31 anni appena compiuti, una vita alla Juve, un presente ancora tutto da scrivere. Claudio Marchisio è, fra le bandiere juventine – perché non v’è alcun dubbio che lo sia e che lo sarà – una di quelle dalla carriera più tormentata.
Sono state davvero poche le stagioni in cui il numero 8 bianconero non sia finito, prima o poi, al centro di mille interrogativi di varia natura sulla sua centralità tecnica, tattica, persino spirituale nella Juve. A colpo sicuro posso citare solo il 2011-2012, il vero anno della consacrazione per Marchisio, quello in cui ha smesso di essere considerato un “jolly”, quello in cui un allenatore gli ha finalmente trovato un ruolo che ne valorizzasse le caratteristiche. In misura diversa (e in un ruolo diverso) si può citare anche il 2015-2016 – nonostante gli infortuni e un contributo realizzativo addirittura azzerato – soprattutto per aver saputo imporsi come punto di riferimento in un momento difficile per la squadra, per aver ridato certezze a un gruppo che le aveva perse tutte.
Marchisio è chiamato a scrivere un 2017 che comincia in salita, forse non solo per cause di forza maggiore. Il lento recupero da un infortunio lungo; la condizione che tarda ad arrivare; qualche uscita davvero opaca (Firenze il nadir) e ora, a cambiare di nuovo le carte in tavola, un nuovo modulo che riduce gli spazi per i tantissimi centrocampisti centrali della nostra rosa. Allegri crede davvero nella coppia Pjanic-Khedira, ci punta per tre volte di fila, li esalta fuori dal campo mentre loro si esaltano in campo. E Marchisio? Di nuovo si apre il dibattito: si può tenere fuori un calciatore così? Con questo schema è solo una riserva di lusso?
Il fatto che a 31 anni ci sia ancora margine per interrogarsi sul ruolo che più lo valorizza la dice lunga sull’universalità di Claudio Marchisio, croce e delizia della sua carriera. Per chi scrive, Marchisio è una straordinaria mezzala. Mi sono bastati 45’ contro l’Atalanta in Coppa Italia per rendermi conto che non ha disimparato il mestiere, nonostante il più immediato precedente fosse da ricercare un anno e mezzo prima, in una sciagurata nottata berlinese.
Ma Marchisio è stato anche il metodista del quinto scudetto consecutivo, una colonna portante dell’asse centrale. Qui entrano in gioco caratteristiche non solo tecniche: i difensori hanno avuto cieca fiducia in Claudio come primo uomo a cui trasmettere il pallone e come ultimo scudo frangiflutti, la stessa cieca fiducia che hanno faticato ad accordare ad altri interpreti di quel ruolo. Questione anche di sinergie, di feeling umano, di statura morale acquisita con anni di assoluta professionalità e dedizione alla causa. Marchisio ha ripagato la fiducia con un rendimento costante come mai nell’intera carriera, con prestazioni magari poco appariscenti, ma in linea con lo spirito tenace e compatto di una squadra che annichiliva l’avversario dal punto di vista fisico.
Il 2017 di Marchisio dovrà passare dunque attraverso due tappe fondamentali, sperando che siano legate a doppio filo. La prima è riconquistare una centralità tecnica a prescindere dal contesto tattico. Tanto più che il mediano nel 4231, soprattutto vicino a un regista come Pjanic (e quindi in vece di Khedira) è ruolo perfetto per far risaltare le letture di Marchisio, senza chiedergli la costanza nell’inserimento senza palla che a 31 anni può sfiancare, ma anche senza chiedergli di essere il primo riferimento per la distribuzione del pallone. Il punto semmai è sentirsi al centro, che vuol dire innanzitutto sentirsi forte. Stare bene fisicamente e psicologicamente per tornare a esprimere il proprio carisma in campo. Sulla voglia di andare a (ri)prenderesi questo posto possiamo mettere la mano sul fuoco: vedere le responsabilità dal dischetto prese a Siviglia, con un 11 del tutto rimaneggiato, e Doha.
La seconda tappa è l’Europa. Marchisio è reduce da una Champions sottotono, chiusa con i 45’ peggiori della sua carriera nella sfida casalinga contro il Bayern. Nel 2014-15 fu gregario di lusso, autore di tante prestazioni convincenti per quantità prima che per qualità. Adesso è il momento di fare uno step in più, di diventare autorevole, magari non trascinatore per indole, ma leader silenzioso sul palcoscenico più importante. Alla carriera di Marchisio servirebbe una prestazione iconica in una di quelle partite da dentro o fuori. Ce l’ha fatta Casemiro, che è centrocampista di vari ordini di grandezza inferiore. Sarebbe bello, l’anno prossimo, non domandarsi mai “E Marchisio?”.
Davide Rovati.