Non vi sopporto più. Avete tutto il diritto di fregarvene, ma anch’io ho quello di dirvelo.
Dopo avere accolto tra gli insulti Allegri in quanto sostituto non all’altezza di Conte; dopo avere sopportato chi, ancor prima di esultare per il suo primo anno trionfale, faceva presente che così era troppo facile, “ha ereditato la squadra di Conte”; chi, alla prolungata falsa partenza dell’anno successivo, più che pensare a supportare la squadra, si vantava perché “ve l’avevo detto, finito l’effetto Conte quest’anno crolliamo”; chi, lo stesso anno, dopo un’uscita all’ultimo secondo contro il Bayern (tra gol fatti, gol annullati ma buoni di un metro, gol presi a partita finita per un rinvio tardivo di un difensore), ancor prima di disperarsi aveva già crocifisso il tecnico per i cambi sbagliati; chi, incomprensibilmente troppo sicuro di battere il Real, dopo Cardiff è arrivato a dire che “è meglio non arrivare in finale, basta, se poi dobbiamo perderle così” e ha deciso che quell’allenatore, quello dei tre scudetti, tre coppe Italia e quei percorsi di Champions non era all’altezza, e quindi andava combattuto; chi quindi negli anni successivi si è alleato con chi ci odia pur di sminuire questo ciclo sensazionale, “lo scudetto lo vincerebbe anche mia nonna”, chi ha cominciato a invidiare “il gioco” di chi arrivava sempre dietro, chi dopo una vittoria a Napoli (fatto non frequentissimo, realizzatosi nonostante un rigore così e così a sfavore) prima di esultare si indignava per il gioco non brillante in undici contro dieci e poi “cosa avrete da festeggiare che pochi giorni fa abbiamo perso contro l’Atletico”; chi, dopo la serata con l’Atletico, invece di impazzire, ripensava ancora all’andata perché ormai aveva pronto il de profundis; chi, una volta uscito dalla Champions, non ha neanche celebrato il titolo, troppo preso dalla furiosa ricerca, in ogni partita di qualsiasi competizione, di trovare un modo per sminuire quella Juventus (“ecco, guarda l’Ajax come gioca; anzi, guarda il Tottenham; guarda il Barcellona, anzi, guarda il Liverpool, guarda il City di Guardiola, anzi riguarda il Tottenham; guarda Klopp, ecco, vedi che la Champions si vince giocando così?”, come se ci fosse davvero una regola per vincere una Champions).
Dopo avere dovuto sopportare i tifosi contro Allegri ci siamo trovati davanti un altro nuovo fantastico genere, i tifosi innamorati persi di qualunque giocatore (per lo più mai visto) venga venduto o sia in procinto di esserlo: quelli che nella surreale estate di Ronaldo non capivano come la società potesse decidere di rovinare tutto riprendendo Bonucci e soprattutto cedendo Caldara, perché #caldaranonsitocca, quelli che questa estate, dopo l’umile acquisto di de Ligt impazzivano all’idea che potessimo privarci di Demiral (visto tre volte in vita nostra) a 40 milioni dopo averlo appena preso a 18.
Ecco, dopo avere sopportato tutto questo per anni, ora arriva un nuovo genere, gli ex difensori della Juve allegriana, i tifosi punti nell’orgoglio per le crociate contro il gioco di Max, pronti ad attendere un passo falso, un risultato negativo, una partita giocata male, qualche gol di troppo preso su calcio piazzato, una rimonta subita dopo uno splendido match, una vittoria ottenuta soffrendo neanche tre giorni dopo la Champions (“eh ma il City ha vinto 8-0, non troviamo scuse”), desiderosi di ottenere la propria rivincita chiedendosi se “sarebbe questo il fantastico gioco di cui parlavate?”, dopo neanche un mese di calcio ufficiale.
Eh no, dai, abbiate pietà.
E non c’entrano le solite frasi demenziali del tipo “non si può neanche criticare?”(certo, che si può, anzi critichiamo tutti: ma di solito se conquisto i tre punti il mio primo pensiero è alzarmi dal divano o dal posto allo stadio per esultare, prima ancora di scrivere un tweet polemico sul gioco, da paragonare a qualche altra squadra del presente o del passato), “sei aziendalista” (non so che voglia dire, ma se vuol dire avere gratitudine, fiducia e stima verso questa società che ci ha presi laggiù e portati a questo punto, non trattandoli come scemi sempre in balia degli eventi sì, sono più che aziendalista), “basta con le patenti di tifo” (perché qui il punto è esattamente l’opposto: ognuno tifi come gli pare, in silenzio, gridando, criticando, esaltando, ma appunto tifi, perché se invece sminuisce le vittorie della propria squadra o addirittura spera che non vinca per dimostrare di avere ragione il tifo è stato dimenticato da un bel po’) e altre frasi da social adatte a giustificare qualunque lagna o sparata.
E lo dice uno molto prudente, spesso pessimista; uno che, arrivato Allegri, non aveva alcuna fiducia e che, arrivato Sarri, ha molte riserve anche su di lui. E quindi dubita, soffre, si fa domande, critica, si arrabbia, si esalta, ma proprio per questo vuole far sentire il proprio supporto ancora di più e l’ultima cosa che gli verrebbe in mente alla fine di un Atletico-Juve 2-2 di quel tipo sarebbe quella di rivendicare i meriti dell’attuale allenatore rispetto al precedente (“finalmente un gioco come si deve dopo tanti anni, i risultati arriveranno”) o di fare l’esatto contrario (“ecco, un’altra rimonta, Allegri non si faceva rimontare due o tre gol, poi i calci piazzati a zona… bisogna vincere!”).
Basta, non vi sopporto più.
Poi lo so che è solo uno sfogo , che non si dovrebbe, che di calcio ognuno parla come vuole, che tutti vogliamo una Juve sempre migliore, che è solo uno di quei momenti un po’ nostalgici e troppo sentimentali alla “ridammi indietro la mia seicento, i miei vent’anni e una ragazza che sai tu”, in cui sogni un dibattito sereno, senza rivendicazioni e rimpiangi i momenti (es. primo anno di Conte) in cui hai visto i tifosi compatti, perfettamente consci che il “nemico” fosse fuori e non dentro, perché lì hai avuto l’impressione di essere inattaccabile mentre se siamo sempre, perennemente divisi, siamo più vulnerabili. Lo so, e quindi “scusatemi, stavo scherzando, luci a San Siro non ne accenderanno più”.
Ma era un po’ che volevo dirvelo e preferisco farlo dopo una vittoria, quindi eccomi qua, permettetemelo solo per oggi: basta, non vi sopporto più.
Il Maestro Massimo Zampini