Come Sarri e Paratici dovranno cambiare il mercato

Questo mercato sta facendo parecchio discutere, rappresenta un qualcosa di insolito. Era già capitato di arrivare fino alla fine con qualche esubero da piazzare (viene in mente Llorente nel 2015), ma mai la Juventus si era ritrovata a metà agosto con così tanta gente ancora invenduta. L’anomalia, poi, è che si parla di nomi di rilievo con ingaggi da titolare (Mandzukic, Khedira e Matuidi su tutti), giocatori che fino solo a qualche mese fa erano fondamentali nello scacchiere di Allegri. Ora la Juve cerca invece disperatamente di mandarli via: sia per l’eventuale plusvalenza, sia per diminuire le elevate spese gestionali.

In attesa del 2 settembre, non si può valutare il mercato dei bianconeri senza partire dalle priorità economiche della dirigenza, molto più importanti di quelle tecniche. In questi anni, la Juventus ha aumentato drasticamente i costi di ammortamenti e ingaggi: lo ha fatto principalmente per poter competere in Champions League contro i top club stranieri, molto più ricchi e appartenenti alle maggiori leghe del mondo. Non va poi dimenticata la grande onerosità dell’operazione Ronaldo: se ha l’obiettivo di aumentare nel medio-lungo periodo le sponsorizzazioni e il brand Juve (quindi il fatturato), nel presente si traduce in circa 90 milioni l’anno da sostenere. Cifre assai elevate.

Di conseguenza – e lo sottolinea Iaria – il club torinese è costretto a fare circa 100 milioni di plusvalenza in ogni esercizio per mantenere i conti in ordine, in quanto è una società che spende più di quanto i ricavi ordinari consentirebbero. Sulla Gazzetta il giornalista scrive che “alla Continassa si ragiona ormai su un extra-tesoretto di almeno un centinaio di milioni dal trading”.

Queste stringenti esigenze economiche ovviamente condizionano il mercato, visto che se hai una tale necessità di vendere (bene), risulta difficile focalizzarsi a dovere sulle varie esigenze tecniche nell’allestire una rosa completa e coerente tatticamente. Negli anni precedenti, una delle principali critiche rivolte a Marotta era stata quella di privilegiare le occasioni di mercato senza pensare alle esigenze tecniche della squadra, comprando così giocatori di livello, ma non completamente funzionali rispetto a ciò di cui l’allenatore aveva bisogno.

L’obiettivo è fare in modo che la situazione esposta sopra sia solo temporanea: la priorità è quella di aumentare (di parecchio) il fatturato nel medio periodo, in modo così da potersi permettere gli attuali (enormi) costi operativi. Insomma, in attesa che i ricavi si alzino, si può tranquillamente sintetizzare la Juventus come club venditore.

Alla luce di tutto questo, il ruolo di Sarri nel prossimo ciclo sarà fondamentale. Oltre all’obbligo di vincere, il nuovo allenatore dovrà essere in grado di valorizzare ed esaltare i singoli, in modo che sia più facile vendere nelle sessioni di mercato. Se vogliamo, anche questa può essere una delle ragioni nella scelta di Sarri, in quanto si tratta di un tecnico che in passato ha dimostrato di far crescere alla grande il valore dei giocatori della rosa (e non è da escludere che al’interno della Continassa si sia contestato il lavoro di Allegri proprio sotto questo punto di vista).

Inoltre, con la drastica riduzione dei giovani sotto controllo con cui fare plusvalenza (se ne sono fatte a bizzeffe con loro nelle ultime stagioni, ma stanno appunto terminando), c’è forse bisogno che anche la società pensi agli acquisti in modo differente. Se si fa la scelta di sostenere il bilancio col player trading, bisogna ingaggiare giocatori ragionando sul lungo periodo, facendo in modo che siano in seguito rivendibili. Va quindi tenuta sotto controllo l’età media della rosa, oggi parecchio alta. Vanno presi più giovani e allo stesso tempo ridotti drasticamente gli acquisti di giocatori prossimi ai 30, con ingaggi pesanti, che in futuro saranno quasi impossibili da piazzare ad altri club (che poi è esattamente ciò che sta avvenendo in questa sessione di mercato).

La difficoltà a cedere non deriva quindi dalla capacità o meno di Paratici nelle trattative, è semplicemente il frutto del modo – coi suoi pro e i suoi contro – in cui la Juventus ha condotto le campagne acquisti nella sua storia recente. In questa sessione ha poi probabilmente inciso in negativo l’ultima pessima annata di molti giocatori.

Insomma, in attesa dell’aumento del fatturato, è abbastanza normale che la Juve segua questa strada (ossia, far dipendere il bilancio dalle plusvalenze) per competere contro le corazzate estere. Il punto è che bisognerà, semplicemente, farlo meglio, per evitare le enormi difficoltà che si sono presentate in questa sessione. L’intesa tra Sarri e Paratici dovrà essere perfetta: uno cercherà di valorizzare ed esaltare i singoli, l’altro avrà il compito di costruire rose più sostenibili nel lungo periodo.

Jacopo Azzolini

La strategia delle plusvalenze

Durante i primi otto anni di presidenza Andrea Agnelli, i ricavi strutturali sono cresciuti, anno su anno, in maniera importante, tuttavia non abbastanza per tenere il passo dei maggiori competitor internazionali. Il bilancio 2017, dal punto di vista dei ricavi, ha però segnato un’importante punto di svolta nella definizione della strategia della loro crescita. In attesa che il processo di promozione del marchio desse i suoi frutti, il management ha infatti deciso di fare uso in maniera corposa dei ricavi da player trading. Il grafico sottostante mostra l’andamento storico dei ricavi della Juventus con e senza player trading, comparato a quelli di Real Madrid e Manchester City, entrambe senza player trading.

Sebbene la Juventus abbia sempre usufruito, nel corso degli anni, dei ricavi da player trading (in misura abbastanza contenuta, nell’ordine dei 20-30 milioni di euro a stagione), il punto di discontinuità del 2017 è abbastanza evidente e segna l’inizio di un nuovo periodo.

I 151,1 milioni di ricavi da player trading del 2017 e i 102,4 milioni del 2018, rappresentano una chiara inversione di tendenza ed una scelta voluta. I motivi di questo cambio di strategia sono ovviamente diversi, il primo e più banale è che il fatturato cresce consentendo a Juventus di tenere il passo dei competitor internazionali, favorendo al tempo stesso lo sviluppo del brand e di maggiori introiti dal punto di vista commerciale. Il secondo è rappresentato dall’incremento notevole nelle quotazioni di acquisto/vendita dei giocatori offrendo la possibilità di realizzi più corposi. Il terzo, più importante, è rappresentato dalla quantità importante di denaro a disposizione nelle finestre di mercato, soprattutto per i club della Premier League.

Nel 2017, visto il trend di crescita dei ricavi del precedente triennio di club come il Manchester City, che nel 2013 fatturavano poco più del club bianconero, la Juventus decide scientificamente di sfruttare il player trading per continuare il processo di sviluppo del suo business. Lo fa tuttavia in maniera virtuosa e soprattutto con soldi veri, senza abusare delle super valutazioni dei giovani della primavera ceduti a cambio di altri giovani sconosciuti. Il fatto che si consideri il player trading come un ricavo strutturale in questa fase appare evidente sia nella gestione dei costi dovuti al personale tesserato, che nella gestione dell’indebitamento. Nel corso degli ultimi anni infatti, compresi il 2017 e 2018, costi e indebitamento sono sempre cresciuti in proporzione ai ricavi. Gli ammortamenti sono più che raddoppiati passando dai 46,7 milioni del 2011 ai 108 milioni del 2018, il costo del personale tesserato è cresciuto di 106,4 milioni (+84%) passando dai 126,9 milioni del 2011 ai 233,3 milioni del 2018, nel complesso costi più ammortamenti sono cresciuti del 96,6%, di 167,7 milioni, di cui 76,6 milioni, il 46%, negli anni 2017 e 2018. L’indebitamento netto è cresciuto del 156%, 188,6 milioni, passando da 121,2 milioni del 2011 a 309,8 milioni del 2018.

Costi e indebitamento sono assolutamente sotto controllo, e la cosa appare evidente dal successivo grafico che conferma che l’uso delle plusvalenze sia di fatto una strategia.

Tanto nel 2017 che nel 2018, il player trading è stato fondamentale per mantenere il rapporto costo personale più ammortamenti su ricavi al di sotto del 70%, in linea con gli anni precedenti, e lo stesso è accaduto per il rapporto tra indebitamento netto e ricavi, mantenuto nel corso degli anni intorno al 60%.

Nel contempo il rapporto tra costo del personale tesserato e ricavi senza player trading – ossia un altro parametro fondamentale – è stato mantenuto nei parametri previsti, come mostrato nel prossimo grafico, intorno al 58%, attestando che la crescita degli stipendi è comunque avvenuta in maniera sostenibile, legandola ai ricavi strutturali.

È innegabile che i ricavi da player trading abbiano innescato un processo al momento virtuoso che consente alla Juventus di continuare nel suo processo di crescita, sia dal punto di vista economico che sportivo. Aumentando i ricavi, la Juve ha aumentato i costi perché ha avuto la possibilità di mettere sotto contratto giocatori più importanti, aumentando il valore della rosa. Secondo le analisi di KPMG, Juventus possiede oggi la decima rosa per valori di mercato, e riuscendo a tenere sotto controllo l’età media. Diretta conseguenza è stato l’aumento della competitività sportiva, dell’esposizione mediatica e della fan base.

È chiaro che l’uso del player trading ha i suoi svantaggi, il primo e più banale è che non è un ricavo strutturale e se vi si basano i ricavi può capitare di non dare continuità al progetto tecnico, cosa che non dovrebbe accadere nel caso in cui non lo si usa, anche se quest’ultima affermazione rimane tutta da dimostrare. L’alternativa sarebbe quella di abbassare i costi e vedersi soffiare i migliori giocatori per l’impossibilità di garantire salari al livello dei più grandi club europei, di fatto favorendo un processo vizioso che porta all’aumento del gap economico, ad una rosa meno preziosa e ad una conseguente minore esposizione mediatica del brand.

Il secondo svantaggio è che, anno per anno, vanno individuati i giocatori da vendere e non sempre i piani della società venditrice coincidono con quelli dei giocatori messi sul mercato o delle società acquirenti. Tuttavia il fatto di avere una delle rose più preziose al mondo amplia la finestra di giocatori a disposizione per il player trading, consentendo dei cambi di strategia in corso d’opera, senza che venga intaccato in maniera importante il complessivo valore tecnico del roster di giocatori a disposizione. L’aspetto da non dimenticare, però, è che il rendimento sportivo rimane un aspetto fondamentale per lo sviluppo del business e per la crescita dei ricavi, per cui l’uso del player trading va bene fintanto che alimenta un processo virtuoso che produce risultati sportivi, mantenendo sotto controllo sia l’età media che il valore della rosa.

La strategia di sviluppo di Juventus si è rivelata vincente e sostenibile, e il 2018 si è chiuso con un negativo di 19,2 milioni dopo 3 anni di utile consecutivo. Adesso l’attesa è per il bilancio dell’esercizio 2018/19, quello dell’arrivo di Ronaldo in cui le stime parlano di ricavi superiori ai 600 milioni compreso il player trading. La certezza è rappresentata dai numeri della semestrale di dicembre 2018, l’effetto Ronaldo, un nuovo punto di discontinuità, ha prodotto circa 40 milioni di ricavi strutturali aggiuntivi nei primi sei mesi del bilancio 2019. I proventi da gestione calciatori sono stati 58,9 milioni. Nel breve periodo sarà necessario continuare a fare ricavi usando il player trading con l’obiettivo di sostituirli con ricavi strutturali nel lungo periodo, in attesa che la politica di espansione del brand dia i suoi frutti. Aspettando quindi una crescita strutturale, toccherà al management far quadrare i conti, ma in questo sono parecchio bravi; l’entità dell’importo necessario dipenderà dalle scelte che verranno prese sulla gestione dei costi, che verosimilmente continueranno a crescere, dalla crescita dei ricavi strutturali e dalle performance della gestione sportiva.