Londra, per una notte, è stata la capitale del calcio internazionale. E quando si parla di grande calcio internazionale, non possono mancare i fuoriclasse, come Capitan Gianluigi Buffon, che questa sera ha aggiunto un nuovo riconoscimento alla sua straordinaria epopea.
Al London Palladium Theatre è andata in scena la seconda edizione del “The Best FIFA Football Awards”, con l’assegnazione di importanti riconoscimenti legati alla passata stagione calcistica, e la Juve era rappresentata da Massimiliano Allegri e Gianluigi Buffon, rispettivamente in lizza per ricevere il premio come miglior allenatore (insieme a Zinedine Zidane e Antonio Conte) e miglior portiere (con Manuel Neuer e Keylor Navas).
Proprio il capitano bianconero, precedendo gli estremi difensori di Bayern Monaco e Real Madrid, ha ricevuto l’ambito premio dalle mani di Peter Schmeichel, coronando così nel migliore dei modi una stagione straordinaria che l’ha visto ancora una volta protagonista e Numero Uno.
«Sono molto contento, è un grande onore ricevere questo premio alla mia età – ha detto emozionato il capitano sul palco del London Palladium – Sono orgoglioso. Voglio ringraziare la mia squadra, il mio allenatore e i miei compagni che mi hanno dato la possibilità di arrivare fino a qui, quella scorsa è stata una stagione fantastica». Buffon è stato inserito anche nel FIFA FIFPro World11, la squadra della stagione.
A Zidane è toccato il riconoscimento come miglior tecnico, ma si diceva, Mister Allegri era nella top 3, e ha parlato ai microfoni di Juventus TV prima dell’inizio della cerimonia: «Una bella serata, è grazie ai ragazzi se sono qui. Buffon? Ha un entusiasmo ancora da ragazzino, merita ampiamente questo premio».
Il premio “Puskas”, relativo al gol più bello della stagione scorsa, è andato a Olivier Giroud, attaccante dell’Arsenal. Presente, nella lista finale delle reti più spettacolari, anche quella di Mario Mandzukic siglata nella finale di Champions League a Cardiff.
Parola al “The Best”: Gigi Buffon
“The Best” Goalkeeper 2017: ieri Gigi Buffon riceveva a Londra dalla FIFA il prestigioso riconoscimento di miglior portiere della passata stagione, oltre ad essere stato inserito nel “World 11”, la formazione ideale composta dai migliori giocatori del pianeta.
Un premio che oggi il capitano bianconero ha commentato ai microfoni di Sky Sport, in un’intervista esclusiva, partendo proprio dalle emozioni provate ieri sera in occasione di questa cerimonia: «Ero davvero soddisfatto, felice ed orgoglioso di ricevere un riconoscimento per nulla scontato e meritato per quanto ho fatto. Poche volte ho provato un mix di emozioni tale: la più grande gioia sta nella consapevolezza che, se non avessi alle mie spalle un club così importante e una squadra così forte, non avrei mai potuto raggiungere questo traguardo. La condivisione, si tratti di dolori o di gioia, è senza dubbio l’aspetto più bello degli sport di squadra».
«UDINE? HO FATTO IL MIO LAVORO»
A Udine è stato, ancora una volta, Super Gigi, con due grandi parate che hanno salvato il risultato sul finale della prima frazione. Apparentemente semplici, eppure complicate: «Per caratteristiche, penso di essere un portiere che “semplifica” gli interventi. Non è qualcosa che faccio appositamente, ma, per natura, non ho doti acrobatiche, e questo potrebbe essere anche un mio difetto. A Udine ho fatto quello che dovrei fare sempre, perché questo è il mio lavoro e se ho l’lambizione e la pretesa di rimanere a certi livelli e godere di un certo tipo di considerazione, questo è ciò che devo fare in ogni partita».
LA COMPATTEZZA NEL MOMENTO PIÙ DIFFICILE
Una gara difficile, tra vantaggio dei padroni di casa e buona parte di partita giocata con un uomo in meno: «Sicuramente è stato un bel banco di prova: la partita in sé aveva delle difficoltà, e lo svantaggio iniziale non ha fatto che confermarle. Eravamo stati bravi a recuperare e ribaltare la situazione, poi l’espulsione di Mario ha fatto sì che le cose si facessero più complicate. Proprio nel momento più difficile, però, siamo riusciti a trovare una compattezza di spirito tale da consentirci di vincere una gara determinante e complicata».
È GIÀ UNA FASE DECISIVA DELLA STAGIONE
Un momento determinante, tra Juventus e Nazionale: «Ho approcciato a questa stagione con grande entusiasmo e con una certa serenità di fondo: ti aspetti sempre che, magari, arrivando quasi ai titoli di coda la casualità e la vita ti vengano un po’ incontro a semplificarti le cose. Invece, come mi è capitato spesso sia a livello personale che a livello professionale, le cose semplici non mi sono mai piaciute e ho dovuto tirarmi su le maniche anche stavolta. Già ad ottobre ci stiamo giocando tanto, sia con la Juve, sia con la Nazionale».
«SERENO E CONVINTO DELLA MIA SCELTA»
Sarà davvero l’ultima stagione di attività del capitano bianconero? «Sono abbastanza convinto delle scelte che intraprendo e mi sento molto sereno: non ho paura del futuro, anzi, lo affronterò con entusiasmo e desiderio di mettermi alla prova. Un anno o due in più non aggiungererebbero nulla a ciò che ho già fatto, e ci vorrebbe un senso particolare per andare avanti. L’unico caso potrebbe essere, qualora vincessimo la Champions League, proseguire per giocare la Coppa del Mondo per Club. In quel caso, penso che Szczesny un paio di partite me le possa far giocare… Ma con un portiere come lui alle mia spalle, credo sia normale che io mi faccia da parte il prossimo anno».
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Mi sono eccitato.
Confesso. Due volte.
E non mi vengano a dire gli altri che non gli capita mai, che si è concentrati, nel gesto, nell’esecuzione, nel momento e nella prestazione atletica. Siamo 22-25 maschi sotto gli occhi di milioni di persone e facciamo il nostro lavoro. É ovvio, è chiaro.
Ma ad Udine mi sono eccitato.
Nel senso pieno di un’euforia competitiva che non mi prendeva da un po’, un entusiasmo bellico e carnale che mi brulicava sotto pelle, e anche sì, quel filo di compenetrazione nei corpi di quelli che avevo davanti a me, i miei compagni, che hanno affondato i tacchetti nell’erba fradicia e hanno retto il colpo, in quelli che hanno corso il doppio, senza sentire i morsi di crampi e tossine, anche in 10, anche tre giorni dopo altre fatiche. Nei corpi come quello forgiato da mille battaglie e altrettante cadute fisiche come Sami, che affonda tre volte le zanne nella carne altrui e in quell’uomo lì davanti, così lontano da me e così vicino sensorialmente, quasi da sentirgli le vibrazioni: Gonzalo.
Qui non siamo mica a parlare di Beckam che si metteva gli slip della moglie sotto i pantaloncini in partita, non parlo di battutacce da spogliatoio, di trivialità maschili. Questa è la atavica eccitazione di un branco di uomini-lupo che vanno alla caccia e alla guerra, in uno scenario multimilionario di uno sport professionistico sotto decine di telecamere e spettatori perfettamente segmentati dal marketing.
Balle.
Una maledetta ingiustizia. So che è stato così, anche a 90 metri, altro che VAR. Io vedo il calcio occhi negli occhi, dei miei, dei rivali, vedo la fame, la paura, debolezze e ingiustizie. Sento il calcio attraverso il battito degli altri, quello impazzito di Mandzukic, quello profondo e lento di Pirlo, quello potente di Gonzalo, piantato al centro del nostro attacco, un po’ come Carlitos.
Qualcosa è cambiato. Nello spogliatoio ho detto a tutti che quello era il momento. Dentro o fuori. Riportare tutto a casa o farci franare sotto la terra per le difficoltà e i torti.
Poi è successo quello che è successo. Qualcosa di barbaro e lucido insieme.
Al 2-2 subito, la terra sotto i miei piedi ha tremato. Quando sei in porta, è come se dietro di te avessi il baratro, devi imparare a conviverci. Provate ad allargare la braccia, chiudete gli occhi e lasciatevi cadere indietro, abbandonatevi. Non ci riuscirete, perché la paura di cadere nel vuoto è umanamente insostenibile. Ecco, per un un portiere è un po’ così: braccia allargate e dietro il baratro, e quando prendi un gol sprofondi, all’indietro, nel vuoto. Ora moltiplicate il baratro per i milioni di quelli che farai soffrire con quel gol subito. Come cadere nel vuoto dall’Everest. Col tempo ci convivi. Ma quando hai davanti un branco di lupi feriti e cadi nel baratro subito così, a freddo, ci resti di sasso.
Poi li ho visti quelli davanti a me, freddi come l’acciaio e caldi come lava. Hanno martellato forte e abbattuto le mura friabili delle nostre piccole paure. Ho esultato, tutto di me lo ha fatto. Ci siamo, ci siamo ancora, ci sono!
Poi quei minuti che adoro, quelli dopo le feste coi compagni, in cui resti solo.
I momenti in cui prendi la meteora incandescente della vittoria euforica, la appallottoli fino a farla diventare una gemma lucente e levigata di esperienza e gioia e la introietti. Te ne nutri.
Ti senti sereno e appagato, calmo e sazio. Vai a parlare in TV quasi come non avessi visto demoni, baratri e uomini lupo sotto il diluvio per 100 minuti.
E poi, è questo quello che adoro in questo sport, l’adrenalina si deposita dentro. Spogliatoio della Dacia Arena, dissolvenza. Mi rado, volo a Londra, mi vesto come poche volte durante l’anno, e mi immergo nella vetrina, luccicante e glamour, questo sì. Il premio FIFA Best Goal Keeper. Creato per me. Dalle pulsazioni collettivi sotto il diluvio e i tuffi sull’erba zuppa ad un podio e una platea di campioni, giornalisti e starlettes che aspettano le mie parole, quelle del “miglior portiere di tutti i tempi”. E niente..mi sono eccitato di nuovo…eccomi, vado…ci provo almeno, co st’inglese…
Urla di vittoria sotto il diluvio. Applausi al galà. Sorrido. Assorbo tutto.
Come un vampiro, divoro sensualmente la mia perla eccitante di vittoria e sono diventato ancora un po’ più eterno.