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Bravo Giorgio

Il locale in cui vado quasi ogni settimana a vedere la Juventus, posto rigorosamente bianconero e punto di riferimento della città (non solo per i tifosi) da oltre trent’anni, può essere definito come un vero e proprio covo di personaggi particolari, tanto caratteristici e tipici di ambienti simili quanto peculiari nella loro unicità, a metà tra il classico bar sport e il Libro Cuore. Tra i più divertenti c’è sicuramente un signore pelato un po’ avanti con l’età, voce inconfondibile e catch phrases sempre uguali, come nel wrestling: i suoi slogan più classici sono “Arbitro dacci un rigore“, “Fischia la fine” (anche a primo tempo da poco iniziato) e la mia preferita, “Bravo Giorgio!“, ripetuta talmente tante volte da diventare quasi un mantra.

Va fatto notare che “Bravo Giorgio,” con ovvio riferimento a Chiellini, può assumere i significati più disparati: elogio, quando il numero 3 è protagonista di una buona giocata, ironia, quando Chiello cade come suo solito in seguito al pressing avversario o rifila una legnata al funambolo di turno, addirittura sollievo, in occasione di interventi salvifici o palloni pericolosi spediti in curva. Il picco più elevato però viene raggiunto nelle occasioni in cui Chiellini non è in campo e la Juventus subisce gol; solitamente il signore a fine partita si alza e apostrofa i critici di turno con un perentorio “Eh, ma se c’era Giorgio…“, tra il serio e il faceto. Non posso ricordarlo con certezza visto il momento complicato, ma credo l’abbia detto anche dopo la finale di Berlino.

Dovrebbe essere indetto un gran premio di “Salto e discesa dal carro di Giorgio Chiellini“, riservato ai soli tifosi bianconeri; le partecipazioni sarebbero numerosissime, il successo è assicurato. Chiellini non ha bisogno, beninteso, di qualcuno che lo difenda, men che meno il sottoscritto, molto più radicalmente gioverebbe da un maggior equilibrio nei giudizi, fondamentale quando si va a valutare quello che è probabilmente il giocatore che più divide la tifoseria (sempre parlando di prestazioni in campo, dato che fuori dal rettangolo di gioco Giorgio pare ancor più ineccepibile).

Già in occasione della gara con l’Inter di due mesi fa ebbi l’opportunità di evidenziare come “La Juventus non possa fare a meno di Chiellini, soprattutto nei big match“, (qui l’articolo completo), espresso come un dato di fatto più che un’opinione, e rimarcato dalla sua prestazione contro il reparto offensivo più tecnico, imprevedibile e prolifico (scusa Napoli, scusa Sarri) dell’era moderna. Ovvio dominatore nel gioco aereo (100% dei duelli aerei vinti), Chiellini ha chiuso la gara al primo posto anche per respinte difensive e duelli vinti, 9 sui 12 totali, meglio anche del disumano Alex Sandro.

Ciò che i freddi numeri non possono invece descrivere sono la sensazione costante, unica sbavatura a inizio primo tempo, di sicurezza e controllo della propria area di competenza, e l’impressione che la guerra, perché è così che Chiello (come Mandzukic) vive la partita, non possa che esser portata a termine con successo con un approccio del genere. Nell’articolo sopra citato avevo definito Chiellini come “il buttafuori che serve alla Juventus”, con il Barça Giorgio non ha però permesso ai clienti indesiderati nemmeno di avvicinarsi all’uscio, con 2-3 interventi che hanno avuto un effetto deterrente anche sul “nemico storico” Suarez, che pian piano ha prudentemente iniziato a girare al largo dalle sue grinfie.

Al di là del netto 3-0 maturato allo Stadium, sappiamo tutti che “90 minuti al Camp Nou durano un secolo“, i fatti l’hanno recentemente dimostrato, ma con un Chiellini così a presidio dell’area di rigore dovremmo dormire sonni un po’ più tranquilli rispetto ai tifosi di un Psg qualsiasi, che dispone di ottimi giocatori ma probabilmente di modesti guerrieri. Ieri al gol di Giorgio il signore calvo ha ovviamente ripetuto la sua frase, per tre o quattro volte a disco rotto, ma il suo “Bravo Giorgio!” aveva qualcosa di diverso dal solito. Mi piace immaginarlo rotto dalla commozione, causata da quel giocatore che probabilmente gli ricorda gli stopper della sua gioventù. Se l’aveste sentito esultare, vi sareste commossi pure voi.

P.S.: Ascoltate bene il telecronista britannico quando dice “This is Chiellini”

Alex Campanelli.

Il Barça, la Champions, Zeman e il futuro

Vincenzo Ricchiuti e Giacomo Scutiero duellano sulla Champions, sul Barcellona, su Zeman e sul futuro.

 SORTEGGIO                      

 

 RICCHIUTI Non mi appassiona più. Una volta era anche meglio della partita. Quella volta avevo 12 anni.

 SCUTIERO A me appassiona la notifica che imposto sul cellulare: “Sorteggio CL”, ore 12:00. Se non lavoro, lo seguo in lingua originale su uefa.com così ripasso l’inglese. Come te, non ho sussulti quando pescano quella scarsa e/o quella top. Preso il Barcellona? Ok, ci proviamo. Come sempre. Non siamo un club che rischia sconfitte quali 6-0/7-1.

 

 BARCELLONA COME…                      

 

 RICCHIUTI Barcellona come arroganza. Non capisco proprio come possa piacere quel posto. Una caricatura della Svizzera con la pesantezza dei latini. È un posto artefatto, pretenzioso. I suoi abitanti sono napoletani alfa che parlano un simil sardo in una cacofonia imbarazzante all’odor di cipolla. Non so che tipo di gente voglia davvero amare quella gente e la loro caserma di pallone.

 SCUTIERO Per il gioco delle associazioni idee-nomi, dico catapulta e Zalayeta. Quattordici anni fa ero adolescente e quel gol su cross di Birindelli è stato uno dei momenti più beati che ho vissuto; quarti di finale, come oggi, la dimostrazione di essere più di un outsider, l’anticamera del 4-3 “aggregate” contro il Real e della finale tutta italiana. Torna in mente anche la scuola: ufficialmente per visita medica, esco prima per prendere l’aereo direzione Manchester, faccio il viaggio con i tifosi del Milan, siedo all’Old Trafford con i tifosi del Milan, torno in aereo con i festanti del Milan. Non mi va di spiegare…

 

 VITTORIA                      

 

 RICCHIUTI Penso che vinceremo. Abbiamo la possibilità di farlo e il cervello per sapere come. Per fortuna tre anni di Allegri hanno portato un abito mentale sicuro ed efficace. Dovranno usare gli arbitri meglio dell’altra volta. Resteranno a casa, in quella orrenda casa. Saremo la Vecchia Signora Bianconera che manda in pensione i nani.

 SCUTIERO Sono fiducioso. Non mi presto al gioco delle percentuali perché ho mai capito come il cervello umano possa generare un “Per me al 60%…”. Sono fiducioso perché abbiamo un allenatore che è in grado di conciliare il saper fare molto del tuo e il saper far fare quasi nulla agli altri. L’andata pesa tanto, in percentuale direi…No, scherzo!

 

 ZEMAN (sabato)                      

 

 RICCHIUTI Zeman è fantastico. Sul serio. Quando allenava la Lazio, e tra noi ragazzi c’era ancora quella oramai sorpassata follia di parlare di calcio a 360 gradi senza stare a guardare la fazione, ero l’unico a stare con Lippi. Tutti, anche gli juventini stavano con Zeman. Il calcio di Zeman era il migliore, il più prolifico. A me piaceva che del tridente di Lippi ci fosse Ravanelli che si sacrificava e Vialli che con Trap giocava a centrocampo. Zeman era allora l’idolo indiscusso. Più di Sacchi, considerato un barboso mastro Ciliegia. Zeman era la Rivoluzione, il progresso, sapeva di calcio nel senso vero e moggiano del termine. Sapeva cioè capire la qualità dei calciatori. Dei Nedved. Zeman era Pinocchio. Un bugiardo di legno.
Non gli è cresciuto il naso. Bensì l’aureola. Zeman è un divertimento innocuo, la sua Roma annata ’98 è la squadra più bella che abbia mai visto. Nel senso di ben allenata: tutto ripetitivo, tutto di corsa, tutto in abbondanza. Squadre così sono da ammirare e conservare per grandi e piccini. Chiaro che parliamo di futilità. Le squadre di Zeman in generale sono come la giovinezza. Un look perfetto, studiato nei dettagli, sofferto a più non posso. Un paio di pomeriggi e passa. Il mondo è dei vecchi. Di chi sopravvive. Zeman purtroppo ha creduto che la bellezza o la giovinezza mia e dei miei amici che lo commentavamo fosse eterna. Oggi siamo qui, c’è pure Zeman. Noi la gioventù degli altri ce la compriamo 90 minuti quando ci va trattandola come una puttana. Lui boh, pensa ancora che torni.

 SCUTIERO Non ho vissuto il suo Foggia, la sua collezione dorata (così si narra). Quel che ho visto poi è un allenatore fanatico: sul campo, con una e una sola lezione longeva venticinque anni; fuori, iniziatore dello schema ormai testato e perlopiù vincente della macchina scientificamente insozzante. L’almanacco del calcio ha detto, dice e dirà questo: ha insegnato il calcio ai piccoli per spaventare i grandi, ha costruito l’eccezione in provetta per moralizzare lo sport senza precetti.

 

 FUTURO                      

 

 RICCHIUTI Io credo fermamente che il futuro sia il seguente. Juve tra le prime quattro, prima forse. Se lo meriterebbe. È la squadra più eclettica e spiccia. Non se lo merita meno del Real o altri. Campionato e coppa Italia già archiviati. Calcio mercato, possono vendere chi gli pare perché nessuno è importante. Allegri farebbe bene a restare, ma se va in Inghilterra sbanca. Sul campo in Italia vinceremo ancora salvo non torni Conte, che è l’unico in grado di fermarci. Chi ci ha creato, ci ucciderà. Sino ad allora, nessuno. Fuori dal campo a ‘sto giro paghiamo pegno. Non saranno solo soldi. Abituiamoci, i nostri dirigenti sono come quelli del Partito Radicale che in teoria le dicevano tutte giuste e in pratica li votava mi’ nonno. Però la nostra è la sorte in commedia migliore del bigoncio.

 SCUTIERO La Serie A è un calcolo. La Champions? No. Questa si vince o si perde per caso. Il caso, il vasto stomaco che ti ingloba o il microscopico stomaco in cui non s’entra manco a forza. Leggo convinzioni di tifosi vari e purtroppo anche di giornalisti noti: “La Juve non gioca abbastanza bene per vincere in Europa”. Gli ricordi due tizi (Mourinho e Di Matteo) e due formazioni (Inter e Chelsea) e si dileguano. Vado oltre: se la Juve vincesse (o comunque andasse a un pelo dal vincere) in coppa, sarebbe molto merito del “giocar male” di Allegri in campionato; la gestione, vincere la partita col minimo sforzo e il maggiore basamento, difendersi come appena tornati dalla B ed attaccare come dopo appena aver registrato cinque scudetti. Perché la gente, questi, li dimentica. Li trasforma in hobby, in allenamenti di preparazione alla Champions. Arriverà il momento in cui il capitano del Napoli o della Roma faranno quello che Buffon ha fatto tante volte, vorrei avere una cimice nascosta nella camera dei suddetti. Penso che Andrea Agnelli, oltre a quel che ora è importante pensare, affrontare e risolvere, abbia in testa anche quel momento. E una conferenza ad hoc, delle sue, acuta, determinante. Come sette anni fa, come da sette anni.