Massimo Zampini
Gli juventini di Roma (traditori e rinnegati) lo sanno: da quando sono piccoli, devono ascoltare alcune tiritere insegnate in famiglia di generazione in generazione. No, stavolta niente Turone; anche se ci pensate provinciali, dalle nostre parti abbiamo anche filastrocche di carattere internazionale.
“In Europa non ci sono arbitri italiani, per questo non vincete” e giù risatina e una serie di improbabili dati storici sulle ammonizioni di Chiellini, i falli di Barzagli, il rapporto tra i falli laterali provocati dai rinvii di Bonucci da noi e all’estero e così via.
L’assunto è fondamentale per dimostrare quello che ogni bimbo deve sapere: non siamo noi che perdiamo, sono loro che rubano. In Italia, perché fuori non possono.
Decisivo, affinché il concetto si tramandi senza ostacoli, che nessuno dia un’occhiata all’albo d’oro; sarebbe spiacevole scorgere tra le squadre italiane che hanno vinto almeno una coppa europea, oltre alle solite tre, il nome di Napoli, Fiorentina, Sampdoria, Parma e Lazio ma non quello della propria squadra. Non importa neanche che si vincano in Champions 3 partite su 25, la tesi non va comunque messa in discussione e addirittura capita che in un’intervista post Rocchi alla Gazzetta, il prode Morgan De Sanctis irrida i risultati europei dei bianconeri tra gli applausi di molti tifosi, convinti davvero che il campionato si possa falsare alla quinta giornata. Mentre in Europa…
La contestualizzazione, un po’ lunga ma necessaria, serve per arrivare al preliminare di Champions, in cui la Roma, in due partite, subisce un calcio di rigore, tre espulsioni e un totale di 4 gol a 1: dati che ovviamente non dimostrano nulla – se non una serata nera – ma chi vive da queste parti sa bene che, se la Juve venisse eliminata dal Porto con 3 espulsioni e un rigore, e in Italia intanto collezionasse tre rigori in due partite, avrebbe lo smartphone intasato da chiamate, messaggi, tweet, audio, foto, video, meme e post di amici pronti a sottolineare l’ennesima inconfutabile dimostrazione della filastrocca appresa in fasce: “stranamente (avverbio chiave, ndr) in Europa certi falli non te li perdonano, mentre in Italia se andate avanti con questa media arrivate a 57 rigori in campionato…”, giù di risatina e così via.
Poi però mi dicono che ce l’ho con la Roma e allora esco dal tema con un indovinello. Se dieci, quindici o vent’anni fa (scegliete voi) vi avessero detto: “nell’estate del 2016 ci sarà una squadra che cambierà allenatore a pochi giorni dall’inizio del campionato, farà impazzire i propri tifosi spendendo in un giorno 70 milioni di euro, presenterà un nuovo acquisto pomposamente allo stadio ma si troverà con un punto in due partite dopo avere affrontato Chievo e Palermo” sareste mai riusciti a indovinare di chi si sarebbe trattato?
Poi però mi dicono che ce l’ho con l’Inter e allora penso a Sarri che in conferenza stampa davanti a qualche amico convocato per l’occasione se la prende con il caldo di agosto, in campo si fa espellere e chiede attonito “che cosa ho fatto?”, ben consapevole di non essere tipo da lasciarsi scappare una parola di troppo. Poi, di sera, tutti sotto un hotel ad aspettare Cavani, e così via fino alla prossima conferenza con gli amici.
Poi però mi dicono che ce l’ho col Napoli e, proprio mentre scrivo questo post, mi accorgo che non è giusto ironizzare sui supporter di una sola squadra: che meraviglia infatti le lamentele complottiste di tifoserie assortite per la possibile assenza di Berardi con la Juve, che mi riportano alle indimenticabili polemiche per la mitica esclusione strategica di Paulinho e Greco, facendomi anche scendere qualche lacrima di commozione per quei magici tempi andati, forse irripetibili.
Poi però mi dicono che ce l’ho con tutte, il pezzo deve pur finire e non ho ancora scritto una riga sulla Juve, che un paio di volte l’anno (ultimamente tre, fa un salto pure a fine maggio) viene a trovarmi a Roma e io per ricambiare il favore vado a incoraggiarla allo stadio portando diverse migliaia di amici che ormai occupano anche pressoché l’intera tribuna Monte Mario. Gioca senza Higuain, Pjanic, Bonucci, Marchisio, Matuidi, Witsel, Herrera, Luiz Gustavo, Fabregas e Sissoko (Moussa e Momo) e vince con un altro gol di Khedira, non male per uno che “davvero pensate che il Real lasci andare via a zero un giocatore di calcio?”. Non è brillantissima ma più passano i minuti e più diventa padrona del gioco, con il grande esordio di Benatia, i big non ancora pronti in panchina e un ragazzino che in cinque minuti fa già capire che vuole sfruttare ogni secondo a disposizione.
Tutto questo, nel giorno in cui Zaza viene se ne va e, come ogni altro partente, da Padoin a Pogba, viene salutato dalla società (e da gran parte dei tifosi) nel migliore dei modi, con tanti ricordi e un ringraziamento per il contributo offerto. Senza astio, senza nostalgia, sennò saremmo come gli altri.
Poi però mi dicono che racconto sempre le stesse cose, sulle altre e sulla Juve, e in tutta sincerità non riesco proprio a contraddirli.