Ciao, Paolo

Che brutta notizia, questa mattina.

Se n’è andato Paolo Rossi, Pablito: per una nazione intera, l’uomo di un Mundial indimenticabile, per noi “anche” molto, ma molto altro.

Paolo è un’intera generazione di juventini che ha esultato con lui, davanti a televisori che, mese dopo mese, diventavano a colori. Ma le nostre gioie continuavano a essere, meravigliosamente, in bianconero.

Se cercate nelle vostre camere, o nelle vostre soffitte, probabilmente lo trovate, un poster di quella Juve incredibile. Quella Juve che, con lui a suggellare i gol più importanti, dal 1981 al 1985, ha vinto letteralmente di tutto. Alla Juve, Paolo è rinato, lasciandosi alle spalle le difficoltà, e diventando quello che poi l’Italia ha celebrato, in quella caldissima estate 1982 nelle piazze e nelle fontane di ogni città.

Bianconero (nelle giovanili, con 3 presenze in Coppa Italia) già dal 1973 al 1975, la “vera” avventura juventina ricomincia nel 1981, anche se per forza di cose, quella stagione lo vede in campo solo 3 volte in Serie A. Tre volte sono però sufficienti per far maturare in lui (e in Mister Bearzot) quella visione che lo porterà in Spagna, a diventare protagonista con gol incredibili in partite incredibili e a tornare a casa con una Coppa del Mondo che mai nessuno dimenticherà. E che a fine 1982, gli permetterà di mostrare a tutti il trofeo di calciatore più forte del pianeta, il Pallone d’Oro. Gol segnati in tutti i modi: di testa, di rapina, con inserimenti repentini.

Perché Paolo segnava in tutti i modi, facendo valere la sua fisicità così particolare. “Attenti a Rossi”, ti diceva il portiere, e nel momento in cui tu, difensore, ti giravi, lui aveva già fatto gol.

Quarantaquattro, in totale, nel suo meraviglioso periodo juventino: reti grazie alle quali Pablito e la Juve in quelle stagioni portano a casa due Scudetti, una Coppa Italia e ben tre allori europei, la Coppa delle Coppe, la Supercoppa Europea e la Coppa dei Campioni.

C’è tutto Paolo, in quel gol al Manchester United che valse la Finale di Coppa delle Coppe 1984. Uno a uno a Manchester, al 90’ siamo uno a uno a Torino: Paolo scatta più veloce di tutti su un tiro che viene rimpallato a Scirea, che aveva calciato dal limite. La palla non è vagante, è li per lui. Lo chiama. E lui c’è: batte il portiere Bailey con freddezza, e il resto è esultanza. E’ gioia.

Se avete trovato quel poster di quella Juve magnifica, apritelo, e salutate in modo speciale quel ragazzo con il nove sulle spalle. Perché come lui ne nascono pochi.

Ciao, Pablito.

Paolo Rossi, la nostra storia

In questo terribile 2020, ci ha lasciato Paolo Rossi. Pabilto ha occupato un pezzo importante della storia della Juventus e del nostro Paese, mai così unito come in quel 1982 quando i suoi gol trascinarono la Nazionale alla conquista insperata di un campionato del mondo. Sono tantissimi i momenti straordinari che abbiano vissuto insieme.

RossiCabriniAbbraccio

PAOLOROSSI

Lo scrivono in tanti, tutto attaccato, in quel 1982: Paolorossi. Diventa il nome e il cognome più famoso al mondo grazie ai 6 gol che fanno svoltare il suo Mondiale e quelo dell’Italia. Tre reti al Brasile, in una delle partite più romanzesche mai viste su un campo di calcio. La doppietta alla Polonia, in semifinale. Infine, il gol alla Germania, anticipando di testa persino il suo compagno Antonio Cabrini. E proprio il loro abbraccio diventerà una consuetudine anche nella Juve: il numero 20 in azzurro sarà il 9 in bianconero, in un’infinità di situazioni.

RossiPerugia

PRIMA DEL 1982

Paolo Rossi diventa juventino all’età di 15 anni. Italo Allodi, grande dirigente al servizio di Boniperti, lo scopre in una squadra di dilettanti toscana e lo acquista per una dozzina di milioni di lire. Nella Primavera bianconera il ragazzo si mette in mostra, giocando da ala destra. Il primo maggio del 1974 fa il suo esordio in prima squadra, in una trasferta vittoriosa a Cesena, in Coppa Italia. Dopo una breve esperienza a Como, è a Vicenza che Rossi esplode. Trasformato in centravanti, trascina la squadra in A, Nella massima serie, nel 1978, si laurea capocannoniere con 24 gol, contribuisce a un memorabile secondo posto dei biancorossi e si guadagna la convocazione al Mondiale in Argentina. Paolo diventa Pablito: e in azzurro fa cose meravigliose. Vicenza e Juve non si mettono d’accordo sul suo cartellino. La spuntano i veneti, con un’offerta astronomica alle buste: più di due miliardi e mezzo contro gli 800 milioni offerti da Boniperti. Ma il miracolo Vicenza è destinato a spegnersi. La retrocessione non ferma la carriera di Paolo, che passa al Perugia.

RossiUdinese

UDINE, IL PRIMO GOL

La prima rete di Paolo Rossi con la maglia della Juve è nella gara più attesa. E’ il 2 maggio 1982, si gioca a Udine e gli occhi sono tutti puntati su di lui. A 25 anni, l’attaccante esce dal purgatorio di una dura squalifica e si ripresenta per un nuovo esordio, in una partita importante, che vede la Juve chiamata a vincere per concorrere alla lotta scudetto. Mancano 3 giornate al termine e la squadra non tradisce. E Pablito, sebbene visibilmente emozionato, non si limita ad andare in gol nel 5-1 a favore della Juve: convince il Commissario Tecnico della Nazionale Enzo Bearzot a convocarlo per Spagna ’82. A ben vedere, quel colpo di testa assomiglia moltissimo a quello che riprodurrà due mesi dopo, nella finale del Mundial tra Italia e Germania.

Rossi1984

L’AREA DI RIGORE

Si scrive Paolo Rossi e si dice area di rigore. Pochi come lui hanno un fiuto dentro i 16 metri. Lui è dove arriva la palla, sempre, e a maggior ragione nell’area piccola, a pochi passi dal portiere. Un opportunismo senza eguali, che lo porta ad approfittare di ogni mezza occasione, di una respinta piuttosto che di un’incertezza della difesa. La Juve si gode queste sue caratteristiche dal 1982 al 1985 per un totale di 44 gol, alcuni davvero fondamentali come la doppietta allo Standard Liegi e il gol al novantesimo al Manchester United, due straordinarie notti europee.

RossiGolalMilan

RITRATTO DI UN CAMPIONE

«E’ un ragazzo sveglio, giocatore che possiede il raro dono di percepire, con largo anticipo rispetto all’avversario, il punto esatto dove passa la traiettoria del pallone. E allora sfrutta al massimo questa proprietà naturale, a volte facendosi poco notare ma risultando di estrema utilità. Non è il panzer egoista che parcheggia pigramente in area di rigore, in attesa che il gioco si sviluppi secondo condizioni a lui favorevoli. Sta sempre in movimento, partecipa al gioco corale, sostiene gli altri reparti con preziosi ripiegamenti e mettendo al servizio dei colleghi d’attacco la squisitezza tecnica nel dialogo». Il pezzo è di una firma dal cuore bianconero, Angelo Caroli scomparso da poco, scritto sulle pagine di Hurrà Juventus. Ed è uno dei tanti del giornalismo e della letteratura di tutto il mondo perché tutto il mondo ha amato Paolo Rossi.

Lutto nel calcio: addio a Paolo Rossi eroe di Spagna ‘82

La tristezza arriva nel cuore della notte e il mondo del calcio, d’improvviso, si ritrova di nuovo in lutto: è tardi, anzi, tardissimo, quando giunge una notizia terribile, quella della morte di Paolo Rossi, ex calciatore della Juventus e simbolo della Nazionale campione del mondo a Spagna 1982. Lo scrive dapprima il giornalista Rai Enrico Varriale in un tweet, poi arriva la conferma anche dalla Gazzetta dello Sport e dalle altre testate sportive e non.

Dopo l’addio a Diego Armando Maradona, il 2020 si porta via un altro volto che ha segnato la storia del calcio: da tempo, Paolo Rossi faceva l’opinionista in tv. Ma per molti era rimasto il volto sorridente che correva felice dopo ogni gol come un messaggio consegnato alla memoria del calcio. Antonello Venditti nella sua “Giulio Cesare” gli aveva dedicato un verso scrivendo “Paolo Rossi era un ragazzo come noi“. E in tanti probabilmente si sono immedesimati nel suo sogno, in quella parabola di giocatore talentuoso, nato per il gol, che fra alterne vicende, vive il suo riscatto personale trasformando una missione impossibile nel più bel sogno calcistico che l’Italia ha vissuto.

Centravanti d’area di rigore, era esploso al Vicenza, prima di passare al Perugia e consacrarsi alla Juventus, dove ha vissuto sette stagioni, gli anni migliori della sua carriera segnata dai successi. Nei mondiali di Spagna, però, vive il suo magic moment: dopo essere rientrato da una squalifica per calcio scommesse e dopo un inizio stentato, diviene l’assoluto protagonista di una squadra, capace di battere nell’ordine il Brasile di Zico, l’Argentina di Maradona, la Polonia di Boniek e poi la Germania di Rummenigge. Nell’immaginario collettivo è soprattutto la tripletta ai verdeoro a scatenare emozioni e letteratura: viene ricordato come colui che fece piangere il Brasile. A suo modo, è stato l’eroe letterario del Mondiale idealmente più amato.

Le sue sei reti che lo rendono capocannoniere della competizione, però, sono tutte belle e decisive, rappresentative peraltro del suo modo di vivere l’area, del suo fiuto del gol e della prontezza di riflessi che brucia gli avversari.

Con la Juventus sono anni di vittorie: una Coppa dei Campioni (per quanto tragica), due scudetti, una Coppa Italia, una Supercoppa Europea e una Coppa delle Coppe. Sette stagioni intense con 137 partite all’attivo e 44 reti, ma soprattutto la soddisfazione di vincere il Pallone d’oro.

Quel “ragazzo come noi” se n’è andato così, quasi in punta di piedi, all’età di 64 anni. E con lui un po’ di quelle memorie che hanno reso speciali i pomeriggi e le notti di un’estate lontana e meravigliosa.