È un dettaglio sostanziale, all’apparenza autorefenziale, che non scalfisce e anzi fissa l’ultima riga e insieme la prima di un grande ciclo: la Juventus è già nel dopo-Marotta per propria volontà, come da natura di un grande club che aggiorna le proprie vision. Dalle risultanze prima, dopo e durante il venire a galla della notizia dell’estromissione dell’ex amministratore delegato bianconero, si può coscientemente affermare che non si è trattato di una separazione consensuale, se per consensuale si intende un bel “giusto così” sussurrato da ambo le parti in causa.
Tralasciando i dettagli non sostanziali – e la grande corsa a indovinare il futuro di Marotta, comunque fuori dalla Juventus – l’approccio dello storico di professione cercherebbe di lavorare sui perché della (clamorosa, ammettiamolo) notizia: è sostanziale la differenza tra un disallineamento di idee tra proprietà e manager di riferimento e invece un disallineamento circa le pratiche quotidiane. La prima ipotesi potrebbe essere contenuta dentro le parole recenti di Andrea Agnelli nell’immaginare e posizionare la Juventus, dentro il suo ruolo attivo per un calcio e quindi un marchio globale, che non è riassumibile unicamente dietro all’enorme parafulmine giornalistico del marchio Ronaldo (il portoghese farà da ripostiglio soprattutto per ogni cosa stagionale che possa sembrare una magagna). La seconda ipotesi, invece, apre a scenari aziendali e professionali più discutibili, sui quali nessuno possiede indizi degni di essere al momento pubblicati.
Perché il bivio di cui sopra non è un dettaglio? Non perché lo storico debba essere soddisfatto a tutti i costi, e neanche perché serva legittimare le voci del popolo che vanno e andranno convergendo sul “…chissà cos’ha combinato Marotta…”. Non è un dettaglio perché quando i fattori si combinano, il cocktail giornalistico può diventare pericoloso da maneggiare. La vision agnelliana c’entra, c’entra eccome. C’entra l’ambizione di una rapidissima internazionalizzazione, c’entra il legame di fiducia gestionale (acquisita, crescente, quasi totale) di John Elkann nei suoi confronti, c’entra dunque come la Famiglia guarda da qualche tempo alla Juventus. Così come la fiducia – se non proprio radicalmente modificata – si è consumata tra la proprietà e il delegato numero uno a eseguire nel migliore dei modi le linee guida.
Non vale, oggi, il giochino delle operazioni da eventualmente imputarsi a Marotta. Che siano l’ardita operazione di uscita di Higuain, i disaccordi su Caldara, il suo parere negativo al ritorno in bianconero di Bonucci, addirittura Milinkovic-Savic (del quale scriveremo in un articolo a parte) o perfino il clamoroso scenario che avvinghia il nome di Pogba alla Juventus, senza ovviamente dimenticare il ripostiglio CR7. Quel che vale oggi è il rinnovamento del management, che sia voluto, programmato o indotto, quindi i nomi di chi affiancherà i nuovi poteri consegnati per merito a Fabio Paratici, al suo delfino Federico Cherubini e più in generale di un intero gruppo di lavoro over 40 giunto al giusto (così si dice) punto di maturità e coesione per una nuova prospettiva mondiale e più esuberante del club. Una prospettiva che ovviamente fa capo alla presidenza e che include Pavel Nedved, mettendo al centro del lavoro nuove pretese sulla squadra (e quindi su Allegri), sull’appeal, sul multilinguismo e quindi sulla Juve potenziale numero uno al mondo.
Poi, inevitabilmente, si arriva alla delicata e centrale posizione di amministratore delegato. Un grande nome, spiffera qualcuno. Un amministratore unico, visto che dovrebbe esaurirsi anche la carica di Aldo Mazzia. Un nome di riferimento per Andrea e per la Famiglia dice qualcun altro, dunque un rampante che vanti capacità, fiducia e ambizione nei limiti di ciò che ci si può permettere appena al di sotto di Exor. Un nome internazionale per attitudine e rapporti fuori dal confine nazionale, spiffera qualcuno. Un nome che faccia da ultimo tassello del mosaico agnelliano, sospira quell’altro. Un nome di ampia prospettiva, relativamente giovane e depositario delle dinamiche e della filosofia del gruppo, per una Juve che faccia qualcosa come è stata capace di fare Fiat Auto. Da una parte Michele Uva e dall’altra Francesco Roncaglio, uomo Lamse e già membro del CdA. Non è un duello, sono solo due identikit sui quali coloro che sapevano ma non avevano né detto né scritto si direbbero ben poco stupiti.
Luca Momblano.