Il weekend, l’ennesimo, in cui hanno perso in tanti, quasi tutti, ma non la Juve.
Che soffre, arranca, nel primo tempo viene rinchiusa nella propria metà campo con il 30 per cento di possesso palla da una squadra brillante e in splendida forma, va sotto, recupera, rischia di prendere gol da Malinovsky, di farlo con Ronaldo ma il tutto è solo rimandato, perché va sotto a dieci minuti con gol di Malinvosky, si riversa in avanti e pareggia con il secondo rigore di Ronaldo.
La partita dovrebbe chiudere per sempre le diatribe tra juventini (e che ci siano diatribe, anche furiose, durante un ciclo del genere, spiega bene l’assurdità del periodo che stiamo vivendo), risultatisti e belgiochisti, sarristi e allegriani, perché credo che durante la partita fossimo tutti neri d’umore e alla fine, ecco quanto conta il risultato, ci sia stato un “fiuuu” collettivo, senza distinzione di categoria, che ha definitivamente migliorato la serata nostra e soprattutto di chi stava con noi.
E sia chiaro, non solo c’è moltissimo da fare per crescere (parecchio) e non si è vinta la partita, ma il campionato è tutt’altro che finito (ora si va a Sassuolo, poi la Lazio e così via), come vorrebbero farci credere diversi osservatori non proprio felici di un eventuale nono titolo della stessa squadra. Quella lì, poi.
L’Atalanta è stata grande, la Juve ha retto e reagito. Lì, in quei novanta minuti, non ha perso nessuno.
Per il resto, débâcle totale, solito disastro del contesto in cui la Juve è abituata a giocare da una decina (meglio, qualche decina) d’anni.
Hanno perso tutti, si diceva, e il primo a perdere è stato Simone Inzaghi, autore di un’annata straordinaria e improvvisamente lamentoso preventivamente con gli arbitri, dopo una stagione in cui, ma sì, teniamoci stretti, con loro non ha gran motivo per cui essere insoddisfatto. Quindi gioca la sua Lazio, contro un Sassuolo privo di quasi tutti i titolari: “Scansuolo!”, direbbero i soliti noti, convinti che ci siano squadre desiderose di regalare partite qua e là.
Non basta. Perché dopo qualche minuto ai suoi avversari viene annullato un gol, con il Var, in modo inspiegabile; i biancazzurri segnano e quindi, secondo la vulgata comune di questo contesto mediocre, con errore arbitrale a favore e successivo vantaggio, la partita dovrebbe essere chiusa.
Se gli avversari schierano le riserve, ricevi un regalo e poi vai pure in vantaggio, “a quel punto è finita, gli avversari si sono scansati e la partita l’ha indirizzata l’arbitro”: ce l’hanno spiegata così, i nostri tragici (non tutti, ovviamente) media che si occupano di calcio, che ancora attribuiscono a un errore del direttore di gara a più di giornate dalla fine il primo meraviglioso scudetto di questo ciclo leggendario, conquistato strameritatamente, senza una sconfitta in tutto il campionato.
E invece no, perché oltre che faziosi e velenosi sono pure sfortunati, ed ecco che la prima rivale della Juventus, dopo la svista a favore, becca il pari e perde all’ultimo minuto, smentendo dunque, in un tempo solo, trent’anni di polemiche demenziali che hanno ridotto le discussioni su questo sport alle tragiche moviolate di parte che ben conosciamo.
Ma il meglio, ahinoi, deve ancora arrivare, perché, dopo i mille rigori fischiati per falli di mano alla Juventus perché “c’è la nuova regola, bisogna difendere con le mani attaccatissime o dietro la schiena, non avete ancora imparato?”, detto ovviamente col sorrisino di chi se la sta godendo, ecco, arrivano i due rigori per la Juve, entrambi con il braccio largo e, secondo la regola, appunto, senza discussioni.
Via i sorrisini, allora, spazio ai toni cupi, alle discussioni nei programmi sportivi post partita sul senso del regolamento. Lasciamo perdere quei disperati su Twitter, col tesserino per caso, che vomitano le solite follie. Limitiamoci ai media tradizionali: spazio a Garlando sulla Gazzetta dello sport, per il quale “a rigor di regolamento forse c’erano, però…”, senza continuare quel però. Forse. Però.
Spazio a Mario Sconcerti. In un memorabile articolo che si candida a essere copertina di tutte le perle mediatiche lette in questi decenni sul tema, scrive che “non c’è calcio dentro quel rigore. E se anche fossero nuove regole, non hanno nobiltà per diventare giustizia”. Spiega che “la giustizia, anche quando è corretta, proprio per essere giusta, non è mai semplice applicazione”. E attenzione, perché il meglio deve venire, perché a quanto pare “è una partita destinata a diventare come quella del gol di Turone annullato, come quella del gol di Muntari che Galliani tiene ancora come richiamo nel cellulare”. E’ anche l’articolo, dunque, che probabilmente darà vita al ritorno dei miei libercoli (ma solo se si vince lo scudetto, si intende). Per due rigori netti, eh, ogni tanto va bene ripeterlo.
E qui stiamo parlando di quello riconosciuto come il decano dei giornalisti sportivi, quelli imparziali, quelli che se la prendono con i veleni dei social, quelli che hanno “il tesserino”, non sono mica “tifosi come voi”.
E lasciamo perdere il vicedirettore di Raisport, che arriva sotto un mio tweet in cui riconosco i meriti dell’avversario, me la prendo con i veleni moviolari e riconosco l’importanza del punto conquistato, a spiegarmi che il tifoso juventino non deve essere contento e rilassato, anzi, deve essere insoddisfatto, rabbioso, proprio come lui. Ovviamente non saremo mai così, e poche cose spiegano meglio questi tempi rispetto a Varriale vicedirettore di Raisport che spiega a noi come dobbiamo fare i tifosi.
Direi che è tutto.
Anzi no, perché rimangono undici punti da fare, e soffrendo così non c’è nulla di scontato.
Rimangono le liti tra juventini, tra ultrà di un allenatore e dell’altro, senza capire che i nostri nemici non si chiamano certo Sarri o Allegri, che per noi hanno cercato o stanno cercando di fare del loro meglio: c’è un elenco sterminato, se volete ve lo fornisco.
Rimane, soprattutto, uno scudetto da vincere. Per altri mille articoli di Sconcerti sulle regole da non applicare e la giustizia ingiusta quando tocca a noi. Altri mille tweet di Varriale che ci spiegano come deve ragionare uno juventino.
E per noi, che oggi non ci stiamo rendendo bene conto, ma in futuro sì e allora rideremo, sì, rideremo di tutto questo, e non la smetteremo più.
Il Maestro Massimo Zampini.