Douglas Costa a Valencia, si o no?

Nei giorni in cui il caso Douglas Costa detta l’agenda mediatica, tanto più in attesa delle decisioni del giudice sportivo, il tifo juventino si divide sull’opportunità o meno di comminare un’ulteriore punizione al brasiliano, che vada ben al di là della multa. Ma l’esclusione volontaria del brasiliano per una o più partite di Champions servirebbe davvero a qualcosa? Due autori hanno discusso sull’opportunità che DC11 parta per Valencia insieme alla squadra in occasione del debutto stagionale in Europa.

Leonardo Dorini

A mio parere, Douglas Costa dovrebbe non essere convocato per la partita di mercoledì a Valencia; per lui dovrebbe valere la sanzione dell’ormai famoso “sgabello”, in versione 2.0

Questo per alcuni motivi:

1) per dare un messaggio immediato e chiaro che queste cose non si fanno, e per darlo prima ancora del responso della squalifica ed indipendentemente da esso;

2) per affermare il ruolo della Società in un caso dove non è in gioco un tema specifico, di carattere agonistico o regolamentare, di rapporti fra giocatori o con il mister, ma un fatto grave che coinvolge il “come si deve stare in campo in un grande Club come la Juventus”;

3) per non lasciare tempo in mezzo, per evitare ulteriori polemiche, chiudendo sul nascere le già stucchevoli polemiche riguardo “lo stile Juve”.

Si tratterebbe di una scelta severa, ma necessaria, affinché non si ripetano questi fatti: la Juve aveva già preso questa decisione in una partita ben più delicata di quella di mercoledì (che è pur sempre il primo turno di una fase a gironi) e per un fatto (quello riguardante Leonardo Bonucci) grave, ma molto meno simbolico, appariscente e significativo di questo.

Claudio Pellecchia

Per una volta non sono d’accordo con Leonardo. In primis nel parallelismo con quanto accadde con il suo omonimo Bonucci a Porto: allora si trattò di una potenziale e gravissima delegittimazione di Allegri (che infatti arrivò a minacciare le dimissioni) di fronte al resto del gruppo, con la società quasi obbligata a prendere la decisione (giusta) che sappiamo. Fortunatamente senza conseguenze sul campo.

In questo caso, invece, il giocatore pagherà già con una lunga squalifica e con una multa (come è giusto che sia) una situazione del tutto personale, inaccettabile per gestualità, modalità e tempistiche (sempre meglio ribadirlo), ma scissa dalle dinamiche interne di una squadra in cui ha già dimostrato di essere perfettamente inserito tecnicamente e umanamente e che, soprattutto, rappresenta e rappresenterà un unicum. C’è già l’ assenza di precedenti in carriera e la professionalità dimostrata nei suoi anni in Europa a dire che un episodio del genere non si ripeterà: non è necessario continuare a “infierire”, cedendo agli impulsi primitivi e giustizialisti di un paese dominato, anche in ambiti ben più importanti del calcio, dal populismo d’accatto e dal benaltrismo giustizialista.

Non serve dare altri esempi o messaggi – che poi quale ulteriore esempio servirebbe? Ci sarà una sanzione cui la società si adeguerà, probabilmente senza nemmeno fare ricorso a fronte di probabili 3/4 giornate di stop: accettare una punizione senza scadere nel vittimismo sarebbe un più che discreto segnale in considerazione dei tempi – in un contesto dominato da personaggi rivedibili, che più che di esempi e messaggi (di cui, comunque, non riuscirebbero a cogliere il significato e la portata simbolica) avrebbero bisogno di una robusta scolarizzazione.

Cui prodest, nell’Italia calcistica dei faccendieri, dei mestieranti, dei dilettanti allo sbaraglio, una punizione interna atta a tenere fuori il nostro miglior giocatore più del tempo necessario? La risposta è semplice: a nessuno oppure a tutti, nella misura in cui i media, i tifosi avversari, gli addetti ai lavori e tutti gli altri componenti della macchina del fango troverebbero comunque qualsiasi altro pretesto per continuare a infamare, insinuare, polemizzare, delegittimare.

Così come è semplice intuire chi ne uscirebbe danneggiata comunque da questa storia: la Juventus, già brutta, sporca e cattiva di default e che non ha perciò bisogno di ulteriori e inutili tafazzismi che assecondino un sistema che ubbidisce alla famosa legge del “purché se ne parli”. Male, ovviamente.

Si tratterebbe di un gesto che questo paese dalla cultura sportiva terzomondista non merita, oggi, domani o fra cinquant’anni. Che Douglas Costa giochi a Valencia. E ci faccia vincere. Come ha già fatto. Come continuerà a fare. Di ciò che potrebbero dire, fare, pensare (?) gli altri non dobbiamo interessarci, soprattutto in considerazione del livello medio e del relativo issarsi su un pulpito per fare la morale a DC11 o a chiunque altro: nullo, in entrambi i casi. Ma lo sapevate già.