Chi sa solo di calcio, non sa nulla di calcio.
Chi parla solo di calcio, non sa nulla dell’essere umano.
Per oltre un’ora della partita con il Milan, entro spacco esco ciao. Sole, whisky e pole position.
Nei successivi dieci minuti, invece, Fantozzi che gioca a calcio e ne combina una dietro l’altra.
Insomma, non ci siamo fatti mancare niente. Non si può parlare della partita di Milano senza soffermarsi sulla prima ora di gioco, una delle prestazioni più convincenti e autoritarie della Juventus. Ho apprezzato come la squadra abbia preso le misure senza palla, correggendo alcune difficoltà che un Milan non banale stava creando; col pallone, invece, anche senza Dybala, le idee hanno trovato manifestazione sul campo.
Quello che è successo dopo, è sport. Lo sport è un’attività esercitata da essere umani e quindi entrano in gioco aspetti psicologici ed emotivi. L’atteggiamento sul campo, gli aspetti tecnici, i movimenti tattici ne sono la conseguenza diretta.
Quindi: che è successo? Nessuno di noi è dentro lo spogliatoio, ma ci troviamo di fronte a una realtà. La Juventus, per la seconda volta consecutiva nel giro di pochissimi giorni, esce dalla partita dopo un evento, un dato di fatto, rappresentato dal calcio di rigore. Il Milan, che non è il Torino, ha compreso anche lui il momento favorevole della partita e ne ha approfittato; De Ligt non c’era e Rugani non è come l’olandese. Esce dalla partita e smette di applicarsi con regolarità e continuità, non segue più la propria organizzazione e perde completamente misure e intensità, subendo in maniera passiva.
Cosa fare? Prendere atto che si ha un problema. Non posso sapere se i giocatori pensano di vivere in un contesto in cui gli arbitri vanno a punirci regolarmente. Può essere che sia questa la sensazione che vivono e quindi rappresenterebbe una loro percezione mentale ed emotiva che diventa realtà. Non esiste, però, alcun altro modo per superare questo problema, che è un grosso freno, che non porti a questo: parlare. Comprendere il punto di vista dei giocatori, entrare in sintonia con loro, ascoltare, far emergere la reazione sbagliata, mostrare invece come mantenere il controllo (shit happens) sia l’atteggiamento migliore.
Una squadra che fa quella prima ora, e dimostra di saperlo fare con convinzione e continuità, deve aggrapparsi alle certezze solide che ha. L’organizzazione, la autostima, la fiducia in se stessi e nei compagni, la consapevolezza di avere un gioco e una mentalità vincenti sono le componenti che permettono di superare gli ostacoli.
Non reggono i paragoni con la gara casalinga col Napoli, l’analogo 4-2 con la Fiorentina, gli sbandamenti causa anche loro della “halma”, l’inversione a u post Manchester United. Sarri non cambierà, la Juventus continuerà a giocare come sa e come vuole. È il suo modo per vincere le partite. Non essendo dei Tafazzi a lungo tempo, sono convinto che questo problema verrà affrontato e superato.
Daviude Terruzzi.
18 minuti: un corto horror in scena a S. Siro
La certezza che cede il passo all’irrazionale, il non senso come unica spiegazione possibile. C’è questo nel tracollo della Juve col Milan a San Siro. Parafrasando Vasco «voglio trovare un senso a questa storia anche se questa storia un senso non ce l’ha».
La magia di Rabiot (la prima in bianconero dopo 13 tentativi) come un grimaldello aveva spalancato le porte di una serata dai contorni decisivi per il campionato, dopo il regalo arrivato da Lecce: la prodezza, invece, si è rivelata un nefasto presagio sull’horror show che di lì a poco si sarebbe consumato.
Neanche il 30esimo centro stagionale di Ronaldo è bastato a mettere in cascina una partita che sembrava già scritta.
Circola una parola che fa sintesi: blackout. Perché c’è qualcosa di irrazionale in una squadra che gioca bene per sessanta minuti, appare in controllo e poi si sfalda sotto i colpi inattesi di un avversario redivivo, finendo ribaltata.
Era già capitato. Nell’ottobre 2013, dentro la strepitosa annata dei 102 punti: a Firenze, in doppio vantaggio e senza grosse difficoltà, la Juve di Conte becca 4 gol in venti minuti e perde la partita. Nessuno sa spiegare il perché.
Era successo in due derby: nell’ottobre 2001, con la Juve rimontata di tre gol in 26 minuti, e nel marzo 1983, addirittura ribaltata dopo il doppio vantaggio in cinque minuti. Al Milan ne sono serviti 18.
Dentro quel tempo svarioni, errori ed orrori, singoli e di gruppo, che la prima della classe non dovrebbe compiere a un passo dagli obiettivi. Dal rigore che riapre i giochi non c’è traccia di ferocia bianconera, per ristabilire le distanze e frenare i bollori di un avversario fino ad allora spuntato. Il resto è irrazionale.
Non accadeva dal marzo 1989 che il Milan desse 4 gol alla Juve (tutt’altra squadra rispetto a quella vogliosa e pratica di Pioli), e dall’ottobre 2016 che recuperasse il doppio svantaggio.
È un tonfo brutale, che ripropone limiti che avevamo rimosso. E che non ha un senso. O forse sì.
Mauro Bortone.
5 minuti di ordinaria (e prevedibile) follia
Diciamolo, quando Gabriel ha salvato la vittoria del Lecce sulla Lazio al 100′ ci siamo rilassati: avremmo vinto questo scudetto anche suicidandoci.
E diciamolo, quando Ronaldo ha segnato il suo millesimo gol di fila tra Romagnoli e Kjaer ci siamo poi disinteressati dello Scudetto, favoleggiando sul Lione arato e su una Final Eight. Una Juve finalmente Sarrista, singoli scintillanti (perfino Rabiot, ex-pippa atomica), tenuta difensiva e mentale d’acciaio.
E così, abbiamo vinto lo Scudetto, facile.
I 5 minuti seguenti sono stati definiti “black out incredibile”, “crollo surreale”, “disastro inspiegabile“, Sarri ha preferito andare oltre, “inutile cercare motivi, teniamo quanto di buono fatto e andiamo avanti”.
Così siamo passati da “Scudetto in ghiaccio, troppo facile, testa al Lione” a “Moriremo tutti, arriviamo Quarti!”
In realtà la sconfitta a Milano è banalmente spiegabile e ampiamente prevedibile, al di là dell’andamento da “Pazza Juve, amala” del risultato.
Incontravamo una delle più in forma, senza i due più in forma. Al loro posto, Rugani, 5° centrale out da 7 mesi (più Covid) e un Pipa ancora più piantato del solito.
Inoltre, tutti gli altri venivano da una serie di gara, sempre titolari, sempre gli stessi. Niente turnover, niente cambi fino all’ora di gioco.
Di pazzo col Milan c’è stato ben poco.
Se da casa sul divano sbadigliavamo allo 0-2, in campo dopo un’ora di livello, tutti hanno staccato la spina:
Bonucci, che ha fondato la carriera sull’aspetto mentale, ha sbagliato tutto in 10 minuti, dopo 4000 minuti perfetti. Rugani schiantato psico-fisicamente dopo un discreto approccio ad Ibra, è stato ridicolizzato da Leao.
Pjanic dopo la miglior ora post-Covid, era già sulle ramblas di Barcellona,
Cuadrado, dopo un mese da Dani Alves, ha messo la lingua fuori ed è diventato Marco Motta.
Danilo, già sempre in campo con uno spirito da Beach soccer, ha attivato la modalità Copacabana by night e Sandro si è adeguato.
A quel punto il Milan, nell’ultima mezz’ora aveva tritato la Lazio (e segnato a raffica a Lecce, Roma e Spal) ha preso a correre il doppio, passare il triplo e segnare il quadruplo.
Di chi è la colpa? Di chi può essere la colpa di un cedimento strutturale e psico-fisico così devastante? Degli uomini, della dirigenza, del mercato o del manager che ha la responsabilità della tenuta mentale e fisica dei suoi uomini?
Eppure, nella Juve che ha fatto della tenuta mentale la sua stella polare, piccoli coma reversibili ci sono sempre stati:
La Juve di Conte ne prende 4 in 10 minuti da Rossi (e poi fa 102 punti),
La Juve di Allegri ne
prende 3 in 20′ a Marassi (sia da Samp che dal Genoa). Non citiamo
quelli presi dal Real a Torino o Cardiff perché sono altri pianeti.
Questi black out, da testa spenta, da sazietà, da “troppo facile” vanno ora moltiplicati per cento, per Covid…
Per 3 mesi in lockdown siamo lucidi, il più irrazionale ripeteva “sarà
un calcio assurdo, pazzo, ogni 3 giorni, caldo infernale, dopo 3 mesi
di inattività, senza sosta, infortuni, alti e bassi, su e giù”.
Ed è successo esattamente questo.
Difficile potesse accadere contro Cangiano, Petriccione, Sanabria, Edera e compagni. Eppure anche in quelle gare, in controllo, piccole crepe temporanee erano state sigillate dall’organizzazione, dalla qualità del gioco e dallo stato di grazia dei vari de Ligt, Dybala, Bentancur e Cuadrado.
Abbiamo beccato la prima tosta, le prime avversità reiterate (il 10° rigore contro, in 31 gare, lo sbandamento del 2-2) e la squadra ha rivisto crolli e fantasmi sarristi, non quelli di Napoli, Verona e Lione (lì pessimi da subito), ma quelli palesati al Wanda, in casa col Napoli avanti 3-0, nei due KO con la Lazio, dopo aver divorato il 2-0.
Sarri può avere colpe nel non aver subodorato il logorìo psico-fisico di chi ha giocato per un mese, senza riserve, senza turnover, eppure aveva poche scelte, considerando che i peggiori sono stati i “nuovi” (Pipa e Rugani) e quelli subentrati (Sandro, Ramsey).
Così ora qualcuno ha più paura ora, avanti +7 a 7 dalla fine (contro questa Lazio e questa Inter) che a +1 a 12 dalla fine, contro una Lazio che ne vinceva 10 di fila o Conte con i suoi rush finali.
Che fare? Ora che arriva la squadra suprema che ammazza chi va in blackout. La Juve ha SEMPRE reagito ai crolli, con testa, gioco, qualità o culo.
Il piccolo buco nero di questa Juve nello specifico è la combo tra i trascorsi da nemico perdente di Sarri e la lotteria di questo calcio post-pandemia.
La soluzione è scrivere a caratteri cubitali un avviso su quel maledetto tasto OFF/STAND BY, un segnale del tipo “NON TOCCARE FINO ALLA MATEMATICA”.
Sandro Scarpa.