In quasi due anni che siede sulla panchina biancoceleste, Simone Inzaghi ha creato una delle realtà calcistica migliori della Serie A, soprattutto se si pensa a quali fossero i presupposti. Rimanendo fedele al proprio passato di tecnico (di successo) del settore giovanile, l’ex attaccante ha confermato la capacità di lavorare più sui principi di gioco che non sugli schemi. E i risultati gli danno ragione, visto che è lunga la lista di giocatori rivitalizzati o fatti esplodere dall’ex allenatore Primavera.
Tuttavia, non si può non osservare come – anche a causa della rosa corta – la Lazio sia una squadra piuttosto rigida nei meccanismi, che raramente si adatta all’avversario ma anzi prova sempre a imporre il proprio contesto. Anche a gara in corso, sono poche le circostanze in cui Inzaghi effettua correzioni (soprattutto difensive) per mutare il piano gara.
Con la rara eccezione di qualche modifica negli ultimissimi minuti di partita, il 352 (o 3421) laziale rimane sostanzialmente il medesimo, a prescindere dalla difficoltà della gara. La costruzione arretrata rimane prerogativa del rombo arretrato formato dal metodista (Lucas Leiva, in grande spolvero) e il terzetto arretrato (attualmente quello titolare è composto da Caceres, De Vrij e Radu).
A parte il raro abbassamento di qualche mezzala (solitamente Parolo), terzini e interni non partecipano alla costruzione ma vanno alle spalle della linea rivale per dare maggiore presenza offensiva in avanti.
Ecco il classico rombo arretrato con cui la Lazio avvia l’azione in ogni partita. Notare la distanza dei giocatori degli altri reparti, tutti alle spalle della linea di pressione rivale.
Si tratta quindi di una squadra che cerca di colpire primariamente per spazi centrali, potendo godere tra le linee di giocatori tanto tecnici (basta pensare a Luis Alberto) quanto bravi nell’inserimento. Poi, per le sue caratteristiche, Leiva cerca soprattutto la verticalizzazione in mezzo, ha meno nelle corde il cambio campo per i terzini (anch’essi piuttosto alti). Infatti, il cambio sul lato debole, quando effettuato, avviene solitamente negli ultimi metri. A volte è anche un limite, per esempio contro il Milan si è sfruttato troppo poco lo scarso senso di ripiegamento di Suso, si sarebbe potuto cambiare gioco su Lulic con più frequenza già dalle fondamenta dell’azione.
Leiva cerca il filtrante per via centrale nel tentativo di servire i suoi compagni sulla trequarti. Il Milan cerca di schermare, anche perché intercettare un passaggio lì vuol dire poter avviare una ripartenza pericolosa.
La presenza di una forza della natura come Sergej Milkinkovi-Savic porta poi, comprensibilmente, la Lazio a cercare spesso il lancio lungo per il colosso serbo, per la sua sovrumana capacità nei duelli aerei in grado di far risalire la squadra. I compagni, esterni soprattutto, si fanno trovare in smarcamento preventivo.
Tuttavia, quando ci si trova davanti a sé una squadra che riesce a ostacolare la prima costruzione, la Lazio soffre molto e diventa prevedibile, anche perché Inzaghi tende a non fare correzioni per agevolare l’avvio dell’azione. I biancocelesti quindi insistono, sperando di imbeccare comunque le proprie mezzali/trequartisti. Tuttavia questa ostinazione ha spesso portato la Lazio ad alcuni scivoloni: un esempio è quello del derby, dove nonostante l’ottima pressione della Roma Inzaghi non ha posto correttivi per aiutare una difesa sotto pressione. E proprio un recupero palla in avanti, con svarione di Wallace, ha consentito ai giallorossi di chiudere il match.
Inoltre, in certe fasi della gara la Lazio si espone decisamente troppo alle ripartenze rivali, soffrendo in transizione negativa. Complice l’elevata presenza offensiva nella trequarti rivale, appena l’avversario recupera palla c’è spesso il solo Leiva a protezione della difesa, costretto in totale solitudine a coprire ampie porzioni di campo. Questa scelta, soprattutto contro avversari bravi ad attaccare in larghi spazi, può essere un rischio eccessivo.
Contro il Milan, soprattutto nella seconda parte di gara, la Lazio si è esposta troppo a situazioni di questo tipo. Gattuso, consapevole di questo, persino nei calci piazzati ha tenuto Cutrone/Kalinic e Calhanoglu alti, sperando in qualche ripartenza. Nonostante larghe fasi di gara nella trequarti rossonera, sono stati più gli ospiti a rendersi pericolosi in transizione che non la Lazio a creare pericoli dalle parti di Donnarumma.
Linea Lazio altissima. Il Milan recupera palla a si lancia in contropiede. Superato un Leiva a protezione in mezzo, solo un meraviglioso anticipo di De Virj salva la Lazio da una ripartenza pericolosissima.
COSA DEVE FARE LA JUVE
I biancocelesti appaiono meno brillanti rispetto alla prima folgorante parte di stagione, più imprecisi negli ultimi metri e con maggiori difficoltà nello scardinare difese chiuse e compatte, rischiando anzi di subire gol nei ribaltamenti di fronte.
La Juventus può scegliere di adottare una pressione alta sul rombo arretrato della Lazio, mettendolo sotto pressione e inducendolo all’errore. Indipendentemente dall’aggressività, però, non bisognerà mai dimenticarsi di coprire bene gli spazi centrali: quindi, se da un lato la prima linea di pressione deve essere precisa, pure la retroguardia deve accorciare coi tempi giusti evitando un eccessivo spazio tra centrocampo e attacco.
Tuttavia, la Juventus può anche optare per una fase difensiva più prudente. Come scritto, la Lazio – soprattutto quella attuale – tende ad allungarsi troppo, si disordina e si presta quindi a contrattacchi rivali. Il blocco difensivo può reggere la verve capitolina, e nei ribaltamenti di fronte la Juve ha i giocatori per attaccare i difensori laziali in campo aperto. In merito, può essere la partita giusta per un Douglas Costa che con Allegri stiamo vedendo prettamente su tracce interne.
Insomma, se nella gara di andata il 433 aveva offerto una prova difensiva mediocre con una pessima copertura degli spazi centrali, oggi sembra in grado di bloccare una Lazio che negli ultimi metri non sembra avere la brillantezza del girone di andata.
Jacopo Azzolini
Sergej Milinkovic-Savic: The Next Pogbastic Thing (?)
a cura di Claudio Pellecchia, Dario Pergolizzi e Giacomo Scutiero
Alla ricerca di LeBron James
La Juventus che, il 15 gennaio 2017, esce sconfitta dalla trasferta dell’Artemio Franchi di Firenze, è una squadra ancora in cerca di autore, un “dream team” solo potenziale. E, per quanto l’occasione sprecata da Dybala nel finale racconti di una partita in cui il dominio della Fiorentina è stato meno netto di quel che si pensi, appare chiaro che i problemi con cui si è provato a ritardare il confronto siano riaffiorati in tutta la loro violenta evidenza. Soprattutto a centrocampo, con il 3-5-2 che, da confortevole “coperta di Linus”, si è trasformato nel principale limite di un collettivo che non riesce a trovare il modo di diventare quel che avrebbe dovuto essere già da qualche mese: una squadra costruita per vincere tutto. Senza doversi nemmeno sforzare più di tanto, almeno in Italia.
Nel post gara Giorgio Chiellini non sembra avere dubbi sulla causa principale di quello che assomiglia tanto a un disastro annunciato. Le sue parole no hanno bisogno di particolari interpretazioni: «L’anno scorso avevamo un giocatore che era il LeBron James del calcio, mi riferisco a Pogba naturalmente, che anche quando non si vedeva era impressionante». Si tratta della lente attraverso la quale si sarebbe dovuta filtrare fin da subito la soluzione che Massimiliano Allegri adotta già dalla successiva partita contro la Lazio: invece quel 4-2-3-1, con Mario Mandzukic messo a fare l’esterno sinistro, viene vista come l’ultimo disperato tentativo di un uomo e un allenatore sull’orlo del baratro. Ancora una volta, “non era la paura a dominarlo, ma un’accresciuta percezione delle cose”: prendere il giocatore fisicamente più simile a Pogba e spostarlo nella zona di campo occupata dal francese, pur in ossequio delle sue caratteristiche di base (e Mandzukic quel ruolo l’aveva svolto già ai tempi del Wolfsburg) era, semplicemente, la mossa più logica. Chi abbia avuto ragione lo ha detto il campo.
“Carneade, chi era costui?”
Ma quello che Chiellini e Allegri non potevano sapere era che, in fondo, la ricerca di un nuovo Pogba/LeBron James non avrebbe richiesto nemmeno chissà quanto tempo. In Italia, infatti, c’era già uno così: il suo nome era Sergej Milinkovic-Savic e Claudio Lotito lo aveva prelevato dal Genk (una di quelle squadre cui dedicare articoli del tipo: “la formazione che avrebbe Genk se non avesse venduto questi giocatori”) per una cifra compresa tra i 9 e i 10 milioni di euro, dopo un romanzesco testa a testa con la Fiorentina. Il tutto appena due anni fa. Un dettaglio che fa sorridere se rapportato, non tanto alla presunta offerta di 200 milioni di euro fatta pervenire dalle parti di Formello, quanto piuttosto ad alcune recenti dichiarazioni del ds Tare: «70 milioni? Sono pochi. E, del resto, li abbiamo già rifiutati la scorsa estate». Senza che nessuno si sia poi scandalizzato più di tanto.
Mondiali Under 20 del 2015 (vinti dalla Serbia): un uomo tra i bambini
Rising Star
A vent’anni, nella prima stagione in Serie A, ha fatto il titolare per un girone: 17 match dall’inizio e 8 ingressi dalla panchina. Questo per raccontare come e quanto abbia impattato da subito, al netto dei numeri (un gol e 20 occasioni create) che non potrebbero comunque esprimere appieno la successiva ed esponenziale crescita: nel 2016/2017 è entrato nella top 5 degli Under 21 più utilizzati del campionato (oltre 1000′ in più rispetto al campionato precedente, per un totale di 33 presenze di cui 30 da titolare), facendo le prove generali di quel dominio (71% di dribbling riusciti, 65% di duelli aerei vinti, primo in assoluto nella speciale classifica) cui stiamo assistendo da qualche mese a questa parte.
Fisicità e tecnica sono due facce di una medaglia apparentemente senza lati oscuri, l’una sublima l’altra in un connubio perfetto e sempre più raro. O, almeno, tipico di pochi iniziati: ad oggi SMS, con 2732′ giocati ha già pareggiato il rapporto gol/assist (11 e 6) della scorsa stagione (7 e 10, ma in 3072′ complessivi), è il primo centrocampista d’Europa per reti realizzate nel proprio campionato (nove, con De Bruyne staccato a quota sette) nonché quarto assoluto per dribbling tentati (alle spalle di Keita, Dembelé e Pogba, per un totale di 46 uno contro uno andati a buon fine), il primo giocatore della Serie A per gol da fuori area (cinque, a pari merito con Dybala, il secondo per numero di tiri tentati (49, di cui 25 nello specchio: solo Hamsik ha concluso di più verso la porta avversaria) e il terzo per numero di trough balls (meglio di lui fanno Luis Alberto con 21 e Mertens con 15).
Appare chiaro, quindi, come non si sia di fronte all’ennesimo abuso della definizione di “centrocampista completo”, visto che Milinkovic-Savic è tre ruoli in uno: mediano, mezzala, attaccante aggiunto. Come spiegato in questo video e come racconta la recente sua storia biancoceleste: con Simone Inzaghi in panchina, ha giocato bene nel 4-3-3 e/o nel 3-5-2 come centrocampista e molto bene nel 4-2-3-1 in appoggio al centravanti di riferimento.
Dominante: Che tiene altri sotto il proprio dominio; egemone; Sergej Milinkovic-Savic
They call me “Mr. Pogbastic”
Milinkovic-Savic sarebbe un centrocampista prevalentemente votato alla parte offensiva del gioco: condizionale d’obbligo visto che la sua struttura fisica gli consente un recupero della palla abbastanza agevole in entrambe le metà campo, magari guidando in prima persona la successiva transizione. È evidente quanto gli garbi stazionare al centro del terreno di gioco, dove può giocare il pallone toccandolo con ogni parte del piede (interno, esterno e…suola, sì): quando, poi, sposta di qualche metro avanti il proprio raggio d’azione, si trasforma nel centravanti boa della Lazio.
Contro di lui, in questo caso, Bonucci non ha una singola chance
A proposito di zona d’attacco. SMS manifesta fantasia senza perdita di self control: è palese l’intelligenza nella scelta del passaggio più congruo anche sotto pressione avversaria. Eppure, non sono pochi tifosi della Lazio lamentano la sua bassa velocità di movimento, dimenticando che la tecnica individuale e il dribbling in relazione all’altezza sono qualcosa di impressionante, anche grazie a un peso specifico non così importante come si potrebbe supporre (78 kg)
Non è riduttivo e nemmeno superficiale ricondurre tutto al brocardo “alza la palla che la prende lui”. Il fisico, la proprietà di palleggio, la coordinazione, il timing di ogni singola giocata (da fermo o incorsa cambia poco) costituiscono quella combo di concretezza ed estetica che ricorda un solo centrocampista in Europa: Paul Pogba, di cui il serbo è l’erede naturale pur essendo ,in qualche misura, meno dominante, completo e rapido del francese. Ma il tempo è naturalmente dalla sua parte.
Se non vi ricorda Paul Pogba, non avete mai visto giocare Paul Pogba
A proposito del timing. Altra caratteristica unica è quella di saper controllare e “cronometrare” la propria corsa: una qualità difficilissima da sviluppare se non è innata. Nel leggere lo sviluppo d’azione e realizzare in qualche secondo cosa fare e se buttarsi dentro, è già uno dei primi della pista.
Facile, no?
E (al)la Juve?
In un ideale mondo delle idee in cui Marotta abbia mandato di svenarsi per il serbo, l’eventuale acquisto donerebbe un’elevazione sostanziale al peso specifico del reparto mediano bianconero. Infatti, nonostante un Pjanic a tratti delizioso, l’armonia nel settore nevralgico del campo è al momento abbastanza carente: allo stato attuale delle cose, il trio (al netto della considerazione sulla difficoltà di non poter disporre mai di un reparto al completo causa infortuni) non sembra avere un valore olistico funzionale. L’impressione è che la somma dei singoli intesi come collettivo non sia infatti differente in positivo rispetto dall’accorpamento dei membri presi individualmente.
La posizione forse più consona a quelle che sono le caratteristiche di Milinkovic-Savic è oggi occupata da Blaise Matuidi: uomo di un certo peso sia economico che “politico”. E’ perciò verosimile aspettarsi che il maggiore indiziato per un possibile rimpiazzo possa Sami Khedira: dunque occorre immaginare il 21 calcare le zolle che corrispondono all’utilizzo del suo piede forte verso l’esterno del campo. Forse non l’ideale data la sua conclusione chirurgica, ma sicuramente un panorama di soluzioni e dinamismo superiori rispetto all’attuale nazionale tedesco. Ragionando invece in ottica 4231, l’unico collocamento possibile sarebbe alle spalle della punta: e se da un lato potrebbe sembrare la posizione ideale per la sua valorizzazione offensiva, guardando il resto della rosa bianconera sorge il forte dubbio riguardo alla futuribilità di tale sistema, in primis per gli scarsi risultati dati da ogni accoppiamento possibile in mediana post (e incluso) Cardiff, e in secondo luogo per l’intoccabilità di Paulo Dybala in zona 14.
Insomma, Milinkovic-Savic sarebbe un veicolo importantissimo per consolidare l’utilizzo dei due intermedi ai fianchi di Pjanic in pianta stabile, prima ancora che per l’apporto estemporaneo che sarebbe capace di fornire in termini di “partite risolte con una giocata da fenomeno”. Perché si sa, dopotutto è quella la sua specialità. Ed anche all’estero, purtroppo, sembrano essersene accorti. Ma non bisogna disperare. In fondo c’è la seria possibilità che anche LeBron James, in estate, eserciti una player option che gli permetterebbe di cambiare squadra: hai visto mai che…