Che serata, Mario!

Una grande prestazione, un gol: non c’era modo migliore di celebrare il premio come MVP di Novembre, ricevuto nel pre partita

Se qualcuno, casomai, avesse avuto ancora qualche dubbio sul fatto che Mandzukic meritasse di ricevere il premio come MVP of the Month Powered by EA per il mese di novembre, stasera siamo sicuri che se li sia tolti.

Una prestazione maiuscola, un gol, quantità e qualità in ogni zona del campo, a tratti inarrestabile: Mario ha vissuto una grande serata, iniziata prima del fischio d’inizio, quando ha ricevuto dalle mani del JMember Paolo Spulcioni il premio come MVP.

Paolo potrà raccontare di aver premiato un campione vero: se volete vivere la sua stessa esperienza, non vi resta che diventare Member! (link a membership).

E non dimenticate di votare, anche stasera, il migliore in campo, qui

Mandzukic, martello e cecchino: le statistiche in Juve – Atalanta

lo e cecchino: le statistiche in Juve – Atalanta

In questo spazio siamo soliti approfondire, sviscerare e analizzare le prestazioni di questo o quel calciatore, per provare ad avere una visione più oggettiva della sua gara e giudicare la sua prestazione confrontandola con le precedenti e con quelle degli altri uomini in campo. Oggi non servirebbero i numeri per acclamare Mario Mandzukic quale migliore in campo di Juventus – Atalanta, basterebbe l’ottimo articolo di Roberto Savino, ma se facciamo questo strappo alla regola è perché i suoi numeri hanno davvero del prodigioso, e meritano un’occhiata più superficiale del classico, ancorché corretto “Mandzukic era dappertutto”. Apriamo le danze, dunque.

heat-mandzukic-atalanta

La heatmap di Mario è roba da far accaponare la pelle, se la decontestualizzate e chiedete a un appassionato di calcio qualsiasi in che ruolo gioca il calciatore ad aver effettuato tali movimenti, quasi sicuramente non saprà rispondervi. Una copertura totale decisamente al di sopra di altri demoni del reparto avanzato come Diego Costa, il Tevez bianconero e il Suarez del Liverpool, paragonabile a uomini ovunque per definizione come i vecchi Davids e Makélélé oppure, restando sull’attualità, Kanté e Yaya Touré.

La parola “cecchino”, utilizzata nel titolo per definire la prestazione del croato sabato sera, non è riferita solamente alla sua percentuale realizzativa (un tiro, un gol), ma anche e soprattutto alla sua chirurgica precisione in qualsiasi fondamentale: 2 dribbling riusciti su 2, per lui che non è uno specialista nel puntare l’uomo, 5 duelli aerei vinti su 5 (4 offensivi e uno difensivo), per chiudere con gli impressionanti 7 tackle riusciti su 7, di gran lunga davanti a tutti. Anche per quanto riguarda i duelli Mario ha lasciato giusto le briciole agli avversari, ingaggiandone ben 20 e vincendone 17. Due le respinte difensive, che non sarebbero mestier suo ma che hanno esaltato lo Stadium come e più del gol, in particolare l’ultima, che vi proponiamo in loop ben consci che non vi stancherete mai di rivederla.

A inizio stagione sembrava impossibile rivedere un Mario Mandzukic a questi livelli di cattiveria e furore agonistico, ma quando la Juventus ha avuto bisogno di lui (e Luca Momblano l’aveva affermato in tempi non sospetti) il croato ha risposto presente, coi gol, con le prestazioni, con l’atteggiamento in campo. Dybala, Marchisio e Bonucci possono essere i leader tecnici di questa Juve, ma nessuno quanto Mario può esserne il leader emotivo.

Un guerriero di nome Mario

Un guerriero di nome Mario

Avevo lasciato il croato a quel ripiegamento difensivo nel corso della trasferta in terra orobica del campionato passato dimostrazione pratica di un modulo fin lì inesistente, se non nella testa di un mister di provincia chiamato a confrontarsi per finzione con la sua Longobarda sul palcoscenico più prestigioso. In quel caso un’azione, oggi un partitone. In entrambi i casi un’emozione.

A Torino nessuno è nel pallone, tanto meno il suo vituperato allenatore il quale, quando e se sbaglia, cerca sempre di porre rimedio ai suoi errori col materiale a disposizione. Non è stata una bella Juve fin qui, bisogna riconoscerlo ed esserne consapevoli. Allo stesso tempo non si può e non si deve esagerare. Almeno per non fare il gioco di chi non aspetta altro che uno spiraglio per infilare la propria lama traboccante di livore.
Alla fine, in oltre tre mesi di campionato, si è perso in tre trasferte dopo le partite di coppa. Va bene, contro squadre di medio livello, una inguardabile e non è il Genoa, ma ci può stare. Soprattutto se la tua preparazione è mirata ai momenti cruciali della stagione e se, nonostante i mille problemi, le restanti dodici le hai portate tutte a casa con tre punti. Il resto, come al solito, sono chiacchiere.
La testa è tutto, così come le gambe. Poi c’è lo spirito, la voglia di superare ogni ostacolo, di ricacciare in gola critiche spietate che fanno tanta presa sul popolo che si nutre di frasi fatte.
I moduli vengono dopo, molto dopo. Puoi persino attuare quello più adatto agli uomini a disposizione, ma se in loro si affievolisce l’ardore della fiamma chiamata vittoria, non avrai comunque scampo.

Ardore, ho trovato la chiave ed ora ci arriviamo. Impressionante anche all’occhio di un profano, la prova di Marione nella sfida casalinga contro l’Atalanta dei miracoli si merita una standing ovation innanzitutto per un’intensità di gioco che non può prescindere dall’ardore profuso. Ora, onestamente, con il tuttocampista di ieri sera ogni discussione sul modulo può andare a farsi benedire, perché come si possa ragionevolmente affermare di aver giocato con il 4 3 1 2 piuttosto che con il 3 5 2 non è dato sapere. D’accordo, Pjanic – liberato e imbeccato da Marchisio e supportato da Khedira e Sturaro – è stato spostato nella posizione a lui più congeniale e, finalmente, prende forma un centrocampo più credibile. Di certo con una manovra più razionale e fluida. Ma sono quasi dettagli in presenza di un uomo ovunque capace per lunghi tratti di aumentare di un’unità la presenza di maglie bianconere in ogni reparto.
Chi non l’ha vista potrà pensare in un elogio sperticato per una partita che Ravanelli avrà giocato almeno 50 volte con quella casacca. E allora, forse, non ci siamo capiti. Perché Mario Mandzukic ieri è stato Ravanelli e Vialli insieme e c’è mancato solo il tiro a giro sul palo lontano per completare il tridente.

Sostanza in quantità industriale per settantacinque minuti di un livello abnorme, nei quali il croato non ha disdegnato pillole di qualità sempre e comunque al servizio dei compagni.
Per il resto avrà scippato dieci volte la palla, quando l’ha persa il più delle volte se l’è ripresa con la forza, si è opposto col petto alla botta dalla distanza, poi dopo nemmeno un secondo si è tuffato col nasone a salvare il suo portiere, rimasto intanto disteso sul prato sorpreso e incredulo, con la gamba alzata per qualche secondo quasi a voler dire: ma con lui davanti che mi butto a fare?

E poi è uscito dalla linea difensiva – ehm si, proprio da quella – come un caterpillar per la più fasulla delle punizioni. Lui indicava la giugulare, l’arbitro si è spaventato un po’ ed ha fischiato punizione. Lo assolviamo, dai. Lo ha fatto lui stesso mentre, come John Rambo, nello spogliatoio si cuciva a crudo la ferita alla tibia.

Insomma, una prestazione – paradossalmente – da non studiare nelle scuole calcio per non deprimere troppo l’entusiasmo di giovani atleti impossibilitati ad imitarlo. Divertitevi voi, poi imparate le diagonali. Basta e avanza.

La rete, infine, quasi un’appendice di una serata da incorniciare. Con uno stacco imperioso in sospensione e in arretramento. Alla Michael Jordan, ne ho preso uno a caso. Ma resta un’appendice perché, stavolta proprio no, la sua prestazione non può essere ridotta alla presenza sul tabellino dei marcatori.

di Roberto Savino

 

 

Rugani: «Siamo scesi in campo da Juve»

Il difensore bianconero: «Felice per il gol. Il risultato è la conseguenza logica della determinazione che ci abbiamo messo»

Giovane, determinato, decisivo: Daniele Rugani è stato uno dei protagonisti della bella vittoria conquistata dalla Juventus allo Stadium sull’Atalanta, con la rete di testa che è valsa il raddoppio e con una prova attenta e precisa in retroguardia.

Una serata che il difensore ha descritto così nell’immediato post-partita: «Oggi abbiamo dato un segnale forte e importante! Domenica scorsa col Genoa avevamo fatto una partita sbagliata, ma è un tonfo che ci può stare, e siamo stati bravi a capire i nostri errori e a comprendere che cosa non dobbiamo sbagliare. Oggi siamo siamo scesi in campo davvero da Juve, il risultato di stasera non è altro che la conseguenza logica della determinazione che ci abbiamo messo. Siamo forti, possiamo dare fastidio a tutti, e se mettiamo delle componenti mentali così importanti è dura per chiunque. Abbiamo ripreso nel modo giusto il cammino, che sarà ancora lunghissimo».

Seconda rete in maglia bianconera, dopo quella segnata al Cagliari lo scorso 21 settembre: «Sono felice per il mio gol, che ha contribuito a mettere la partita sul binario giusto. Dedico la rete a chi mi sta sempre vicino e mi dà una mano, dentro e fuori dal campo, dallo staff ai miei famigliari».