DOPO JUVENTUS-GENOA/ Perché sognavate un giocatore così e perché il Bayern fa più paura

Della tredicesima importa fino a un certo punto. Con un Napoli del genere, che appunto sta davanti a una squadra che infila il filotto dei record (Mancini 2006/07 con i nostri giocatori dateci il diritto di ometterlo), c’era a prescindere un solo risultato possibile. Ed è questo, nel turno infrasettimanale di una settimana sulla carta troppo facile, a rendere ancora prima del via Juve-Genoa più importante di Juve-Napoli. Perché a quell’altra partita è probabile che ci si arrivi con due risultati su tre accettabili se la distanza resterà dentro il fatidico margine allegriano dei due punti.

Non è stata una passeggiata, quanto piuttosto una mezza ecatombe di sospiri, spergiuri, dita incrociate e maledizioni. Ed è in queste partite qui che ci si ricorda, come illuminati sulla strada di Gerico, del perché nemmeno tanto tempo fa ci si ostinava a immaginare quanto sarebbe stato utile, necessario, salvifico un giocatore che a volte sappia andare per conto suo. Con il cervello prima che con le gambe, perché a catechizzare giocatori paranormali nel modo di intendere spazi, tempi e rapporto con il pallone ci pensa poi il gruppo squadra. Ovvero l’ambiente e l’aria che gli tocca respirare. Ovvero, per chi non lo avesse inteso, Juan Cuadrado.

E potrebbe non essere un caso che la ragguardevole, gigantesca, prestazione del colombiano dal volto spigoloso e dalla chioma afro arrivi proprio nel collasso estetico generale (mica vi preoccupate di questo, no? Dentro tredici più tre di coppa ce ne va fisiologicamente una su cinque che devi portare a casa con un celato senso di frustrazione rispetto a ciò che avevi in testa di fare). Cioè nell’antipartita così come l’immaginario collettivo idealizza le partite allo Juventus Stadium (a proposito: facciamo in modo di riempirlo pure quando gli abbonati fuori regione non possono venire in soccorso della squadra, inventatevi qualcosa…). Che poi dentro l’antipartita, quando accade, ci sia sempre il nome di Barzagli tra gli MVP ormai è legge. Benedizione in vista anche del nuovo, ennesimo, sfortunato, brutto infortunio patito da Caceres. Se è vero che è l’uomo da Fiesole il maestro da cui Rugani apprende, che lo si metta anche in stanza assieme. Perché Barzagli non scivola mai e se scivola se ne accorge ancora prima di scivolare. Perché Barzagli non rincula per partito preso. Perché Barzagli non tremava da sbarbato neppure ai mondiali contro Shevchenko. Esempi e ricordi che propongo qui soltanto come monito, anche se le nuove emergenze davanti e dietro invitano al ritorno, mai imprevisto, alla difesa a quattro (brividi? scherzate?) e posso portarmi avanti addirittura al 4321 che vedemmo contro l’Atalanta con Pereyra e Pogba dietro a una punta. Sfiatare adesso le delicate bombole di Morata e Dybala non mi pare proprio il caso.
La coda lunga della partita però sta altrove, se è vero che in bocca c’è il dolce e c’è l’amaro. Il tarlo è trovare la risposta a perché la Juve ha sofferto questo Genoa. In realtà, la risposta potrebbe anche poco interessare, se non fosse che si è visto qualcosa che fa riflettere in chiave Bayern. Gasperini che ha fatto? Semplice: ha presso la sua carica di materiale grezzo e ha chiesto loro di occupare il più possibile la nostra metà campo in quantità. Quantità di uomini. Lo fa anche Guardiola. E Ntcham (che ha fatto quello che Spalletti aveva inizialmente pensato per Nainggolan salvo ricredersi nella rifinitura: a uomo su Marchisio) non è proprio Thomas Müller, anzi un mix tra il Boateng più grezzo e il Patrick Mboma dei tempi di Cagliari soltanto 15 metri più indietro. Onesto, ma non propio il massimo della vita. E ve lo dico: nonostante i miei prossimi auspici (motivati sopra) contro i bavaresi la differenza non la farà il sistema di gioco. Bensì, temo, la gara di ritorno. Che poi, proprio per non temerla troppo, penso tutti questi mesi con Allegri e la carrellata delle migliori partite della Juventus quasi tutte in trasferta. Sia in Italia che in Europa.