Questa non è un’analisi tattica. E’ più semplicemente la notazione di una serie di considerazioni che tendono ad avallare, ancor prima che si pronunciasse Allegri nel dopogara in questo senso, quanto lo step di Empoli rappresenti il cosiddetto passo in avanti sotto il profilo del gioco.
Quando una squadra gioca bene?
1 – Quando ha padronanza del campo in ogni suo settore.
2 – Quando riesce a sviluppare il gioco progettato.
3 – Quando produce con continuità.
4 – Quando concede il giusto, ovvero logico, dentro uno spartito che tiene in conto dei valori in campo.
5 – Quando costruzione strutturale e imprevedibilità riescono a fondersi.
6 – Quando i fondamentali del calcio (passaggi, tackle, duelli aerei, uno contro uno ecc.) sono favorevoli e ben assortiti. Non solo individualità, non solo meccanica di gioco.
L’ordine gerarchico può essere soggettivo.
Cosa si è visto in questa trasferta, senza precedenti in stagione, che non si era a visto a Roma (contro la Lazio), a Milano (contro l’Inter), a Palermo e neanche nella felicissima e straripante Zagabria?
1 – Forse a Zagabria non ve n’è stata necessità, ma la Serie A sotto questo profilo, anche contro uno dei tre avversari più deboli del torneo, è tutta un’altra cosa. Già solo perché l’Empoli ha attuato una strategia difensiva che non fosse l’arrocco totale, il rinunciatariesimo, la classica ritirata volta a lottare sul singolo uomo e sul singolo pallone. Perché il calcio non è lotta greco-romana, in valore assoluto. Quindi: Juve padrona del campo tramite se stessa, per mezzo dei meccanismi di copertura e scivolata più adatti per una partita collettiva nel senso pieno del termine. Ovvero: Barzagli (nella difesa a tre) tendente alla destra quando e se Cuadrado attacca lo spazio con o senza palla; idem Hernanes, calamitato alle spalle di Pjanic quando e se il bosniaco decideva di provarci in qualche modo tra le linee. E’ calcio pensato, quello di Allegri. Ed è da queste cose che si vede lo sbocco del lavoro.
2 – Più allegriana di così, non si può. La Juventus del Castellani ha circolato poco (rispetto al nostro storico di cinque anni al comando) sui piedi dei tre difendenti, intermedi che cuciono e scappano in avanti per generare un fronte fitto e ampio insieme agli esterni, centravanti che non disegna l’appoggio, che occupa l’area e che dentro non vi si addormenta. Flussi costanti a destra e a sinistra, così come in mezzo, equilibratura e ampiezza del fronte offensivo, circolazione alta e orizzontale per accelerare gli ultimi due tocchi della giocata volta al gol. Guardandosi intorno, usando la testa, soffiando sul collo dell’avversario senza andare in debito d’ossigeno, perché questo condiziona la lucidità e di conseguenza la tecnica. Non si dica che il problema è la presenza o meno di Dani Alves, ma questo grafico spiega già molto se non tutto:
3 – Produrre è figlio delle idee. Della voglia di arrivare alla conclusione, di studiare il momento e il modo propizio. Una grande squadra ragiona così dal primo all’ultimo minuti. Una volta Vip Europei, adulti, Top Team, una volta ambiziosi, scopriamo che quando si parlava di modello Atletico Madrid ci si sbagliava; così come quasi all’opposto si cadeva in errore (e qualcuno ci cade ancora) nel pensare di dover copiare la parabola del Borussia Dortmund. L’organico racconta molto di ciò che sei e di ciò che vuoi provare a essere. A Empoli, con Dybala mediamente più accentrato, in posizione più intermedia rispetto alla riga di destra, ha forse tarpato le ali a Khedira, impegnato a cercare sbocchi senza palla con continuità e, talvolta per le sue abitudini, frustrazione. Ne ha guadagnato l’equilibrio generale, soprattutto quello offensivo, appoggiato sulle caratteristiche d’attacco primarie dei suoi (tanti) interpreti. Risultato: 59% di possesso consolidato, 26 tiri a 6 (11-3 nello specchio, quelli dell’avversario tutti forzati), 17 dentro l’area di rigore, 433 passaggi senza che l’obiettivo fosse quello di muovere la palla (piuttosto attaccare spazi e prendere campo), 86% medio di precisione passaggi. Il minimo sindacale, può pensare qualcuno. Invece è la stabilità del progresso. Forse, il vero punto di partenza. Una stabilità democratica ben rappresentata dalla distribuzione dei tocchi che ci dà il senso dell’ampiezza del fronte, del coinvolgimento, senza un lato di gioco palesemente dominante:
4 – Questione gol subiti. Non diventi una malattia, che resti una sana ossessione. “Ci siamo spaccati in due in alcune circostanze del primo tempo, concedendo delle parità numeriche in ripartenza”. Assestamento. L’Empoli lavorava per giocarsele quelle due o tre circostanze a partita. Al tiro non ci è praticamente arrivato. E allora hai fatto il tuo. Zero gol al passivo dopo Icardi e Perisic. Non è questione di lezioni, è passività dell’undici, dall’attaccante al portiere. Non di reparto. Propositivi è meglio anche per la retroguardia. Con questa squadra qui, con questo obiettivo di crescita qui, il motto è imprescindibile.