Ci sono un croato, un bosniaco e un colombiano, ma questa – forse grammaticalmente più corretta – è solo la sintesi più estrema di una storia che non è una barzelletta. Ma andiamo con ordine. Ci sarebbe innanzitutto un italiano. Pronti via e lui fa trattenere il respiro per lunghi secondi, poi alza il pollice per tranquillizzare il mondo e, soprattutto, chi lo guarda da casa, come fa il pilota dopo uno schianto sul muro di gomme a 260 chilometri orari. Bene, anzi tutt’altro. Cominciare così è un brutto campanello d’allarme e già si ode il bubolare di milioni di gufi appostati con le loro zampette “all’ombra de’ cipressi”. Torneranno in breve con i loro occhietti gialli sbarrati di meraviglia nelle loro “urne”, come sempre.
Dicevamo del croato. Lui, lo sanno tutti, è un mezzadro. Coltiva l’altrui campo arandolo con il suo trattore cingolato, alza le zolle per seminare i chicchi del suo football rude e pragmatico, usa le manone per disincagliare le ruote del carretto dal fango delle pozzanghere, i gomiti per trattenere i buoi prima che scappino per i campi. No, a Marione non frega molto che sia lui a raccogliere il frutto del sudore versato, lo fa in primis per la famiglia che comanda, anche se stavolta è costretto a inventarsi cecchino per giustificare al mondo il sacrificio del compagno. E non delude. Perché il croato è l’emblema di questa Juve che scala sfrontata ogni montagna e che non si spaventa nemmeno se alle sue spalle sente il sordo sibilare del fuoco amico, figuriamoci altro.
Ora a dire il vero ci sarebbe lo svizzero, intento in diagonale a salvare il suo portiere e caduto nel tranello di una maglia gialloblù crollata sul prato come fulminata per scansarlo. Non sarebbe nemmeno punizione. Amen, così è deciso, inutile star qui a piagnucolare. La piazza Pellissier, colui che è dentro da una manciata di minuti con l’audio che ripete ossessivamente che nella massima serie ne ha già firmati 98, di cui 4 alla Juve. Alzi la mano chi per un attimo non abbia pensato: “ecco, arriva il cacacazzo, fa doppietta per la cifra tonda e ci sbatte all’inferno”.
Eh no bello, ho detto che c’è anche un bosniaco. Diciamolo con franchezza, lui fin qui oggi ha deluso. Sembra nascondersi apposta tra le linee di passaggio, come se rifuggisse da responsabilità non richieste ma dovute. Poco ispirato, si becca una randellata sul polpaccio e questa sì che è punizione. Ora, per quanto le geometrie del vituperato brasiliano (oggi c’è anche lui, e alla grande) quest’oggi abbiano convinto e la botta dell’ottimo Bonucci potrebbe far male, l’87% del tifo bianconero (fonte Istat) si augura che parta la rincorsa del primo. Le parole le porta via il vento, le biciclette i livornesi, era stato chiaro il mister nel pre partita (nel post sarà spettacolare) ed il graffio del campione ha le ruote lenticolari e il telaio in fibra di carbonio.
Virtualmente sarebbe anche finita, ma avevo premesso e promesso ci sarebbe stato anche un colombiano. Col Chievo, nel finale, càpitano sempre cose assurde e la traversa trema ancora per la sassata di Pogba dopo uno stratosferico controllo. Truciolo è invece invasato, penetra centralmente quasi a cercare il confronto diretto con l’avversario. Faccia a faccia, senza paura, ne sfida uno alla volta alla Causio, alla Camoranesi. Senza mai tradire. La prima finta da altre parti avrebbe sciolto “o’ sang rint e ven”, qui ce ne sono quattro in fila che lo trasformano in vino, come se l’autore fosse alle nozze di Cana. Un dribbling ubriacante dal quale il colombiano non può che uscirne ubriacato, la palla va sul fondo ma per fortuna, alla fine, è solo l’appendice di un gesto che rimarrà, comunque, nell’immaginazione collettiva. Con il risultato a favore è quasi la stessa cosa di una rete gonfiata.
Ci sono un croato, un bosniaco e un colombiano. Tutti e tre col paracadute. Rivolgersi altrove per una barzelletta…
Di Roberto Savino