Ho un amico, juventino, con cui parlo spesso di calcio e mercato. Era contrario a Sarri (bravo ma non per noi) a Ramsey (sempre rotto), Rabiot (lento!), de Ligt (ottimo ma 80 milioni li spendo in mezzo), Spinazzola e Kean (incedibili!).
Il mio amico subisce “coltellate” dai tempi di Zidane, ma non insulta la società, è riconoscente e si gode ogni vittoria, ma ora con occhi increduli mi chiede: “Assurdo Dybala-Lukaku! Dì qualcosa! Eri dybalista convinto! Lukaku che c’entra con Sarri? Spiegami tu perché a me sembra una cazzata!”.
Non SO cosa rispondergli. Non ci si può limitare a “non conosciamo motivi e logiche dall’interno, se lo fanno hanno le loro ragioni“. Per cui gli rispondo imbarazzato “Non lo so, vediamo…“.
Dentro di me pero’ mi appello, come capita nei casi di scelte incomprensibili, alle 4 C.
1. COMPETENZA
Paratici ha scelto Dybala
dopo 1 anno in A col Palermo. Lo ha pagato 40 milioni, allora
l’acquisto più costoso di questo ciclo. Paratici ha scommesso sull’erede
di Tevez, fidandosi ciecamente. Dopo 1 anno Dybala è
diventato inamovibile, dopo 2 anni, a 23 anni, la Juve lo ha reso il 2°
giocatore più pagato e gli ha dato la “10”. La Juve ha costruito squadra
e brand su Dybala. Negli ultimi 18 mesi l’involuzione, le cui colpe in
%, a lui o ad Allegri, lascio ad altri. La Juve ha preso Sarri, invertendo la filosofia tattica con un mister che ha da subito speso parole importanti per Paulino.
Paratici era più “dybalista” di tutti noi. Se valuta la sua cessione
tra gli 85 e 100 milioni DEVE esserci una logica e una valutazione
complessiva del giocatore, sotto l’aspetto tecnico, tattico, mentale.
2. CONTI
La Juve fattura al netto delle plusvalenze 400 milioni. Meno della metà di club con cui ci poniamo in lotta per l’obiettivo UCL. Per competere contro chi fattura il doppio ha scelta una sua precisa strategie in questi anni: puntare su 28-30enni e sulla loro capacità di incidere subito: Pirlo, Tevez, Khedira, Alves, Matuidi, Mandzukic, Barzagli, Evra. Poche volte ha scommesso su giovani come Dybala, Morata, Pjaca o intuizioni come Pogba, Vidal e Coman e sul mercato interno ha fatto valere il suo dominio, con Higuain e Pjanic.
Ora la Juve sta invertendo il trend: de Ligt, 24enni come Can o Rabiot, giovani dalla A come Cancelo, Pellegrini, Demiral, Romero, Traoré etc. Resta però il gap enorme, da colmare con lo sviluppo del brand (il logo, CR7, le iniziative in Asia e USA) e con player trading e plusvalenze per reggere costi crescenti e un giocatore da 80 milioni l’anno come CR7 (che inizia a rendere con aumento sponsor e appeal e visibilità mondiale).
Le plus finora le ha fatte con giovani non “da Juve (Mandragora, Audero, Cerri, Orsolini, etc.) o (ahinoi) forse “da Juve” (Spinazzola, Kean). Romero, Traoré, Magnani saranno altre plus, ma NON basta.
I costi andrebbero abbassati cedendo gli esuberi e non Kean o Dybala. Corretto! Ma le plus -che fanno schizzare il fatturato- non le fai con loro. L’errore è avere esuberi over 30 con ingaggi e pretese notevoli. Vero! Ma è una situazione che riguarda tutte le big (Real, Barca, ManU, City) e, checché se ne dica, quei trentenni ti hanno fatto vincere ciò che potevi (non scontato) e portato vicino a vincere in Europa.
Paratici deve ora quindi piazzare giocatori “pesanti” con poco mercato e molte pretese, per cui a un mese dalla fine, senza certezza di riuscire a piazzarli, non può scartare a priori una plus di 70-80 milioni.
L’ideale è d’ora in poi puntare non più su 28-30enni ma su 22-25enni che puoi tenere o vendere facilmente. Con De Ligt, Rabiot, Can, Cancelo la Juve lo sta facendo (il nuovo più “anziano” è il 28enne Ramsey) perché non è mai un errore “economico” puntare a 0 su 24enni o fare investimenti monstre su de Ligt a 19, mentre sarebbe stata la solita strategia prendere, gli over 30 Boateng o Marcelo.
Al contempo la strategia di campioni e riserve “giovani” deve proseguire gradualmente, assieme all’esigenze di vittoria, e va sviluppata sia con i rapporti con molti club italiani, sia col potenziamento dell’U23 (al secondo anno) che per le altre big è un serbatoio preziosi di talenti, riserve o plusvalenze.
3. COMPLETEZZA.
Durante il mercato si tende a paragonare rose vecchie e nuove step by step, e non il quadro complessivo. Si dice “la Juve inizia alla grande a Luglio e rovina tutto ad Agosto“. Tocca vedere il quadro completo, non la singola operazione. Se avessimo ceduto Dybala a giugno comprando poi de Ligt e Demiral sarebbe stato più accettabile? Se avessimo rinunciato a Cancelo e a de Ligt per tenere a tutti i costi Dybala sarebbe stato meglio o peggio?
La valutazione di una squadra andrebbe fatta a maggio, nemmeno il 2 settembre, figuriamoci il 1 Agosto. Un film si giudica non in fase di produzione, senza comprendere bene le scelte in corso d’opera, ma si applaude o si fischia in sala, ai titoli di coda, che in questi anni sono stati quasi sempre goduriosi.
Questo non vuol dire che la dirigenza Juve sia infallibile e non criticabile (dal Malaka al rinnovo di Khedira) ma, senza enumerare le decine di successi sul mercato, molti giudizi negativi che sembravano inoppugnabili si sono rivelati fallaci, come i “Vergogna, lasciare Iturbe/Schick alla Roma” o “Vergogna, Bonucci, Higuain e Caldara al Milan!“.
4. CREDITO
Ultima considerazione, la Juve in 8 anni è passata da 150 milioni a quasi 550 (con le plus) di fatturato, dai 7° posti agli scudetti vinti a febbraio, dai gironi di EL alle prime 4-5 in CL, col gap economico annullato sul campo. Nessuno ci è riuscito in Europa in questi anni come ci siamo riusciti noi, con errori comunque accettabili. A questa banale considerazione sembrano essere immuni sia i troll inglesi che ci prendono per culo per lo scambio Dybala-Lukaku, sia gran parte del tifo Juve che considera scandaloso un mercato in cui è già arrivato de Ligt (tra i 10 nominati per il Fifa The Best, assieme a Cristiano) e che chiude tra un mese.
Il credito non è illimitato ma va guadagnato anno dopo anno e, francamente, finora quelli che stanno valutando un’operazione che pare oggettivamente inspiegabile, se lo sono incredibilmente guadagnato alla grande da 8 anni a questa parte.
Sandro Scarpa.
Lukaku e quel provincialismo da abbandonare
Doverosa premessa:
Sono tra quelli che non penserebbe a Romelu Lukaku – nemmeno nella sua versione migliore, vista all’Everton – come centravanti ideale della prima Juventus di Sarri.
Tanto più in conseguenza di uno scambio con Paulo Dybala, in funzione di una valutazione che tutto sembra tranne che tecnica. Non serve ripetere pappagallescamente “lasciamo lavorare chi ne sa”: nessuno ritiene che Fabio Paratici non sappia ciò che sta facendo. È l’opposto: siamo tutti perfettamente consci che, proprio perché Paratici sa quello che fa (e/o quello che deve fare in considerazione di un bilancio pronto a stroncare i voli pindarici della narrazione mercatara), questo scambio con il Manchester United – e, prima ancora, la cessione di Moise Kean all’Everton e, forse, di Cancelo chissà dove, chissà a chi – a tutto ubbidisce tranne che alla logica del campo.
Che poi, alla fine, in una versione romantica e ingenua delle cose, dovrebbe essere l’unica che conta perché in campo a fare gol, cross e assist non ci va il top player “plusvalenza” ma i Dybala, i Cancelo e i Kean. Sempre che, di mezzo, non ci siano precedenti rinnovi a cifre fuori mercato a giocatori fuori dal progetto difficilmente piazzabili: a quel punto il campo e la visione di Sarri passa in secondo piano e vendere “chi ha mercato” diventa corollario indefettibile del “sanno quello che fanno“.
Detto questo, tra le altre e molteplici chiavi di lettura dell’eventuale arrivo di Lukaku ce n’è una da evitare a tutti i cosi, l’unica fuori dal mondo e dal tempo: quella sintetizzata nella frase “Godo perché facciamo un dispetto all’Inter” – e, di riflesso, a Conte. È come il guacamole sulla relativa cultura sportiva del fu Belpaese che non manca mai.
Mi rendo conto di come parte della tifoseria juventina non riesca ad andare oltre quei provincialismi che, spesso, vengono contestati ai tifosi delle altre squadre. Provincialismi che, in altri modi, ambiti e con altri mezzi, Agnelli sta cercando di estirpare costruendo, con le difficoltà di cui sopra, in campo e fuori una squadra con una dimensione diversa e ulteriore rispetto all’orticello di casa nostra.
Continua a stupirmi, e non dovrebbe, come e quanto i tifosi di un club che ambisce a entrare stabilmente nella top 10 (per non dire top 5) europea, filtrino l’analisi e la valutazione di certe dinamiche unicamente attraverso la lente della sopraffazione ulteriore di chi è già stato sopraffatto e sta faticando non poco anche solo per attestarsi come una competitor credibile sul medio-lungo periodo, in un discorso che vale anche per le altre “sette sorelle” in disgrazia e che ha una significativa eccezione in un Napoli che, almeno, ha fatto seguire i fatti alle parole.
In parole povere, anzi poverissime: Lukaku non è, non sarebbe un acquisto di cui godere perché si fa il dispetto all’Inter, ma un’operazione la cui bontà tecnica ed economica potrà essere compresa solo tra qualche tempo e, comunque, per motivi che esulano da queste beghe da barsport da cui sarebbe bene affrancarsi. Altrimenti si è sullo stesso livello del #juvebeffata che tanto fa (e ci fa) ridere. Allo stesso modo, l’idea che si debba vincere il campionato – e il conseguente terrore collegato all’ipotesi di perderlo- per tacitare i vari “giornalisti tifosi” (che, nel loro non saper raccontare il gioco, non posso far altro che aizzare le loro improbabili fanzine) o per poter continuare a prendere in giro i colleghi che al lavoro dicono “la Juve ruba”, non rende giustizia a ciò che la Juve stessa sta cercando di diventare.
Anche il prevedibile e inevitabile riferimento alle vendette post-Calciopoli – altro fantasma, alla stregua dello spauracchio Maifredi, di ere geologiche che sarebbe opportuno seppellire. Non foss’altro perché si tratta di un libro che nessuna delle parti in causa ha intenzione di (ri)aprire seriamente – che già vedo stagliarsi all’orizzonte, mi e vi dico: comprendo perfettamente che quel periodo abbia generato la voglia di infierire sul nemico che “ci hanno fatto quello che ci hanno fatto”. Ma vi invito anche a considerare come questa visione sia notevolmente sottostimante anche, se non soprattutto, per il modo in cui la Juventus stessa sia riuscita a risalire da quel baratro, attestandosi su una posizione tecnicamente e finanziariamente egemonica, in una misura sconosciuta (e, per certi versi, superiore) persino per quell’epoca.
Oggi, per fortuna, le priorità e, quindi, le rivali (nel senso sportivo e non solo) della Juventus sono diverse, devono essere diverse. Sarebbe il caso perciò di cominciare a ragionare anche noi con canoni diversi, che si tratti di calcio giocato o di calciomercato. Mi rendo conto che si tratta di una opinion abbastanza unpopular ma, a quanto pare, è periodo. Proprio come per le plusvalenze.
Claudio Pellecchia.
Non privateci della Joya
Di Mario Pucciarelli
Tiene banco in queste ore l’ipotesi di una possibile cessione di Paulo Dybala. Notizia da prendere, naturalmente, col beneficio dell’inventario, visto anche il marasma di voci che rimonta feroce durante questa sessione estiva di calciomercato. Benchè si possano intuire le ragioni squisitamente economiche e finanziarie alla base di un’eventuale scelta, mi riservo – a nome di quella parte di tifoseria che tiene fede all’orientamento assunto – di disapprovare una tale possibilità per una sequela di motivi concreti e plausibili.
Dybala in 4 stagioni ha realizzato complessivamente quasi 80 goal. Cifre che rendono giustizia al valore tecnico del pupillo bianconero e che, molto probabilmente, sarebbero più esorbitanti se i sacrifici tattici ai quali è stato sottoposto dalla guida tecnica in questi anni, non avesse finito per “svirilire” il potenziale realizzativo della Joya.
Non c’è la controprova, qualcuno direbbe, ma Dybala in area o nella sua prossimità è un vero prodigio. Esiste un terribile nesso tra le scarne prestazioni e il suo erroneo utilizzo, segnatamente a metà campo, dove lo sperpero di energie fisiche annebbia l’esplosività creativa e funambolica del ragazzo in direzione della porta. Un dejavù che ripropone il tema dell’eccessivo rigidismo tattico di alcuni tecnici per i quali pagarono dazio i grandi protagonisti del passato recente e remoto. Baggio su tutti, ma anche il primo Del Piero, giusto per fare un esempio.
Strana congiunzione astrale vedrebbe materializzarsi l’eventuale trasferimento di Dybala proprio nell’anno in cui alla conduzione tecnica bianconera giunge un tizio che coi tipetti creativi, leggeri e rapidi ci va letteralmente a nozze. Per carità, la lealtà aziendalista di Sarri di fronte agli indirizzi del gotha societario, sembrerebbe ben palesata anche all’indomani delle sue ultime uscite mediatiche. Ma siete sicuri, cari Paratici e Nedved, che nei fluidi ricami di gioco del “sarriball” i marcantoni che state braccando abbiano precisa funzionalità al cospetto anche di una rinnovata filosofia che predilige il “beau jeaux”, l’estetica, lo spettacolo?
In attesi di riscontri da parte dei nostri, auguriamoci ancora che la Joya – l’età è ancora dalla sua parte – continui a deliziare le nostre platee, come ha sempre fatto e come potrà fare.