “prestazione inaccettabile”. Piuttosto è curioso che non si sia ancora accettata l’idea che Allegri è questo allenatore qui, quello del calcio senza schemi, quello dell’attacca lo spazio se c’è lo spazio e/o se non te la senti è anche meglio fermarsi e tornare indietro. Corriamo meno? Impossibile, corriamo come dei muli noi italiani. A ogni sessione di allenamento. Corriamo male? Possibile, forse. Soprattutto, però, spesso corriamo al contrario, velocemente all’indietro, per partire da dietro a caccia della microfalla, volendo far valere virtù che già nel cerchio (e comunque sia sempre benedetto Marchisio) non cercano mai di rubare un solo tempo di gioco (ecco, per esempio Marchisio, per quanto fosse il fantasma di Pjanic, non l’ha mai trovato né cercato). Corriamo troppo? E qui avanti con le animose critiche tipiche di chi ha già l’occhio di traverso per gli Evra e gli Sturaro. La catena di sinistra ha fatto meglio che quella di destra. E’ stata presente, battagliera, da subito, con tutte le sue contraddizioni. Parliamo di Alves (mai sul fondo o qualcosa di simile) e Khedira (spesso a disagio in posizione aperta), del loro livello medio, delle aspettative, con problemi diversi. Il primo può fare ciò che vuole, e magari un giorno anche a Torino potrà permetterselo, ma leader al punto da dire tutto a tutti in campo ancora no. Spesso non sono gli errori tecnici, a volte, a dare il senso di una (o una serie) di prestazioni. Uno saltella, l’altro fa cose nuove e non si spettina mai. Lavorerei su questo corto circuito prima ancora che sul sistema di gioco. Per sbagliare, devi esserci. Per esserci, o fai correre il pallone o cerchi di correre dietro a lui. La condizione fisica è la condizione di partenza, e qui forse ha ragione Guardiola a disintegrarne il concetto.

 

Che poi, a pensarci bene, ci si trova (nelle difficoltà) ad applaudire sempre gli stessi, a tenere lo sguardo su di loro. Barzagli, Marchisio, Mandzukic. Perché il tifoso della Juve s’incavola, spara sentenze, sbuffa perché gli sembra sia sempre la solita storia; ma il tifoso della Juve è anche uno che conosce molto bene la propria storia. La si dovette spiegare anche a Marcello Lippi (che intese molto in fretta, per esempio, quanto poco funzionasse nella comunicazione interna il politically-correct). Per questo alla lunga il tifoso bianconero non sbaglia quando immagina chi e come lo farà godere attraverso la sofferenza. Conoscete un verbo e un sostantivo migliori? Allegri si era illuso di sì, ne resto convinto. Ma prima di marzo, perché ancora il suo credo non è ancora stato ufficialmente smentito, servirà solo e soltanto il realismo della Torino di sempre. E’ difficile trasformare un camion in un off-shore. Solo i grandi ci riescono, e non certo lavorando solo sulla forza. Allegri è ancora incastrato dentro questa stupenda (e irritante) missione.

L’atavico problema del “se”

L’atavico problema del “se”

I social sono il male del nostro tempo, anche in ambiti ben più importanti di quello del commento calcistico da bar (scrivente in primis, perché no). Il motivo lo rese noto tempo fa Umberto Eco, in una sorta di testamento morale alle future generazioni. Talvolta, però, possono anche essere forieri di spunti interessanti in grado di farci osservare qualcosa sotto una prospettiva diversa. Non per forza quella giusta, ma quella che magari ti aiuta a comprendere certe situazioni.

Capita, quindi, che nel pieno di un post gara nervoso come pochi (e, nei limiti del possibile, sono uno che cerca sempre di dare e darmi delle spiegazioni razionali anche a una roba come gli ultimi 90 minuti dello Stadium), mi capiti di leggere su Facebook il post di un Emilio Cambiaghi (non credo abbia bisogno di presentazioni) che oltre a interrogarsi sulla nostra reale dimensione europea (legittimo, pur se con qualche passaggio non del tutto condivisibile) insiste sul concetto di slidin’ doors. Quante volte, negli ultimi anni, abbiamo ragionato in termini di “se ci davano il rigore contro il Barcellona, se Tevez inquadrava la porta dal limite dell’area, se Evra l’avesse spazzata se (in riferimento a stasera) Higuain segnava il 2-0 a porta quasi vuota”; se, se, se, sempre se, sempre ad arrovellarsi su quel che poteva essere e non era stato.

cambiaghi

Leggendo il post, per certi versi illuminante, di Emilio ho capito, però, che fino ad oggi avevo sbagliato ad interpretare questo concetto che lui, invece, ha fotografato al meglio. Le slidin’doors non sono qualcosa che ti capitano tra capo e collo e che tu varchi o meno per caso. L’occasione per passare da quella maledetta porta te la devi creare perché nessuno lo farà per te: oltrepassarla dalla parte giusta o meno è, poi, questione di dettagli non sempre dipendenti dalla tua volontà. Ma se ti sei preventivamente messo in condizione di giocarti le tue carte al posto giusto, nel momento giusto, la probabilità di entrare nella storia come speravi aumentano in maniera esponenziale.

La Juventus vista stasera (e, più in generale, quella di questa prima parte di 2016/2017) non si è certo messa in questa condizione. Anzi, sembra aver gettato le basi per l’ennesima campagna europea fatta di rimpianti, di invocazioni ad Eupalla che non ci dice mai quasi mai bene (la gara di Lione è un notevole bonus da questo punto di vista), di elenchi ridondanti di nuovi e preoccupanti “se”. Anzi, no. Non sono nuovi, i “nostri” se. Alla fine, sono sempre gli stessi: “se evitassimo di speculare sul golletto, se avessimo una mentalità e un approccio a certe partite degno di tal nome, se riuscissimo ad essere forti anche nei fatti e non solo a parole, se provassimo noi ad imporci tecnicamente invece di lasciare sempre l’iniziativa agli altri” e via così.

Tutto il resto, dalle responsabilità di un tecnico (e chi scrive ha sempre evitato scientemente il tiro al bersaglio ad Allegri per partito preso) che sceglie di sperimentare il rombo nella partita più importante, a quelle di un gruppo di giocatori che vanno inspiegabilmente nel pallone quando il primo prova a proporre qualche variazione sul tema, passando per una condizione fisica che tende più ad andare che a venire, è solo una naturale conseguenza del nostro non saper (o non voler) mettersi in grado di passarla quella porta.

Notare come non stia ancora parlando al passato. Non è il momento o, forse, c’è ancora la speranza che, anche in campo, si cominci a ragionare all’indicativo presente dei novanta minuti di Siviglia senza pensare troppo agli eventuali rimpianti successivi al ritmo del condizionale, E’ così che si cambia il corso della (nostra) storia. E’ così che si passa una slidin’ door dalla parte giusta.

p.s. Nella chat di gruppo mi fanno notare che se Lacazette sfrutta a dovere il primo errore di Barzagli da Juve-Lecce del 2012 siamo praticamente eliminati. E’ slidin’door anche quella, certo.

4a Champions League: Juventus Lione 1-1

di Andrea Lapegna


La Juventus si complica la vita, pareggiando con l’Olympique Lyonnais. Un incontro che ha regalato poche luci e molte ombre


A detta di molti, la quarta sfida del girone di Champions League è quella decisiva per delineare i rapporti di forza nella poule. A questo appuntamento, Juventus e Olympique Lyonnais arrivano in situazioni ben diverse. I bianconeri sono saldamente primi in campionato ed appaiati al Siviglia in prima posizione nel girone; l’OL invece non sembra riuscire ad abbandonare le incertezze d’inizio stagione, chiuso tra i desideri di grandeur e la realtà di mezza classifica.


Antidoti

Tuttavia, entrambe le squadre sono accumunate dal bisogno di scrollarsi di dosso alcune critiche. Molti hanno storto il naso di fronte il calcio asfittico ed inespressivo della Juventus, invocando a furor di popolo la comparsa di un non meglio identificato“bel giuoco”. Questa carenza è stata alternativamente attribuita una volta al modulo 3-5-2, un’altra alla filosofia poco arrembista di Allegri. Il Lyon, dal canto suo, sembrava dover ritrovare la quadratura del cerchio dopo i recuperi di Fekir e soprattutto di Lacazette, le cui assenze erano state ritenute fondamento delle scarse prestazioni in campionato. In realtà, dal rientro a tempo pieno dell’attaccante guadalupense, l’OL ha racimolato 3 punti in altrettanti incontri, frutto della vittoria poco convincente contro il Tolosa.

Tra le fila bianconere, Marchisio ritorna finalmente a sentire l’inno di Tony Britten. Con il rientro dell’equilibratore torinese, Allegri può permettersi il lusso di schierare quel trequartista tanto caro, oggi personificato da Miralem Pjanić. Le grafiche d’inizio partita disegnano il modulo con un deciso 4-3-1-2, quasi Allegri volesse fare scudo contro le critiche piovute addosso alla sua squadra per la poca “europeicità”. Due piccioni con una fava dunque: il suo modulo e la sospensione del giudizio sul 3-5-2.

Genesio, dopo aver lungamente adottato in fase di necessità il 3-5-2 (o meglio, la variante con gli esterni bassissimi), alla vigilia ha voluto strizzare l’occhio alla stampa transalpina asserendo la volontà di schierare addirittura 4 attaccanti in un improbabile 4-2-4. Come volevasi dimostrare, la scelta è caduta su un ben più coperto 4-4-1-1, con Ghezzal e Rybus larghi a supporto di Fekir e Lacazette, ma comunque sulla linea del centrocampo. La versatilità del modulo permetteva così di sfruttare le qualità in campo aperto degli avanti, pur rimanendo arroccati sull’assioma che contro la Juventus bisogna difendere il centro del campo. Nulla di nuovo sotto la luce sole negli atteggiamenti, ma scelte specifiche che sanno molto di risposta alle critiche.


Fuochi di paglia

Come sperimentato contro la Samp, l’atteggiamento della Juve punta molto alla riconquista immediata della sfera. Le scelte di alzare Pjanić e buttare nella mischia Sturaro si spiegano anche attraverso la necessità di maggiore dinamismo in mezzo.

Anche toppo

L’OL invece, proprio a causa dell’aggressività bianconera, non riesce a costruire la manovra da dietro. Complice anche la scarsa qualità di palleggio nei 4 di difesa, il Lione non riesce ad uscire palla al piede e deve necessariamente ricorrere al lancio lungo. Per fortuna dei francesi, Fekir – libero di svariare su tutto il fronte d’attacco – ha trovato una zona fertile di ricezione alle spalle di Dani Alves. Come testimonia anche la sua heat map, Fekir ha privilegiato la zona sulla destra della difesa bianconera, dove Alves tendeva ad accentrarsi e a non seguire i suoi tagli, confermando i limiti della difesa all’indietro. I lancioni, benché spesso imprecisi, offrivano certezze al Lione non foss’altro perché i giocatori della Juventus sono stati poco reattivi sulle seconde palle.

Il grossolano errore di Diakhaby fa salire alla Juventus un carico di briscola già nelle primissime mani. Il colosso francese spinge Sturaro in una situazione dove l’unica cosa che un difensore deve fare è accompagnare l’avversario verso l’esterno, il rigore è inevitabile, il ringraziamento del pubblico anche.

La squadra allora trova il coraggio di mettere intensità nei primi 20/25 minuti, come ci ha abituati da tempo. Le scorribande dei bianconeri sono però caotiche, confusionarie. Quando lo scarico dei centrocampisti (Marchisio soprattutto) pesca i terzini alle spalle dell’esterno avversario, questi si ritrovano senza appoggio davanti a sé, e si sono spesso avventurati in strappi verso il centro del campo.

evra-dentro-il-campo

Qui Evra ha già controllato il cambio di campo di Higuaín. Il taglio verso la profondità di Pjanić è in ritardo, e trovandosi già oltre Ghezzal, Evra potrà tagliare indisturbato fin dentro zona 14, senza trovare però l’ultimo passaggio.

Il 4-3-1-2, peccando fisiologicamente sugli esterni, poggia molto sulla capacità della coppia di attaccanti di dare ampiezza alla manovra. In questo senso, assume ancor più spessore il pendolo tra Higuaín e Mandžukić. L’argentino, in copia carbone rispetto a quanto fatto nell’ultimo anno a Napoli, è stato spesso sollecitato nell’abbassare il suo raggio d’azione di qualche metro e giocare da muro “spondando” per i compagni o addirittura cambiando campo lui stesso (vedi sopra). Mandžukić invece è molto più a suo agio nei movimenti in orizzontale: le scorie di un pressing a tutto campo lo portano spesso vicino all’out e dunque a dialogare – a palla riconquistata – con l’avanzata del terzino, ieri sera molto più Evra di Dani Alves.

Il Lione nel primo tempo non ha interesse a portare pressione. Genesio è ben consapevole che il centrocampo ha difficoltà ad assecondare il movimento in avanti di Fekir, Lacazette e dell’esterno sul lato forte, e con Pjanić a sciamare tra le linee non vuole rischiare di lasciare ricezioni pericolose. Tuttavia, il baricentro non è troppo basso, dato che i continui scambi di posizione di Higuaín e Mandžukić, benché non diano punti di riferimento, non riescono nemmeno ad abbassare la difesa avversaria.

La ricerca del pallone da parte della Juventus non è però sempre portata con costanza. Il Lione ha così lunghi momenti di possesso prolungato, quando cioè non riusciamo a riconquistare palla subito dopo averla persa e ripiega nella propria metà campo. Ieri sera Allegri ha chiesto ai terzini di tare particolarmente stretti, in modo da impedire dialoghi in velocità tra gli esterni e gli attaccanti. Il 4-4-2 che si disegnava con l’arretramento di Pjanić tra Marchisio e Sturaro – e che concettualmente era lo stesso a cui siamo abituati passare dal 3-5-2 – era raccolto in una trentina di metri di larghezza. Incapaci di penetrare la difesa bianconera o di sovrapporre in maniera continuativa i terzini alle ali, nel primo tempo l’OL dà sfogo alla manovra con sterili e prevedibili tiri da fuori. È una situzione che si ripete anche in transizione negativa, dove Barzagli e Bonucci badano solamente a coprire la profondità, senza curarsi degli esterni: tanto i loro portatori vanno dritto per dritto.

juve-stretta

La Juve difende strettissima


I segnali delle difficoltà

Che la Juve cominci il secondo tempo in sofferenza, lo si capisce nel momento in cui l’OL inizia ad attuare un timido pressing. Con la difesa a 4 ci sono meno scarichi sicuri disponibili, più spazi per il pressing avversario. Forse a causa della novità, o più probabilmente perché i centrocampisti lionesi hanno preso bene in consegna i propri dirimpettai, la Juventus non riesce più ad uscire palla al piede. Ad ogni appoggio verso Buffon, il portiere è costretto a rilanciare lungo, con l’inevitabile conseguenza di far scendere di un’ulteriore tacca il livello di benzina dei due attaccanti, lasciati soli contro i difensori avversari.

È tutto il centrocampo a non funzionare. Non ci sono movimenti senza palla, non ci sono ricezioni tra le linee avversarie, manca anche il tempo della manovra, che ristagna languida. A parte Marchisio, in lotta continua contro Fekir, Khedira è ancora una volta troppo statico, mentre Sturaro non garantisce nemmeno circolazione orizzontale. Pjanić è un’anima in pena, vittima di un probabile conflitto interiore che lo porta una volta ad appiattirsi su Marchisio alla ricerca di un pallone (che riconsegnerà prontamente al mediano azzurro), un’altra a cercare lo spazio tra Mandžukić e Higuaín, svuotando ancora di più il centro del campo per improbabili ricezioni avanzate.

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Dopo 1 minuto e 41 secondi di circolazione bassa esclusivamente tra i 4 difensori, Dani Alves premia l’abbassamento di Pjanić che, per una volta, può girarsi fronte alla porta (pur a metà campo).

Alla desolante circolazione di palla, si aggiungono inusuali errori tecnici. Se quelli di Barzagli sono comprensibili in primis in ragione dell’enorme partita che ha disputato e poi dal nuovo ruolo cui è stato costretto dopo l’uscita di Bonucci, quelli dei centrocampisti lo sono meno. Khedira, Sturaro e Pjanić hanno perso 10 palloni in totale, quasi la metà dei 22 persi alla Juventus.

Con i terzini alti e larghi per migliorare il palleggio e stanare gli avversari, in caso di perdita del pallone i centrali sono in balia o quasi degli avversari. Le transizioni dell’OL espongono i difetti della difesa bianconera: Evra e Alves, aperti, non riescono a recuperare la posizione in tempo stringendola come nel primo tempo. Molti avevano avvertito circa l’unica arma a disposizione di Genesio: la velocità degli attaccanti. A dispetto degli avvertimenti, in 10 minuti la Juventus perde palla 3 volte nella propria trequarti, scatenando la verticalità e gli strappi del Lione. Come un orribile effetto domino, la Juventus ha paura e si abbassa ulterormente: passiamo letteralmente 5 minuti con il baricentro ai 16 metri. Alla pessima occupazione degli spazi da parte dei biaconeri si aggiunge anche un ritmo molto più elevato imposto dall’OL.


Mettere piccoli cerotti su grandi ferite

Insegnante di pragmatismo qual è, Allegri torna al 3-5-2. Con l’ingresso di Sandro per un opaco Pjanić, il tecnico livornese sembra fare di necessità virtù, piuttosto che rinnegare il 4-3-1-2. Il nuovo vecchio modulo offre due fresche boccate di ossigeno alla Juventus. La prima, è evidentemente un difensore in più, sia per la difesa della propria area che per dare uno sfogo sicuro al palleggio basso. La seconda è che Alex Sandro da solo riesce con i suoi strappi a far salire l’intera squadra di diversi metri.

Ora, la Juventus non ha (più) un set di movimenti per uscire dalla pressione, né per far ripartire l’azione. Si basa sempre sulle connessioni tra giocatori, a seconda della reciproca posizione in campo (e degli avversari). Il problema ieri sera è stato che ai ritmi imposti dal Lione, i giocatori non hanno saputo contrapporre né una condzione fisica comparabile, né soprattutto sono stati in condizione di sfruttare la propria tecnica superiore.

Ad opinione di chi scrive, il gol era solamente una questione di tempo. Semmai fa male dover constatare come ancora una volta sia arrivato su un calcio piazzato: quest’idiosincrasia nei confronti di corner e punizioni è un tallone d’Achille troppo grande per una squadra con simili ambizioni. Allenare questo genere di situazioni non è mai troppo difficile, soprattutto se consideriamo che si tratta di un problema comparso alla prima (!) giornata di campionato.


Tempo di e per imparare

Il grande allenatore sovietico Valeriy Lebanovskyi soleva dire che “la cosa più importante nel calcio è quello che un giocatore fa quando non ha il possesso della palla”. Se potesse vedere l’atavicità e l’assenza di movimenti del centrocampo bianconero, sono sicuro che vorrebbe ritornare sulla Terra per dirgliene quattro.

In buona sostanza, i problemi di ieri sera sono dati da cattive spaziature tra i giocatori e dalla mancanza dei movimenti necessari per correggerle. Il ritmo del Lione ha di fatto esposto ancor di più queste criticità, che però rimangono endogene e non confinate alla singola partita. Non è nemmeno questione di moduli, dato che – giova ripeterlo – Allegri punta ai concetti più che agli schemi. Il grande paradosso del voler controllare la partita ma concedere ripartenze non trova soluzione se non all’interno di un discorso più ampio, che comprende proprio la maniera di far convivere le qualità in rosa all’interno di un progetto tecnico coerente e credibile.