5 anni di Juventus stadium (e 5 momenti che non potremo dimenticare)
5.
Cinque.
Cinque come gli anni passati da quell’8 settembre del 2011, quando tutti insieme, in modo inusuale per il calcio italiano entrammo tutti in quella che il presidente Andrea Agnelli definì “la nostra casa”.
Cinque come gli amori infranti che avrei voluto restassero per sempre a vestire il bianconero.
Cinque come le cose che (dalla TV) mi sono rimaste impresse di quella sera:
5. “Il campo dice sempre la verità”
È il mantra di Andrea Agnelli, ma non solo suo, lo è sempre stato anche dei giocatori, di noi tifosi: le parole stanno a zero e il campo ha sempre ragione, quando vinci, perdi, pareggi o nevica.
4. Del Piero e Boniperti
“Da ogni caduta bisogna rialzarsi con coraggio e con ancora più voglia di vincere rispetto a prima”
3. Le stelle del passato
In una notte così, col cannocchiale puntato lungo sul domani l’abbraccio con vecchi “amici” fu una delle cose più dolci, e tra questi meritatissima per mille motivi l’ovazione a Roberto Bettega.
2. Il ricordo Di Gaetano Scirea
Commovente, per la delicatezza e la poesia del momento, struggente perché tutti si possono riconoscere negli occhi buoni del capitano, doloroso perché sarebbe stato maledettamente bello vederlo lì insieme agli altri in quello stadio (e lui maledettamente contento e orgoglioso di esserci).
Quello stadio che è casa nostra e pure sua.
1. “Vincere è sempre stata la nostra abitudine”
Se ascoltate tutto il discorso di AA, questa è la frase che suscita meno entusiasmo tra i presenti, e non perché vincere non interessasse a nessuno, ma perché dirlo allora sembrava quasi utopia (“non dimentichiamoci che veniamo da due settimi posti”®) e le squadre da battere sembravano troppe e troppo più forti.
La Juve ripartiva da due scarti di Roma e Milan, da un portiere con 2 anni di problemi fisici alle spalle, una difesa colabrodo, uno sconosciuto centrocampista col nome di un bagnoschiuma e un allenatore che faceva sognare per il suo passato bianconero, ma praticamente digiuno di serie A.
Parlare di vittoria allora era visionario, ma aveva ragione Andrea.
Cinque anni, dicevamo.
Tanti, pochi, intensi, pieni di vittorie e con qualche sconfitta.
Senz’altro bellissimi, anche grazie alla splendida “nostra casa”.