CRONACHE DALLO STADIUM / Passione

Sto cercando di trasmettere a mio figlio la Passione per la Juve, diciamo che lui è già tifoso ed essendolo diventato l’anno di Diego, Amauri e Motta la strada è in discesa, ma quello che intendo io va ben oltre; quando hai la fortuna di poter andare con lui a vedere Juventus-Bayern capisci che hai a disposizione una grande opportunità.

Comincio con il viaggio, partendo con largo anticipo per fargli respirare gli odori e i profumi dell’area dello stadio, assaporando con lui un panino con la porchetta di fianco ai tifosi tedeschi che bevono birra e mangiano salsicce senza sapere cosa si stanno perdendo, facendogli leggere le località da cui arrivano i centinaia di bus presenti nei parcheggi, spiegandogli cosa significhi arrivare da Molfetta in pullman per una gara alle 20,45 di un martedì.
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Gli racconto quella volta che, da solo, da Piacenza, nel 1997 venni al delle Alpi a vedere Juve-Manchester United con 10.000 spettatori e noi praticamente eliminati e invece finimmo ad abbracciarci perché un tale Djordjevic, che giocava nell’Olympiakos, ci regalò il passaggio agli ottavi (e poi noi perdemmo una delle tante finali col Real).

Lo porto ad aspettare il bus della squadra, ad abbracciarlo simbolicamente quando entra nella pancia dello Stadium per caricare i ragazzi e fargli sentire la nostra Passione.

Finalmente entriamo allo stadio, settore 114 praticamente sulla linea centrale del campo; con lui li ho già visto Juve-Real semifinale dello scorso anno, insieme ad altre 10/12 partite tra Champions e campionato, a 13 anni è tanta roba lo so ma il mio scopo è trasmettergli la Passione.

Commentiamo la designazione di Atkinson, lo stesso di Juve-Real, assistiamo al riscaldamento e poi cantiamo a squarciagola l’inno della Juve restando ammirati dalla splendida coreografia, poi finalmente si comincia.

Come per magia, appena inizia la gara, lo stadio ti mette subito a disposizione il materiale per insegnarti cosa è la Passione: la Curva che canta, i ragazzi che si difendono con il coltello tra i denti e molti di noi ad incitare capendo la difficoltà di giocare contro il Bayern, facendo notare come giocassero in 10 nella nostra metà campo e come siano maestri nella tecnica individuale.

Lottiamo anche noi dalla tribuna e ad un certo punto ecco la scintilla che mi permette di far capire a mio figlio cosa significhi la Passione: tre persone sedute dietro noi insultano Pogba per un passaggio sbagliato, pesantemente.

La mia reazione verso questi signori lo ha spiazzato, vedermi “spiegare”a queste persone che la Juve e i suoi giocatori non si insultano, che quella maglia merita rispetto e che si dovrebbero vergognare di quello che han detto, insieme agli applausi delle persone sedute vicino, gli ha fatto capire cosa io volessi spiegargli e trasmettergli, cioè che la maglia e chi la indossa si Amano.

Intervallo, lui mi vede sofferente, cerchiamo di vedere positivo ma sappiamo che è dura, qualcuno racconta di gol in fuorigioco e di probabile rigore per il mani di Vidal, io gli dico di non fare come gli altri fanno con noi e di accettare il verdetto del campo, perché l’errore di Atkinson, presunto o tale, è identico a quello di Mariolone dopo pochi minuti di gara.

Inizia il secondo tempo e Robben segna il secondo gol, e qui altra chicca dei tifosi occasionali della Juve: molti si alzano e se ne vanno…..

Matteo però mi guarda e mi dice” Pa’, noi siamo la Juve e vedrai che non finisce in goleada”, mi alzo e lo abbraccio, come ad un gol, perché allora hai capito cosa è la Passione.

I tifosi tedeschi cominciano ad accompagnare con ole di scherno ogni passaggio e questo indispone.

Poi arrivano Dybala e Sturaro a farci saltare sui seggiolini, sull’ultimo tiro al volo di Bonucci speri che qualcuno guardi giù ma finisce 2-2.

Matteo osserva con me i giocatori che si salutano, gli abbracci tra Arturo e tutti i compagni, Mandzukic che dopo aver percosso chiunque negli ultimi 30 minuti saluta tutti gli avversari e i giocatori tedeschi che rendono omaggio ai loro tifosi e mentre ci accingiamo a uscire mi dice”

Pa’, questa sera è stata la prima partita in cui ho SOFFERTO per la Juve, dove abbiamo fatto fatica ma ho capito che non si molla mai nulla e poi ho goduto nel vedere zittiti i tifosi del Bayern”.

Ecco, missione compiuta ho pensato, suggellata poi da una frase all’autogrill mentre si mangiava un trancio di pizza. “Pa’, sono contento per quelli che sono venuti da Molfetta, almeno il viaggio di ritorno sarà bello”……Benvenuto Matte’ nel mondo Juve.

di Maurizio Biggi

CRONACHE DALLO STADIUM / Redivivi

 Bentornata Champions League. A Torino non sembra nemmeno una serata tanto invernale, per un’ora sarà semplicemente una serata infernale. L’aria rarefatta è quella delle grandi occasioni, quelle che capitano poche volte nella vita e tu devi essere pronto a saperle afferrare e tener salde, perché anche dopo averle prese è probabile che scappino. Scappa Mandzukic, dopo pochi secondi, ma ha troppa fretta di calciare e la prima occasione, non una semplice occasione da gol, ma quella più “profonda”, ovvero cambiare la partita, sfuma. Da lì in poi è un assolo rosso, un riff assordante che alterna momenti di rock pesante (le incursioni di Robben e Douglas Costa) ad istanti di musica classica (il fraseggio a centrocampo tra Lahm e Tiago Alcantara). Scappa la Juve, che un po’ per scelta e un po’ per timore opta per l’attesa, rischiando però di finire come in “aspettando Godot”. Godot non si manifesta, il gol del Bayern sì: nel momento peggiore, ma poco importa, perché la sensazione costante durante i primi 45′ è stata che il gol tedesco, mica Godot, potesse arrivare in qualsiasi momento. Ogni intervallo è una parentesi, allora la parentesi sull’arbitraggio la colloco in questo intervallo, perché appunto di parentesi si tratta: 9 volte su 10, se qualcosa deve andar storto alla Juventus in Champions League, va così. Ed è vero che alla fine decidono gli episodi, ma dopo un primo tempo così non è il caso di guardare il dito che indica, con una luna rossa così bella e grande che domina in cielo. Il 2-0 di Robben è il gancio con cui Ivan Drago uccide Apollo Creed e sullo Stadium si alza un vento freddo, il clima è surreale. Anzi, reale, perché niente è più crudo della realtà dopo esserti svegliato da un sogno. Le occasioni, sì, anche questa sembra sfuggire. Il pensiero, che forse più triste non si può, è che la Champions da vincere era un’altra, ovvero quella che si assegnava in una capitale un tempo divisa da un muro. Anche i muri però crollano: spesso il motivo è perché si capisce contro cosa si sta lottando. Il muro abbattuto dalla Juve non è tanto il Bayern, ma quello delle proprie paure. Il pugno non se l’era preso Apollo, ma Rocky, che reagisce. O risorge, se vogliamo restare sul misticismo, come la fenice che rivive dalle sue stesse ceneri. Metafora che avevo già usato per la Juve, ma che non stanca mai. Troppe emozioni da provare per una persona in soli 90′. Sembrano così tante perché opposte tra loro. Si narra che qualcuno, al pari di Sturaro, abbia visto com’è fatto l’aldilà. Deve volergli bene quella traversa, la stessa del tocco su James. Uscito dallo Stadium, mani fredde e fronte calda, mi viene in mente una frase presente in una vecchia videocassetta che celebrava il centenario, ormai quasi 20 anni fa: “La Juventus insegna a tutti che non bisogna mai mollare”. Lo dice la storia. E il finale di questa storia? Ancora da scrivere. Al 55′ sembrava un libro già pronto e da mandare in stampa, con tanto di “olé” bavaresi in copertina: invece il secondo capitolo è necessario. Come le seconde occasioni: non capitano spesso, ma quando capitano…

 

 Ore 02:10. Mi sveglio d’improvviso, mi ero addormentato sui libri. Ho un esame: e se tutto questo l’avessi solo sognato? Poi provo a parlare, la voce è roca ed è anche poca: no, era tutto vero. E l’esame è pure orale.

 

Luca Momblano.