L’allenamento a porte aperte della Juventus è stato un evento.
Quando una squadra apre le porte di casa, i tifosi entrano per assistere agli allenamenti e le telecamere inquadrano quanto accade sul campo. Una rarità, dicevo, proprio in ragione della gelosia, della volontà di nascondere e nascondersi, di una paura di essere copiati, meglio interpretati dagli avversari, quindi via tutti, via le telecamere. Questo atteggiamento da parte di qualsiasi allenatore è comprensibile, ma ritengo fosse più comprensibile in un’epoca diversa da quella attuale nella quale ogni squadra avversaria viene studiata nei minimi dettagli, ogni avversario viene analizzato, dossier con le informazioni vitali consegnati ai giocatori e presentati in riunioni comuni. Certo, e penso sarete tutti d’accordo, ci sono ancora quelle occasioni in cui si prova in allenamento qualcosa ad hoc, di nuovo, in vista di una partita, quello che si fa per la prima volta per quella occasione: lì l’effetto novità risulta essere fondamentale. Pensate, per fare un esempio, alla gara di ritorno con l’Atletico Madrid della scorsa stagione quando Allegri sorprese Simeone con un atteggiamento e una formazione completamente diversa rispetto alle aspettative.
Questa occasione rappresenta però un’eccezione. Gli allenatori hanno una metodologia di lavoro molto consolidata, sebbene tendenzialmente aperta a novità grazie allo studio di quanto fanno i colleghi e all’abilità di inventare nuovi esercizi, e tendono a ripetere in allenamento quanto già sperimentato nel corso degli anni. Così fa Sarri. Quanto visto nell’ultima sessione aperta al pubblico è una sua seduta tipica, teorizzata già nella sua tesina con cui superò il corso d’allenatore a Coverciano, ed è un allenamento pensato per esercitare situazioni che si verificano in partita e migliorare fasi in cui la propria squadra risulta avere limiti. Sono esercitazioni che vengono quindi pensate e applicate sulla base dell’osservazione di quanto accade sul campo.
Facciamo un esempio con il supporto di queste immagini:
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La partita a tema della Juventus. Dimensioni del campo ristrette (dal limite dell’area a metà campo e lunghezza limitata per abituare i giocatori a usare la zona centrale).
Che cosa sta facendo la Juventus? Su un campo dalle dimensioni ridotte, i giocatori praticano quella che sembra essere una comune partitella, ma è una partita a tema. Cosa significa? Che Sarri indica delle regole pone degli obiettivi. Quei giocatori dietro e ai fianchi della porta sono dei jolly, che vengono anche chiamati comodini (dallo spagnolo comodìn che significa appunto jolly), che devono essere attivati prima di poter andare a concludere verso la porta. Dentro questo tema generale ci possono essere dei sotto obiettivi: giocare a tocchi limitati (2-3 tocchi), tirare di prima, concludere entro 15 secondi, avere tutti i giocatori dietro la linea del metà di campo per mantenere la squadra corta, poter segnare dopo aver realizzato almeno tot passaggi. Gli obiettivi di questa partita sono quindi molteplici: abituare la squadra a pensare in verticale grazie ai jolly, allenare i giocatori a combinare velocemente e nello stretto, mantenendo le giuste distanze tra i compagni. Un campo ristretto è l’ideale per allenare l’intensità, anche mentale, perché i calciatori sono sempre coinvolti e devono mantenere un alto livello di attenzione per poter performare.
Un altro esempio, invece, arriva da queste immagini
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Diverse altezze della squadra a seconda del posizionamento del pallone. Linea che resta alta perché il pallone è coperto.
Anche qui, nulla di nuovo. Sarri è un allenatore maniaco della fase difensiva, specialmente dei movimenti della linea a 4, prova continuamente le scalate, esercitando i suoi calciatori ad affrontare diverse situazioni, tutte quelle che possono verificarsi e in particolar modo quelle che si è dimostrato di soffrire. La creazione di un linguaggio comune è fondamentale, leggere all’unisono quello che sta per accadere fa la differenza. Il movimento dipende dalla posizione della palla, dal fatto che questa sia coperta (cioè se un tuo giocatore pressa l’avversario e impedisce la giocata) o scoperta (l’opposto), dal posizionamento del compagno e infine del calciatore rivale. Infine, attenzione anche alla postura, per poter guardare la palla sempre ed essere posizionati correttamente per poter scivolare, correre all’indietro o in avanti il più velocemente e nella maniera più economica possibile.
Infine, partita posizionale a metà campo. Tre gli obiettivi: allenare chi attacca ad affrontare una linea avversaria composto dal blocco di difesa e centrocampo (4vs4) che si difende nella propria metà campo; esercitare la costruzione dal basso contro pressing ultra offensivo degli avversari, migliorando quindi anche questa fase da parte di attaccanti e centrocampisti; ultimo, migliorare sia la transizione positiva che negativa, ovvero come posizionarsi e come muove la palla una volta recuperato il pallone, mentre col secondo termine si intende quei momenti immediatamente successivi alla perdita del possesso e si allena abituando i giocatori a collassare rapidamente marcando pallone e giocatori avversari più prossimi. Anche in questo caso le dimensioni ristrette aiutano i calciatori a pensare velocemente con tempo e spazio limitati, migliorando anche l’intensità e la reattività stesse.
C’è chi dice che il compito dell’allenatore di maggior rilievo sia durante la partita, chi pensa che il suo contributo possa essere limitato ed esercitarsi quasi essenzialmente in allenamento, chi ritiene che la squadra debba essere preparata approfonditamente ma che poi sia fondamentale saper leggere e determinare l’andamento della gara. Personalmente appartengo a quest’ultima corrente essendo pienamente convinto che un allenamento ben svolto e ripetuto nel tempo possa sviluppare le capacità della squadra e correggere i limiti; certamente è l’occasione migliore per qualsiasi allenatore di modellare la squadra sulla base delle proprie idee applicando la metodologia e le esercitazioni che gli sono proprie. Ed è quello che Sarri fa in questa seduta.