I numeri sono freddi, non sempre spiegano tutto, ma, almeno, hanno il pregio di dare l’esatta dimensione di quello cui si sta assistendo. Ed è proprio per i numeri che la versione italiana del sito della Uefa Champions League ha ritenuto opportuno dedicare la copertina alla Juventus che, con la vittoria sul Bologna, ha sbriciolato l’ennesimo traguardo: del resto, 26 vittorie interne consecutive, pur nel disastrato e (talvolta ingiustamente) vituperato campionato italiano, non sono qualcosa che passa inosservato. E, allora ecco rispolverati dati e statistiche dell’ultimo quinquennio in bianco e nero con cifre che, per quanto già snocciolate fino allo sfinimento, fanno comunque impressione: chi volesse, può tranquillamente andarle a leggere qui.
A quei pochi che, invece, sono rimasti su questi lidi, sulla scorta dei venticinque lettori di manzoniana memoria, mi piacerebbe sottoporre una riflessione che mi frulla in testa da un pò, tra uno sguardo sempre preoccupato alla lista infortunati e un altro alle questioni tattiche e di campo che non troveranno mai concordia: qual è la nostra reale capacità di giudizio di questa squadra? E, soprattutto, abbiamo mai realmente compreso quello che questa squadra ha fatto nell’arco di tempo che passa da un Bologna all’altro?
Nella chat di Juventibus il dibattito è perenne e mi piacerebbe davvero che tutti ne faceste parte da spettatori per farvi rendere conto che non siamo poi così diversi da voi che ci leggete. Ci sono il sottoscritto e un altro paio di nuove leve (che i grandi vecchi non esitano a definire “giovani e fin troppo nerd”: vedendoci benissimo in entrambi i casi) che, pur non disconoscendo il valore e la portata dei risultati conseguiti, vorrebbero sempre quel quid in più: un gioco più fluido, una mentalità più europea (qualunque cosa questa affermazione significhi), una squadra che non si fermi a gestire una volta sbloccato il risultato, avendo più di un elemento in grado di dominare la partita qualitativamente e fisicamente. E, poi, ci sono i “bonipertiani”, quelli che “vincere è l’unica cosa che conta” (soprattutto in un periodo di forma fisica ondivaga), del “se ne parla a marzo quando saremo in forma”, del bicchiere sempre mezzo pieno anche dopo gare come quella di Genova (“lo schiaffo che ci serve”). Talvolta si riesce a mediare e trovare un compromesso, più spesso ciascuno resta ancorato sulle proprie posizioni, convinto che siano per forza di cose quelle giuste. Anche se poi, alla fine, si finisce sempre lì, al dove eravamo (sei anni fa) e dove siamo (oggi) tra record, numero e qualche rimpianto, soprattutto europeo.
In mezzo, al di fuori del nostro microcosmo e del mare magnum di 14 milioni di tifosi, ci sono anche gli estremi(smi) del “va sempre tutto bene” (non è vero) e/o del “va sempre tutto male” (non è vero, bis) a seconda di ciò che c’è scritto sul tabellone al triplice fischio finale. E, in un caso o nell’altro, comunque si cade nell’errore di dimenticare (non voglio nemmeno considerare l’opzione di sottovalutare: sarebbe un chiaro esercizio di malafede) tutto ciò che è stato da un Bologna all’altro. Quindi una serie incredibile di vittorie consecutive, qualcuna fin troppo sofferta, qualcun’altra fin troppo facile, qualcuna oggettivamente brutta, qualcun’altra troppo bella per sembrare vera, di certo tutte importanti per (ri)scrivere la storia di una squadra incontentabile perché incontentabili siamo noi che la tifiamo.
Ciascuno avrà una sua personale graduatoria, così come ciascuno si sarà fatto una sua idea di questa Juventus: che potrebbe giocare meglio, che potrebbe fare di più, che potrebbe non aver ancora sfruttato al massimo uno tra i centravanti più forti del mondo dopo non aver (forse) sfruttato al massimo uno di quelli più promettenti del mondo (entrambi, comunque, hanno lasciato il segno nei due Juventus-Bologna che aprono e chiudono questa striscia) e che potrebbe correre il rischio di restare una grande incompiuta se le cose non andassero come dovrebbero. Di certo, però, qualunque sia la vostra (e nostra) posizione non bisogna mai dimenticarsi quello che è stato fatto fino ad oggi: soprattutto quando, a serie interrotta (e potrebbe anche capitare contro l’ostica Lazio di questa stagione, prossima avversaria allo Stadium), subentreranno rabbia, malcontento, insoddisfazione per la non corrispondenza tra aspettative estive e prova del campo, il prendersela con Allegri per la formazione iniziale e i cambi e tutti gli altri #moriremotutti di prammatica cui siamo abituati. Perché tutto è perfettibile, perché è giusto ambire all’eccellenza assoluta quando è stato già fatto qualcosa di grande, perché una critica costruttiva e argomentata a volte è meglio dell’elogio sperticato a prescindere o del pessimismo cosmico a oltranza: ma, nel caso, converrà ricordarsi il vero motivo per il quale ci permettiamo di eccepire anche di fronte a un gruppo così. Ovvero queste 26 vittorie consecutive che, invece di appagarci, ci fanno pretendere sempre di più e sempre meglio. Che lo si raggiunga o meno, poi, è questione di dettagli.
Claudio Pellecchia.