Da Dybala ad Agnelli: tra incompetenti e faziosi

Talvolta, disquisendo anche in modo leggero di cose calcistiche, il livello di discussione è davvero troppo basso.

Come si fa a rispondere seriamente a chi denigra Dybala, autore di 8 gol in quattro partite di campionato più 2 in Supercoppa, perché non ha segnato a Barcellona? Cioè, se un giocatore non segna (magari una doppietta) ovunque, tutte le volte, anche nei campi più difficili, si rimette in discussione tutto quanto pensato su di lui fin lì? Quindi il Messi deludente dell’anno scorso a Torino e Barcellona, mentre Dybala decideva la qualificazione, era stato forse sopravvalutato? I gol a Genova, al Sassuolo, contano eccome: soprattutto nella prima trasferta eravamo sotto malamente e le sue giocate ci hanno riportato in partita per poi vincere comodamente: non sono quelli gol decisivi, pesanti, che possono cambiare delle stagioni?

E le cretinate sulla Juve in Europa? Il solito “lì si vedono i veri valori” dopo una sconfitta a Barcellona (!), le promesse di vendetta dalla “umiliazione subita dalla Juve” perfino del governatore De Luca (quando capiranno, coloro che rivestono un ruolo istituzionale, che meno parlano di calcio in quel modo e meglio è?), ed ecco che il Napoli perde in Ucraina e la voglia di parlare della bellezza del calcio in Europa svanisce improvvisamente.

Peggio ancora se si esce dal campo, con i consueti geni a mettere in dubbio la veridicità dell’infortunio di Berardi, costringendo il cuore Juve Paolo Cannavaro a mostrare al mondo le cicatrici del compagno.

Peraltro, qui, come in diversi altri campi, il complottismo si unisce a una scarsissima conoscenza della materia: Berardi da tempo non è più in orbita Juve, diremmo che in passato non ha mostrato entusiasmo all’idea di trasferirsi a Torino, quando ha giocato contro di noi ha causato la decisiva espulsione di Chiellini in un Sassuolo-Juve ben più drammatico di quello di ieri. Ma tanto vale tutto: esattamente come se per noi il Napoli avesse distrutto il Benevento (o la Roma il Verona) perché questi si sono scansati, per le tante assenze (tra cui Ciciretti, Iemmello e D’Alessandro, forse i tre migliori della squadra) e non perché è mille volte più forte degli avversari. Meno male che non siamo così, speriamo di non diventarlo mai.

Ancora peggio quando si parla di giustizia sportiva: Pecoraro interessato solo ad Agnelli – tanto da avere inventato una intercettazione chiave di fronte alla Commissione Antimafia (lo ricordiamo ogni settimana perché altrove la vicenda non interessa) -, con schiera di giornalisti a supporto, pronti a chiedersi solamente che squalifica riceverà il nostro presidente. E non, come sarebbe opportuno, capire se sarebbe giusta una pur minima squalifica, per il presidente della Juve.

Il tutto, condito da fake news clamorose, quali per esempio il postulato letto sulla Gazzetta, in virtù del quale chi viene squalificato per più di un anno non può fare il presidente della sua squadra per dieci anni. Confusione (è una norma riferita alle cariche federali), faziosità, scarsa competenza, ma anche poca logica, perché che senso avrebbe, beccandomi un anno di squalifica, non poter tornare al mio posto nella mia società per dieci anni?

Al netto dei giornalisti ultrà che vivono la vicenda come fosse una finale di Champions, ci si perde in scemenze del genere e nessuno racconta a fondo la vicenda: come noto, la società ha riconosciuto di avere violato la norma sul numero di biglietti venduti, che prevede una sanzione per i suoi violatori.

Tutto il resto, le cretinate sui rapporti tra Agnelli e la ‘Ndrangheta (su cui hanno campato per settimane alcuni giornali, che ora spostano il tiro su altri aspetti) non esistono, che si volesse così finanziare la “malavita organizzata” lo ha smentito in primis la magistratura ordinaria, che ha stralciato la posizione di Andrea, anzi non l’ha mai presa in considerazione.

Il fatto che Agnelli fosse favorevole a fare entrare gli striscioni su Superga è ovviamente una tesi a prova di cretino, anche se alcuni lettori di certe testate la danno ormai come accertata.

Squalificare (a lungo, poi) il presidente di una squadra di calcio (una, sempre la stessa) perché si sono venduti più biglietti del dovuto, in un mondo in cui il problema dei ricatti di alcuni tifosi verso le società è noto da quando avevo 5 anni, sarebbe l’ennesima prova di una giustizia cieca, a caccia del capro espiatorio per poi dimenticarsi del problema.

Come sui farmaci (ma come, non era un problema che riguardava tutto il calcio? Non eravamo tutti preoccupatissimi per il futuro dei nostri figli? La questione non interessa più nessuno?), sui rapporti con dirigenti e arbitri (con intercettazioni uscite anni dopo, quando ormai, si dice, era troppo tardi per punirle, e i giornali comunque non si indignavano più). “Avete sbagliato voi, intanto puniscano voi”, ci dicono da vent’anni, per ogni tema di giustizia sportiva”. Non sapendo, o forse ben sapendo, che l’unico modo per non risolvere mai un problema è trovare un capro espiatorio – sempre quello – indignarsi, bastonarlo ben oltre il dovuto e il giorno dopo riprendere felici, come se nulla fosse, come se quell’enorme problema nazionale potesse sparire così, come se davvero ci fosse qualcuno a potersi vantare di chissà quale morale superiore.

Intanto puniscano voi”, ci dicono.

Felici che dalle loro parti, nei loro stadi, i problemi possano non emergere mai e rimanere sepolti per sempre, sotto chili di sabbia.

Il Maestro Massimo Zampini