Dalla “moviola in campo” a Commisso: breve storia del racconto del calcio in Italia

L’ennesima domenica delirante, con lo show senza contraddittorio di Commisso, i tweet di conduttori e cronisti, i titoloni avvelenati per un 3-0, mi ha fatto pensare a come il calcio sia stato raccontato in Italia da quando lo seguo.

Gli anni che non ho vissuto non li posso raccontare, se non per qualcosa arrivato anche a noi nati successivamente: la Juve del quinquennio, il grande Torino, Sivori e Charles, l’Inter di Herrera con le punizioni a foglia morta di Mariolino Corso, il Milan di Rivera e Rocco, il chiacchierato potere di Allodi, il 9-1 della Juve contro l’Inter dei giovani perché i nerazzurri –pensate un po’ come cambiano i tempi- volevano la vittoria a tavolino, lo scudetto della Lazio i cui giocatori litigavano sempre e così via. Sembrava divertente, tutto sommato.

Poi è toccato a noi goderci in diretta il racconto del calcio da parte di media e protagonisti.

Da qui ricordo tutto perfettamente.

Tutto comincia con Turone, mio mentore, e con lui i processi del lunedì, movioloni, righelli. 30 partite di campionato della Juventus, 30 della Roma, gol, errori, squalifiche (come Bettega per quello Juve-Roma), espulsioni (come Furino in quello Juve-Roma), pali, infortuni, giornate storte: tutto cancellato. Non ne sappiamo nulla: sappiamo solo del gol di Turone. Non sappiamo ancora se fosse regolare, ma lì comincia la nuova era del racconto del calcio in Italia: si sceglie un episodio, moviolone infinito, riduzione a quello dell’intero campionato. Stop.

I viola capiscono che lo schema funziona e l’anno successivo ripetono la formula con un gol annullato a Graziani per fallo di Bertoni sul portiere e soprattutto con Brady, che segna un rigore concesso per il più clamoroso fallo di mano sulla linea di porta che si ricordi. Moviolone, processi. 30 partite della Juve, 30 della Fiorentina, gol, errori, eccetera eccetera ma diventa il campionato del rigore di Brady, tanto man mano sfumano i ricordi e diventa dubbio pure quello.

Per fortuna arrivano Maradona, Zico, Platini, Rummenigge, Junior, Falcao. La serie A è uno spettacolo e per un po’ ce la godiamo così: anni d’oro, come ricorda bene chiunque li abbia vissuti. Eppure, ormai si è capito, alle polemiche non si rinuncia più: così, a circa 5 anni di distanza dall’episodio, la Rai ci propone il telebeam (un moviolone con nuovi mezzi) del gol di Turone. Zeffirelli, se può, spara contro la Juve e viene condannato per diffamazione. Belle, le punizione di Platini, Zico e Maradona, ma ormai gli arbitri sono protagonisti assoluti: il lunedì sera si discute di episodi arbitrali, con toni sempre più concitati.

“Ci vuole la moviola in campo!”.

Quella di Aldo Biscardi sembra una boutade per fare ascolti, una crociata senza senso (“sì, e poi le partite quanto durano? E chi decide?”), ma diventa uno slogan gridato di volta in volta da chi perde e si sente danneggiato. Ci vuole la moviola in campo!

La Juve torna a vincere, in Italia e in Europa, ed ecco il proliferare dei moviolisti di professione, le cui simpatie e antipatie calcistiche, intuibili facilmente lì per lì, emergeranno poi in tutta chiarezza quando saremo sommersi dai social.

Iuliano su Ronaldo e anche qui vatti a ricordare: ma era meglio quella Juve di Lippi o quell’Inter di Simoni? Come giocassero quelle due squadre è ricordato poco da tutti. Ronaldo era fantastico, Del Piero non era da meno, Djorkaeff una buona spalla, Zidane, Davids, Inzaghi e compagnia erano campionissimi; in Europa fecero grandi cose tutte e due (Uefa all’Inter e Juve sconfitta solo in finale di Champions dal Real: anzi, a proposito di episodi…). Niente, tutto sparito: polemiche, disgusto, vergogna. Il calcio evapora, si parla solo di arbitri, anche tra tifosi svanisce il piacere di confrontarsi e sfottersi su giocatori e partite.

Per chi perde, ovviamente, questo sistema è una manna: Moratti spende e spande, vende Roberto Carlos e lo sostituisce con una serie di carneadi, dà a Recoba più di quanto guadagna Zidane. In quegli anni vincono Milan, Lazio, Roma, ma lui ha l’alibi perfetto a vita.

Basta, ci vuole la moviola in campo!

Tralasciamo gli anni di Calciopoli, sennò non finiamo più. Quando la Juve torna a vincere, non perde una partita, vive nell’area di rigore avversarie eppure ha solo un rigore a favore fino alle ultime giornate di campionato; i rivali del Milan ne hanno un’infinità, di cui alcuni grotteschi (imperdibile quello poi segnato da Ibra nel derby alla penultima) ma questo è l’anno del gol di Muntari.

Tra tifosi si parla di questo: ci vuole la goal line technology, non solo la moviola in campo.

E la goal line technology arriva, ma di gol annullati alla Juve grazie a lei non si ha ricordo. Gli alibi cominciano a diminuire, che si fa?

Ci vuole la moviola in campo!

Sono anni zeppi di eventi tragicomici. Il Milan, negli anni successivi, arriva a contestare ufficialmente sul proprio sito la correttezza delle linee tracciate telematicamente per un gol di Tevez, prediligendo la ricerca dell’alibi rispetto a secoli di studi matematici e geometrici sulla “prospettiva”. La Roma si lamenta in autunno e a maggio arriva a 17 punti di distanza.

Vale tutto, ormai: il racconto del calcio è sempre più misero, teso a cancellare i meriti di una società sconquassata e mandata in B e tornata a dominare con lavoro, impegno, progettualità.

Ci vuole la moviola in campo.

Poi, involontariamente comico, ogni tanto arriva un reportage su qualche giornale: cosa manca al calcio italiano per raggiungere quello inglese? Perché abbiamo stadi vuoti, perché i cori solo contro i rivali, ma perché non siamo così attraenti?

Chi lo sa, eh, vallo a capire!

E finalmente arriva, la moviola in campo, sotto forma di Var, anche se il povero Biscardi non fa in tempo a vedere realizzato il suo sogno. I tanti suoi eredi (gran parte dei media e dei tifosi italiani) gongolano: finalmente ci siamo.

Il bello della sceneggiatura è che all’inizio la Juve perde e l’Inter vince: vedete, ora, con il Var? Non solo: a noi vengono dati rigori contro con l’attaccante in fuorigioco, agli avversari dei nerazzurri vengono negati penalty per uno sgambetto di Skriniar che si vede pure live e bendati, figuriamoci con la moviola. Un paradiso!

E noi li avvisiamo: guardate che il Var vi andrà bene solo se vincete, sennò sarà l’ennesimo strumento utilizzato dal potere. “Ma no, ora è cambiato tutto e già si vede”. Rigore negato a Mandzukic, il croato protesta, espulso. Bella, la moviola in campo, il Paese è finalmente sulla via della rinascita.

Senonché il regista ci sa fare e alla fine, colpo di scena, non solo vince il cattivo, ma trionfa proprio tra le polemiche in una partita tra Inter e Juventus, con il Var protagonista di espulsioni date e non date, ritorno delle lamentele eterne e il gran finale: “all’inizio veniva usato bene, perché poi è stato utilizzato male?”.

Non basta, passano gli anni e la polemica cambia: perché troppo spesso non si ricorre al Var? “Gli arbitri non vanno più al monitor, si sono ripresi il potere. E lo so ma i regolamenti dicono che devono andarci solo in caso di chiaro ed evidente errore! “Ma dai, tu intanto valla a vedere, poi decidi come ritieni, a quel punto niente da dire”.

E così arriviamo a Juve-Fiorentina, che finisce 3-0, in cui si discute il rigore del 2-0 a dieci minuti dalla fine (cioè il nulla, per chi abbia visto una partita di calcio) e l’arbitro che fa, per evitare polemiche? Se lo va a rivedere al monitor, proprio come volevate voi, che sognavate la goal line tecnhology e la moviola in campo. Va e decide di confermare la sua decisione.

Goal line, Var, corsa al monitor per controllare. Basta polemiche, finalmente?

Non scherziamo, perché Commisso è qui da poco ma una regola gliel’hanno spiegata subito: se si inventano un rigore contro decisivo alla prima giornata, lascia stare. Ma se arriva un rigore dubbio del 2-0 a dieci minuti dalla fine contro la Juve, scatenati. Avrai le porte aperte senza contraddittorio per decine di minuti anche sulla Rai. E non importa se citi Napoli e Inter, quella parte verrà dimenticata.

E se un dirigente della Juve ti risponderà, tranquillo: sarà bacchettato lui per l’arroganza (“osa rispondere proprio lui?”), non tu che dici di essere disgustato per il nulla.

Perché da noi chi crea veleni è chi dice che il campionato è regolare, non chi grida di essere disgustato per il rigore del 2-0.

Così si va avanti aggiungendo strumenti per diminuire le polemiche e non capendo che possiamo pure inventarci l’arbitro robot ma l’alibi è fondamentale per avere i propri tifosi dalla tua senza fare nulla, ma proprio nulla, per avvicinarti e migliorare il campionato: niente stadio, niente seconde squadre e così via. Fermi a protestare.

E io non lo so come mai siamo diventati così poco attraenti a livello mondiale, con gli stadi semivuoti, un tifo spesso poco sano e divertito.

Ma so che questa è la storia del racconto del calcio in Italia da quando sono nato e, mi scuserete, sarei stupito del contrario.

Il Maestro Massimo Zampini.

Il rigorino da spiegare ai nipoti

Da qualche anno a Firenze, di pari passo con una lunga serie di campionati mediocri della Viola, la rivalità con la Juventus sembra annacquarsi, al punto che, oggi, le settimane di passione che una volta accompagnavano la vigilia della sfida, si sono ridotte all’arco di poche ore di canti di battaglia. Ma basta un rigorino a far tornare a suonare le antiche trombe a pieni polmoni, figurarsi due. La giornata comincia con un decano del giornalismo fiorentino, penna superba e uomo di grande equilibrio e di pacata vocazione cristiana, che non appena comincia a parlare di pallone dimentica il consueti buoni sentimenti. Per regalarci, sui social, una perla da annali:

«Oggi Juventus-fiorentina. Tre clic. Uno: Ronaldo guadagna più di metà squadra viola. Due: in settimana la Fiorentina ha dovuto giocare anche mercoledì, loro no. Tre: da mezzo secolo un errore arbitrale è stato sempre a favore della Juventus mai dei Viola. Come faccio a spiegare ai miei nipotini oggi che questo è sport?».

Firenze comincia sotto i migliori auspici, del resto il complottismo è la cifra di una tradizione. Così, quando allo Stadium inizia la partita, nel gabbiotto dei viola non servono molti minuti per trovare la scusa buona per il solito coro. Agli ultras fiorentini, guidati da un gruppo di venticinque eroi che il primo di febbraio, nella fredda Torino, cantano a torso nudo (e, va detto, surclassando i silenziosi spalti bianconeri), basta un fallo laterale dubbio chiamato a Federico Chiesa, perché comincino a intonare il loro coro preferito: «Sapete solo rubare!».

A fine primo tempo arriva il primo rigore. Ed è talmente evidente che i giocatori viola neppure circondano l’arbitro Pasqua per cercare di condizionarlo. Talmente evidente che tace persino il telefono di un gobbo di Firenze, che di solito s’illumina di messaggi per rammentagli il suo atavico vizio per la cleptomania. Nella ripresa, ecco il casus belli, un secondo rigore, stavolta meno netto, ma che – a prescindere dalle diverse interpretazioni – può dirsi legittimo, può dirsi sbagliato, ma non può certo dirsi assurdo. In campo, gli uomini della Fiorentina protestano duramente. Dalla rete, il solito decano del giornalismo offre un suo punto di vista sfumato, quasi crepuscolare:

«Siete il potere senza regole, senza umanità, senza rispetto per chi è meno bravo di voi perché più povero».

Inutile tentare di rammentare che, se anche un rigore può essere dato per errore alla Juventus, non è la Juventus a fischiarlo. Meglio sorvolare e ascoltare Rocco Commisso, l’uomo che quando è arrivato a Firenze ha annunciato di voler portare in Italia un nuovo modo di vivere lo sport, senza risentimenti, con allegria, leggerezza:

«Sono disgustato. L’Italia si deve guardare questo schifo di arbitraggio…».

Insomma, il rigorino ha risvegliato il can che dormiva, con l’abbaiare che prova di far passare in sordina il fatto che di gol la Fiorentina ne ha presi tre, senza farne neanche uno. Ma prima che qualcuno provi a ricordare il dato oggettivo, ecco che un’altra nota penna della stampa fiorentina, anche lui uomo di grande equilibrio e sportività finché non si parla di pallone, mette in pratica uno dei principi cardine di ogni buona teoria del complotto: non ne basta mai uno, meglio raddoppiare. Come?

«Comunque c’era anche fuorigioco di Rabiot sul primo rigore, visto che impalla Dragowski».

Ci sarà da aspettarsi qualcosa anche sul terzo gol? Vedremo. Intanto, tra lamentele, urla e strepiti, c’è almeno chi, pur sentendosi comunque derubato, non dimentica che Firenze non è nota solo per le congiure, ma anche per una sana, piacevole ironia. Così, un giovane cronista fiorentino riesce a strapparci un sorriso:

«E non è finita. Se Iachini si scorda di spenger la luce nello spogliatoio prima d’andar via, gli danno un altro rigore verso un quarto alle quattro».

Giulio Gori.