Atletico-Juve è la disfatta di Allegri. Nello score, nella lezione tattica, nella lettura della gara, nell’approccio e gestione mentale, nel ritmo, nell’intensità, nello sviluppo fisico della partita e perfino nei cambi.
Delusione e crollo delle certezze. La Juve di Allegri infatti ha avuto spesso difficoltà contro squadre in grado di aggredire alte e palleggiare e schiacciare il rivale, invece l’Atleti ha lasciato palla e metà campo alla Juve occupando militarmente i suoi spazi e lasciando alla Juve un impaccio imbarazzante in costruzione.
Allegri ha perso al Wanda e –probabilmente– ha perso la UCL meno “impossibile” degli ultimi anni. Perso la chance, difficile ma golosa, di coronare 5 anni di critiche crescenti alla sua incapacità di coniugare risultati ottimi a prestazioni all’altezza della squadra.
Il crollo delle certezze è legato al fatto che la Juve non ha perso “come suo solito” una gara decisiva di CL, ma ha perso in modo inedito. La Juve ha perso perché né carne, né pesce. Né sparagnina ed efficiente (massimo risultato, minimo sforzo), né la Juve autunnale che stava evolvendosi verso maggior controllo e audacia offensiva fondata sulla qualità aumentata degli interpreti.
Allegri perde e perde il controllo della sua Juve perché non la fa “evolvere” adattandola ai suoi interpreti. Ogni anno Allegri ha “switchato” evolvendosi in meglio (e in quegli anni è andato sempre in fondo in UCL) o involvendosi in modo conservativo (e in quegli anni ha scudetti molto complicati).
Quest’anno ha fallito nel cucire il vestito più glamour sulla qualità di Cancelo e Bonucci in uscita, l’atletismo tecnico di Bentancur, gli strappi di Emre Can e -ovviamente- sul prodigioso esecutore Ronaldo.
Ci eravamo stropicciati gli occhi nei gironi, nel verificare come la Juve avesse già iniziato quello “switch” nel possesso, nel dialogo, nella valorizzazione della qualità. L’ultimo step da compiere era quello della prolificità: concretizzare il volume prodotto (emblematico il match interno col ManUnited).
Eppure da quella gara, da uno switch “positivo” si è passato ad un “clic al ribasso“.
La Juve è ritornata ad essere solo “efficiente” abbandonando il gioco visto con Valencia, Napoli e United. Ci si è assestati su “bassi, lenti e gol sul secondo palo“, gare “alla pari” con Fiore, Torino, Valencia, Inter, Milan e golletto di Mandzukic. La fase dal ManUnited alla SuperCoppa da sfruttare per evolvere quel gioco, affinare esecuzioni, rapidità, imprevedibilità, ci ha riportati invece ad una Juve che gioca alla pari con rivali inferiori e vince per superiorità individuali. La Juve le ha vinte tutte o quasi e da lì ha sepolto la A.
Eppure il “clic al ribasso” era compiuto e irreversibile, quello che Allegri attribuì a Mandzukic, simbolo delle vittorie invernali: “modalità risparmio energetico“, e non a caso, nel prevedibile calo fisico di Gennaio, una squadra senza gioco ha finito per soffrire con Lazio e Atalanta e patire la troppa esuberanza col Parma.
A Madrid si è palesato tragicamente quel mancato switch, la mancata evoluzione. A quel punto la Juve non è stata -per merito dell’Atleti- nemmeno bassa ed efficiente come in inverno. Né carne, né pesce. Né qualità, né efficienza.
Al Wanda la schizofrenia era evidente, l’impaccio nel capire cosa fare del pallone, se lasciarlo all’avversario (impossibile contro i maestri) o controllarlo con tecnica e audacia (impossibile con De Sciglio e non Cancelo o Matuidi e non Emre Can, o Mandzukic e non Douglas Costa).
La schizofrenia di Allegri, a metà del guado, ha prodotto una Juve ibrida ed inefficace, senza personalità, né brutta, sporca e cattiva, criticati ma efficienti, né belli, agili e spreconi, lodati ma perfettibili.
Bipolarismo anche nei singoli: alcuni conservativi (Chiellini, De Sciglio), altri compassati e orizzontali (Pjanic, Dybala), altri verticali, ma poco tecnici (Matuidi), verticali, ma imprigionati (Bentancur), verticali a strappi (Emre Can). Tutti persi in mezzo ad un Atleti stile finale di Lisbona.
Le certezze si sgretolavano anche in chi guardava: questa Juve ha davvero una rosa eccelsa? E’ tutta colpa di Allegri? Quanta differenza c’è tra Oblak e Szczesny? Tra Godin-Gimenez e Chiellini-Bonucci (i primi segnano, i secondi fanno errori clamorosi?) Quanta differenza c’è tra Koke-Saul e Rodri e Pjanic-Matuidi e Bentancur? Ronaldo è su un altro pianeta rispetto a Diego Costa, ma anche Griezmann è parso, nel ruolo, più forte di Dybala, come Alex Sandro è parso davvero la riserva di Filipe Luis.
Certezze che però lo stesso Allegri ha disperso o non cementato. Il paradosso è che la Juve con Allegri ha avuto una crescita vertiginosa in Europa, come con Conte era andata alla velocità del suono in Italia. Lo stesso Conte aveva detto, non senza ragione, “ci vorranno 10 anni prima di rivedere una finale“. Allegri ci arrivò in 12 mesi, e ci ritornò 2 anni dopo con 9/11 diversi. Crescita che ha portato (grazie ai milioni UEFA e all’appeal europeo) ad avere quella “percezione” di Juve favorita in UCL che però ora è una giusta condanna per lo stesso Allegri.
Il futuro è deciso. Che Allegri riesca in un miracoloso ritorno (le precedenti due remuntade sono svanite all’ultimo istante per la solita “prudenza”) o termini la stagione con l’obiettivo minimo dello Scudetto, il dado è tratto e sembra il momento ideale per cambiare: troppo forti per rischiare di fallire una scelta nuova, troppo timida la ricerca di un cambio di marcia al quinto (e forse ultimo) anno di un allenatore che non finiremo mai di ringraziare per anni meravigliosi in Italia e anni di meravigliose illusioni in Europa.
Sandro Scarpa.