Il recente accordo della Juventus con il nuovo regional partner indonesiano Super Soccer TV è l’occasione per dare uno sguardo a questa importante fetta di fatturato della società di
Andrea Agnelli.
Nell’ultimo bilancio 2015/2016 appena approvato dagli azionisti , i ricavi da sponsorizzazioni e pubblicità si attestano a 70 milioni di euro, pari al 18% del fatturato totale (387 mln di €) .
L’anno precedente il rapporto fu più basso, 15%, con 53 milioni su 384 totali, dunque un business in crescita.
È un parametro che la Juve deve necessariamente potenziare , se vuole ambire alla fascia altissima dei top club europei.
Il Bayern di Monaco, a mio avviso il nostro vero benchmark di riferimento, incassa dagli sponsor 170 milioni di euro su 629 (dati al 30/6/16) con un’ incidenza del 27%. C’è quindi ancora moltissimo da fare.
Ma entriamo ora più nel dettaglio.
Juventus S.p.A ad oggi ha quarantuno interlocutori commerciali fissi, così suddivisi:
– Main sponsor : 2
– Official partner di primo livello: 11
– Official partner di secondo livello : 22
– Regional partner : 6
Non tratteremo qui dei primi due, Adidas e Jeep, che ovviamente hanno dinamiche e impatti peculiari a se stanti.
Nella gruppo degli official partner troviamo invece aziende a caratura spesso multinazionale e dalla marcata propensione al mercato di massa, caratteristiche indispensabili per
affiancare una squadra di calcio che punta a tutti i segmenti della popolazione.
Non a caso troviamo nella prima fascia: servizi di telefonia, di trasporto e di ricerca lavoro, aziende di elettronica di consumo (2), settori alimentari (2), una banca (lasciata Veneto Banca quasi in default… per UBI , più rassicurante), pneumatici e le due note TV a pagamento italiane.
Gli official partner di seconda fascia si rivolgono invece a settori popolari ma più specifici nella segmentazione del cliente/tifoso; sono aziende spesso collegate in modo naturale al mondo del calcio e dello sport o al business della capogruppo (auto).
Nello specifico si tratta di trading online, scommesse sportive, orologi, moda, videogames, broker assicurativi, alimentari e bevande di vario tipo, energy drink e integratori, medicina sportiva e non, tecnologia per lo sport, noleggio auto ed elettrodomestici.
I regional partner nascono invece da accordi commerciali volti a sviluppare specifici mercati geografici, ai quali la società punta come più volte illustrato dal presidente Andrea Agnelli (ne abbiamo parlato anche su Juventibus.it, in occasione del discorso agli azionisti di questo autunno).
Nel particolare la Juve ha scelto:
– International Bank of Azerbaijan, istituto di credito asiatico/caucasico con 1400 dipendenti e circa 700mila clienti, di rating BB, banca sostanzialmente controllata dallo stato;
– Luvfans.com, un social network di fans cinese, dove campeggia in cima alla home page del sito il marchio Juventus (dovranno cambiarlo, ma di questo ne parleremo tra poco); piattaforma che ha organizzato recentemente una partita tra le vecchie glorie juventine (J Legend) e una squadra locale;
– star-nigeria.com, una birra locale che risulta affiliata ancha ad altri top club tra cui Real Madrid, Arsenal , City e PSG (a giudicare dal suo account twitter) ma il cui sito risulta attualmente sospeso;
– Tecate, birra messicana, che ha tra i suoi testimonial Sylvester Stallone;
– Vwin.com, società di betting on line operante in Cina, Macao, Taiwan, Vietnam, Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore e Thailandia;
– Supersoccer.tv, piattaforma digitale di contenuti calcistici, molto seguita in Indonesia.
Si vede bene che le scelte effettuate si sposano perfettamente con quanto più volte ribadito dal presidente: lo sviluppo del fatturato passa dalla aumento della penetrazione del marchio nel mondo, sviluppando i nuovi mercati che offrono possibilità sconfinate in termini di tifosi e pubblico.
E solo così si interpreta correttamente l’altra grandissima novità che è di poche ore fa: la Juve ha presentato il nuovo logo, che a partire dal primo luglio vedremo su qualunque oggetto marchiato Juve, maglia da gioco per prima.
Una scelta forte, un cambio radicale di strategia di comunicazione.
Un logo che al primo impatto può lasciare magari perplessi (io stesso ho dovuto elaborarlo un pò dopo una prima perplessità) ma studiato per rendere più vendibile il brand Juve in modo elegante, uscendo dallo schema dagli stemmi ovali o tradizionali che generalmente rappresentano le squadre di calcio.
Dal punto di vista del marketing evidenzierei:
– la scelta di puntare sulla lettera iniziale , soluzione fortunata che nasce da un antico nome latino (gioventù) e rende la squadra facilmente riconoscibile; riprendendo tra l’altro una nota citazione di Gianni Agnelli (“mi emoziono quando sul giornale leggo una parola che inizia per j”); iniziale sulla quale si è puntato fin dalla inaugurazione dello stadio : J Stadium, J Museum, J Medical, J Hotel, ecc;
– le strisce bianconere, aspetto ineliminabile e il vago accenno alla forma dello scudetto (la tensione alla vittoria);
– l’eliminazione dello stemma della città, che a qualcuno non è piaciuto. La Juve è degli juventini ovunque essi siano. Del resto pure la presentazione è stata fatta a Milano;
– la proposta di un logo più vicino a quelli della moda o se volete al baffo Nike e alle 3 strisce Adidas: riconoscibile, applicabile su ogni tipo di merchandising ma direi meno grossolano.
Una scelta forte per anticipare i cambiamenti, è stato detto.
Un cambio strong abbastanza inedito nel mondo del calcio internazionale e che magari potremmo paragonare come stile al logo dei New York Yankees, forse la squadra di baseball più nota al mondo.
Vedremo: anche il restyling del marchio del 2004 fatto da Giraudo all’inizio a molti non piacque ma forse vale la pena di fidarsi anche una volta di Andrea Agnelli . I risultati li vedremo nel medio termine e i numeri parleranno: del resto logo , in greco, significa parola.
Non è un nuovo logo, è la nuova Juve
La Juve ieri sera non ha presentato il suo nuovo logo.
Semplicemente ha rivoluzionato il modo di fare comunicazione (visiva) nel calcio di alto livello. L’idea che sovverte e amplia il visual marketing calcistico non è un “nuovo logo”, ma è sostituire il logo allo stemma. Un logo è la base di qualsiasi strategia di brand awareness (consapevolezza e riconoscibilità di un marchio, di una impresa) e consente di riconoscere l’azienda con effetto immediato.
(foto da Juventus.com)
Sono anni che ripetiamo che una società di calcio non è più un club amatoriale che gestisce una squadra, che ci sentiamo dire che le società sono ormai multinazionali e che per competere a livello mondiale occorre strutturare le attività commerciali e di marketing come qualsiasi colosso commerciale. Sono anni che assistiamo alla crescita impetuosa del fatturato delle big europee avanti anni luce non solo (e non tanto) in termini di introiti da diritti TV, incassi da stadio e da competizioni, ma soprattutto sul piano del merchandising e dei ricavi commerciali.
La Juve fa la sua mossa, imprevedibile eppure così maledettamente razionale. La Juve è la prima ad abbandonare il “crest”, lo scudetto, lo stemma, retaggio arcaico dei club sportivi e a passare in toto ad un logo, immagine che la definirà in qualsiasi materiale digitale, cartaceo, su magliette, divise, prodotti commerciali, allo Stadium, sui social, dovunque.
(ipotesi nuova maglia Juve di un designer)
E la Juve, in effetti, era l’unica a poterlo fare, in questo modo. Logo (da logos) è LETTERA. Qual è l’unico club al mondo immediatamente riconoscibile da una sola lettera (e da ieri con un solo logo)? Se scrivo una B a cosa penso, nel calcio? Al Barcellona o al Bayern? E per riconoscere immediatamente un prodotto o un’immagine legata al Real Madrid o al Manchester United a cosa posso ricorrere? Non certo a RM o MUFC, al massimo al colore “blanco” o al “red” (con l’equivoco Liverpool). Oppure uso lo stemma, che però è troppo legato agli stereotipi calcistici, troppo “vecchio” per le nuove forme di comunicazione, per gli attuali canoni di design, per il fashion, per la trasmissione delle emozioni. Lo stemma e i colori sociali non sfondano porte, non dilagano, non aprono i cancelli che portano al nuovo target da raggiungere.
(foto da Juventus.com)
La Juve da anni stava andando in quella direzione: sintetizzare in una sola lettera tutto il suo Mondo. Direzione ambivalente, mossa dalla necessità di comunicare il suo brand in modo immediato, diretto, inequivocabile e di tradurre in strategia globale di marketing la meravigliosa frase empatica di Gianni Agnelli:
Perfino quando leggo un quotidiano e l’occhio mi cade involontariamente sulla lettera J di Juventus, il cuore mi sussulta, ricevendo una grande emozione.
Dopo il J-Stadium, la J-TV, il J-Village, J-Medical e, in definitiva, il J-World, la Juve ha completato il salto nel futuro con il logo “J” (peraltro la lettera J è stata legalmente blindata per qualsiasi utilizzo commerciale di terzi). In quel logo la Juve ha racchiuso il suo spirito, il suo stile, i suoi colori ( spesso un freno nel merchandising rispetto ad altri famosi marchi colorati) e la sua italianità vincente in un segno in cui la J traccia uno Scudetto e al contempo apre strade nuove, nette e con orizzonti aperti. E non dimentichiamo che dall’anno scorso la Juve ha accettato la sfida di gestire in proprio il suo merchandising, affrancandosi dal partner Adidas.
(foto da Juventus.com)
Il logo non deve piacere. Non deve piacere soprattutto a noi (già) tifosi. Il logo non deve essere un esercizio iper-fantasioso. E’ la centralità del logo a rivoluzionare il campo. Distintivo, riconoscibile, essenziale. E’ una J, ed è subito e solo NOSTRA.
E’ come lo Swoosh di Nike, la B di Beats, gli archi di McDonalds, perfino come la mela di Apple, che ormai sostituiscono il nome dell’azienda perché immediatamente riconosciuti e percepiti. Una forza comunicativa mostruosa. Fa figo. E’ un mix tra futuro iper-minimalista, tocco orientale, vintage futurista. E’ cool indossarla, avere, usare qualcosa marchiata J. Su una polo, una cover di smartphone, su accessori, underwear, nei J-Cafè. Dovunque…
(foto da Juventus.com)
Le reazioni italiane solo le solite: i tifosi nostalgici dello stemmino vecchio (ma avranno mai comprato una polo Juve con lo stemma o la vecchia zebra?), le battutine, i meme..I media italiani tirano fuori le copie, i plagi, i tifosi infuriati, ironizzano su un’idea non compresa, non analizzata, troppo avanti.
Il nuovo target, i millennials, il mercato asiatico (a cui il logo occhieggia, riprendendo quasi l’ideogramma cinese di “Forza” e “Valore”) cosa preferirà: lo stemma araldico arzigogolato o il nuovo logo, una J? Con questo salto nel futuro la Juve sposta il suo merchandising (e non solo) da un sottoscala stantio con prodotti da catalogo cartaceo ad un pianeta ultra-fashion desiderabile e cosmopolita, come le Emily Ratajkowski e le Rita Ora presenti ieri all’evento.
(foto da Juventus.com)
E La tradizione? L’appartenenza alla città di Torino? La nostra storia?
La tradizione Juve è sempre stata quella di rivoluzionare il calcio e andare oltre. La Juve è sempre stato non solo di Torino ma di tutti quelli che la amano dovunque. La storia della Juve è essere primi, sempre i primi. Anche in questo.
Alert! Non sgretoliamo la tradizione!
di Federica Zicchiero
È risaputo. Quando si toccano elementi altamente iconici e simbolici, rappresentativi di un’identità collettiva e portatori di un significato anche emotivo, è impossibile mettere d’accordo tutti.
La Juventus ha deciso di ricostruirsi una brand identity nuova di zecca, facendo piazza pulita del passato. “Sgretolare gli schemi e le tradizioni del settore calcistico”: Andrea Agnelli non usa mezzi termini per definire l’intento della società. Ma siamo davvero sicuri che, in un ambito strettamente legato alle emozioni e al senso di appartenenza, “sgretolare le tradizioni” rappresenti la strada giusta? Tradizione significa identità, identità significa attaccamento alla maglia e ai colori. È anche per amore verso una tradizione che ogni anno i tifosi comprano la maglia della loro squadra, un rito che si ripete nel tempo. Sono molti i tifosi bianconeri che hanno reagito negativamente davanti al nuovo logo. Tacciarli tutti di passatismo e miopia è troppo comodo, sbrigativo: significa non cogliere il peso della connotazione emotiva di un elemento identitario cruciale come il logo della propria squadra del cuore.
Seguiamo ancora il discorso di Agnelli. “Non dimentichiamo chi siamo: una squadra di calcio. La nostra essenza è e sarà sempre il rettangolo verde, che definisce i nostri destini.” Ma cos’ha di calcistico il nuovo logo? È stilizzato ai massimi termini, freddo e asettico. A me ricorda un’azienda farmaceutica, una multinazionale di cattivi alla Dylan Dog o il progetto Dharma di Lost, più che una squadra di calcio. Oggi, il giorno dopo, vado a consultare il sito e i canali social della Juve, e non mi sento più a casa. Questione di abitudine, certo. Ma non mi si può dire che il nuovo, spigoloso volto della nostra squadra sia accogliente. Eppure, per gusto personale, amo il minimal, non gli stili barocchi.
Dicono che il cambiamento grafico sia necessario per aumentare riconoscibilità e immediatezza, per conquistare i mercati esteri (e non è un caso che il logo ricordi un ideogramma), per vendere più magliette. Andrea Agnelli ha rimarcato la necessità di comunicare ai bambini e al pubblico femminile di tutto il mondo. Per essere riconoscibile, il nuovo logo lo è di certo: se lo vedi in mezzo a una serie di altri stemmi, lo cogli al volo, è quello più stilizzato. È anche facilmente riproducibile: ma perché mai un bambino dovrebbe mettersi a disegnare, a sognare su un design così freddo?
Mi chiedo: eliminare qualsiasi dettaglio identitario locale e tradizionale – la forma ovale, il toro e la corona della città di Torino – non sarà una rinuncia troppo grande? È come se il Barcellona eliminasse la croce di Sant Jordi, i colori della Catalogna e il pallone, come se il Real Madrid cancellasse la corona reale e la banda trasversale della Castiglia o l’Arsenal il cannone, l’Ajax il profilo di Aiace Telamonio. Siamo davvero sicuri che quel piccolo toro imbizzarrito all’interno del logo non fosse, al contrario, un dettaglio capace di stimolare la curiosità e la fantasia di un bambino? Ricordo quando io stessa, poco più che una bimba, andai a cercarmi informazioni sul logo della Juve, sulla sua storia, sul significato di quei dettagli. Dettagli che mi parlavano di qualcosa di nuovo. La Juve era una novità, un elemento estraneo alla mia famiglia, visto che nessuno a casa era tifoso di calcio. E lo stesso potrebbe essere, oggi, per il bambino cinese, per la ragazzina thailandese che Agnelli ha citato varie volte nel suo discorso. Questi sono gli elementi a cui la Juve ha rinunciato: altri, più entusiasti e ottimisti di me, preferiranno focalizzarsi su quelli che, allo stesso tempo, ha acquistato. Pulizia e modernità della linea, riconoscibilità e riproducibilità. Punti di forza innegabili, ma acquistati a caro prezzo, ai miei occhi.
Siamo davvero sicuri che rinunciare a un pezzo di identità sia una scelta vincente? È senz’altro una grande scommessa, e tutti ci auguriamo che la Juve la vinca. Me lo auguro anch’io, ovviamente. Avrei almeno la consolazione dei risultati commerciali, la consapevolezza che il “sacrificio” sia servito a qualcosa. Per ora mi resta un senso di delusione, di tradimento dell’identità. Col tempo mi abituerò, per forza di cose. Da oggi, per me e per i tanti nostalgici, comincia la fase del “facciamocelo piacere”. In fondo anche per noi la J è da sempre la Juventus. Anche per noi è sempre valso ciò che diceva l’Avvocato: «Mi emoziona anche solo leggere una parola che inizia con la J di Juventus».
Ci abitueremo. Quando vedremo il nuovo stemma sul petto dei nostri giocatori, accostato a partite indimenticabili, a vittorie elettrizzanti e sconfitte cocenti (sì, l’attaccamento a un simbolo passa anche dalle sconfitte), man mano cioè che il logo si caricherà di un significato emotivo, smetteremo pure di pensarci. Nel frattempo il nostro amore, quello sì, rimane immutato.