DOPO Milan-Juve 1-2: come la voleva vincere Allegri e come la volevano vincere i tifosi

La Juve parte e chiude forte. Come voleva Allegri, allenatore di “momenti della partita” (cit.). Solo che parte addirittura esagerata, almeno per come si gioca in Serie A, torneo in cui i momenti sanno più o meno sfruttarli anche gli avversari. Una punizione, un calcio d’angolo, una dormita, un po’ di falli qua e là. Neanche momenti, ma micromomenti. Il Milan li ha raccolti e poi non li ha poi portati a casa. Neppure questa volta. Allegri, nome che è una nemesi assoluta ormai alla pari delle cinque lettere che compongono il cognome del centrocampista bresciano partito per l’America, ha dato la sensazione di volerla vincerla diversamente salvo poi entrare dentro lo spirito della partita, adeguandosi. E’ il suo più grande talento, dopo il calcio in campo aperto (quello contro cui Guardiola ama voler concettualmente giocare, mannaggia a lui che lì ci aveva visto male).

 

Perché il mister voleva vincerla picchiando sui macroscopici difetti di assetto dei rossoneri nonostante il loro 4-4-2 scolastico sia costruito proprio per nasconderli. Cioè due uomini vicini ai loro due centrali dietro (proprio ciò che ha portato al pari!) e slancio con le mezze ali che prendendo campo alle spalle di Kucka e Montolivo avrebbero avuto praterie e tempo per pensare come imperversare. Qui è andata diversamente: Marchisio s’è perso nel calcio posizionale a cui è abituato da tempo, forse troppo, e Pogba è stato infastidito da una marcatura uomo ormai rara utile in fondo solo a farlo ulteriormente crescere, vedi secondo tempo e processo della sua carriera. Mezze ali che avrebbero dovuto anche consentire lo sfondamento sistematico su Abate e Antonelli grazie al gioco a due con Lichtsteiner e Alex Sandro.

 

Ecco spiegato perché lo svizzero chiamato così alto, ingannato in parte anche dalla buona idea di Mihajlovic di portare dentro il campo gli esterni alti contro ogni pronostico da lavagnetta (per fortuna Allegri a gara in corso guarda anche un po’ il campo, concedendo a Marchisio porzioni nuove nella ripresa e alzando il baricentro dei due difensori a lato di Bonucci). Cioè: Sandro può anche partire da più lontano mantenendo qualità, Lichtsteiner per incidere offensivamente deve avere propulsione minore. Questa eera l’idea. Senza paura di Bonaventura e Honda in sostanza. Rischiando. Destino vuole che proprio con i micromomenti e i microcampioni la si vada a vincere: una spintarella, una distanza da far rispettare, un controllo, una sporcata collo piede in terra come solo Sandro Tovalieri sapeva fare e Pogba suggella un secondo tempo che in pochi sanno concedere dopo essere rimasti ai margini. Tra l’altro il suo primo in quello stadio, ancora Scala per una notte. Quei pochi, che sono pochissimi, in quel ruolo bisogna andarli a prendere dal passato.

 

Poi ci sono i tifosi. Loro avrebbero voluto vincerla come la vinse Lippi contro Sacchi proprio a San Siro, nell’immaginario ideale. Poi invece c’è il concreto, al quale il tifoso medio bianconero riesce a restare sempre ben ancorato nonostante i rischi di onnipotenza che un ciclo di questo genere possa arrecare. Al che il desiderio si era trasformato. L’idea era di vincerla esattamente così. Con un Balotelli da trollare, un Buffon da non finire mai di raccontare, un Rugani da solidificare dentro quella maglia e quei colori, un Morata da strofinare e un onore ai perdenti da rendere con un accorato applauso (ave Cesare Maldini). Tutto nel nostro e vostro stile.

 

Adesso è come se la partita di Monaco di Baviera fosse al minuto 84, senza che nulla sia successo. Ancora 0-2. Ma con Lewandowski fuori perché ha sbroccato di frustrazione. Sei minuti più recupero ancora per fissare una nuova epica del calcio. Sei minuti lunghi come sei partite. Consapevoli che puoi fare il terzo per chiuderla ancora prima. Mannaggia alla Champions. Ma l’Italia e la storia infinita, anche per il tenore delle bocche avversarie, vengono ancora e sempre prima. Ce ne si accorge ogni anno troppo tardi.

Luca Momblano