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Eliminare il Barcellona non è un’impresa

Dopo la partita di ritorno al Camp Nou tra Barcellona e Paris Saint-Germain il pensiero a caldo di tutti gli appassionati di calcio è stato che i blaugrana fossero imbattibili in un doppio confronto. Una squadra che perde 4-0 l’andata ma che poi in casa è in grado di ribaltare la situazione tranquillamente e farne 6 al PSG, non un’avversaria qualsiasi. Quando l’urna di Nyon ha accoppiato la Juventus agli uomini di Luis Enrique il pensiero generale è stato che fosse l’accoppiamento peggiore, per noi. Il campo, per fortuna, ha detto altro.

I più attenti si sono accorti della crescita della squadra già lo scorso anno nell’ottavo di finale con il Bayern Monaco: la Juventus di Allegri, che nel 2015 ha raggiunto la finale di Berlino da sfavorita e con un’impresa contro il Real Madrid campione in carica allenato da quel Carlo Ancelotti mai amato a Torino ma molto vincente altrove, era maturata e ha giocato alla pari andando molto vicino a passare il turno.

Questa convinzione generale aveva bisogno di una prova concreta sul campo, quale miglior occasione del quarto di finale contro il Barcellona?

La partita di Torino è stata un vero massacro che ha visto i bianconeri prevalere in ogni aspetto del gioco, non solo nel risultato finale. Il 3-0 era più netto di quello che diceva il risultato stesso, una prestazione mostruosa degli uomini di Allegri che hanno preso letteralmente a pallonate i blaugrana. Quando si parla di partita perfetta della Juve negli ultimi 20 anni il pensiero va sempre alla semifinale di ritorno del 2003 contro il Real Madrid dei Galacticos, da martedì 11 aprile 2017 la partita perfetta è il 3-0 al Barcellona.

Per il ritorno al Camp Nou si respirava un certo timore in una parte della tifoseria, come se questa Juventus fosse un PSG qualsiasi. I 90 minuti in terra catalana hanno solo confermato quanto si è percepito lo scorso anno: la Juventus è dello stesso livello delle top 3.

Anzi, forse è anche più forte. Non abbiamo sicuramente la panchina che ha il Real Madrid ma l’undici titolare dei bianconeri, quello che ormai abbiamo imparato a memoria e che tra dieci anni ricorderemo ancora, è superiore a chiunque in un doppio confronto. È superiore per coesione, per organizzazione difensiva e offensiva, per come interpreta le due fasi, per la fame che mette in campo.

Eliminare il Barcellona, per questa Juventus, è ordinaria amministrazione. Mettiamocelo in testa. Parlare di impresa è una mancanza di rispetto per questo gruppo di giocatori, questo allenatore e questi dirigenti che con i loro sforzi ci hanno portato a essere una delle squadre più forti del mondo.

La Juventus è l’unica squadra non spagnola negli ultimi 4 anni ad aver eliminato le due big della Liga. Questo dato la dice lunga sul livello che abbiamo raggiunto. Nessun altro è in grado di mandare a casa Real o Barcellona. Noi sì.

Sono i tifosi i primi che devono rendersi conto del livello raggiunto e devono iniziare a ragionare in quest’ottica. I giocatori sono consapevoli di essere fortissimi e di poter vincere con chiunque, i tifosi non ancora. Non tutti.

Se dopo aver passato il turno e aver concesso al Barcellona un solo tiro nello specchio, è presente quella sensazione di fastidio per non aver vinto anche al Camp Nou, significa che stiamo diventando grandi. Significa, soprattutto, che abbiamo alzato l’asticella e queste partite rappresentano ormai uno standard.

Motivo per cui, tutti, dobbiamo pensare all’obiettivo finale: vincere tutto, sempre. A partire da questa stagione.

Ma come fanno i catanani

 

Che poi il dato sfuggito ai più è che la Juve schiera mille attaccanti e non becca goal. Il Napoli ne schiera mille e ne prende che è un piacere. E grazie al cazzo. Quelli nel Napoli mettono 4 pertiche mentre ai tempi miei si alternava un lungo e uno forte nel breve. Questi quattro cestisti seguono poi la palla e non l’uomo col risultato di vanificare l’unica cosa sulla quale sono in superiorità, il gioco aereo. Tutto questo perché Sarri uno che è elogiato perché faceva la fame non riesce a fare le cose come devono essere fatte. E per questo giù altri applausi perché in Italia si esaltano i poveri, i falliti e quelli che per dirla alla Fossati andavano alla stazione e preferivano dormire sognando le chimere piuttosto che fare la cosa più ovvia. Prendere i treni per arrivare a destinazion

Quel che ha mostrato il Nou Camp non è uno spettacolo nuovo dalle nostre parti. Juve perfettamente rilassata. Non è vero che fa soffrire. Non sono imprese nel senso tragico che amerebbero vivere quelli che han preso il calcio per un sostituto delle liti condominiali. Juve scende in campo apparentemente disarticolata in tanti elementi offensivi e potenzialmente futili. Non ci fosse Allegri che gli ha insegnato non a vivere ma a vivere quel che basta questi qui starebbero a deliziare i siti di cantastorie di mille e mille emozionanti fallimenti. Sono potenzialmente dei vagabondi destinati all’irrilevanza o al monumentino episodico della gara della vita, quella unica e sola e che non conta un cazzo. Invece in Juve sono perfettamente funzionanti a uno scopo, l’unico che ci sia. Una partita ancora, vivi un turno di più.

Juve ieri sera perfettamente duttile. Non è vero che ha giocato meglio quando si alzava all’inizio. Puttanate. Quando ci alziamo facciamo quegli scambi a foca che fanno tutti, pure quei tappi del Napoli champagne. I tocchetti al volo con l’esterno che cerca di inventarsi qualcosa nel traffico, il centravanti che puntualmente aspetta che rimpalli o lisci gli diano la palla sul piede e l’altro esterno che sembra lacerarsi perché con un piede resta sul chi va là pronto a rientrare e con l’altro si allunga perché hai visto mai. Dybala prova a scompaginare le carte e quando ci riesce vince da solo ma per il resto stare alti non serve a molto. Non avendo il Callejon che taglia siamo solo una masturbazione per stats. Invece quando ci abbassiamo come nella ripresa, naturalmente oggetto di contumelie degli amici dei falliti al Roxy Bar e delle maledizioni dal futuro di Sacchi il quale per fortuna non sa parlare in italiano e ogni volta che deve coniugare un verbo si ferma e sembra un maledicente sdentato cioè un innocuo prete che fa l’amico anziché farsi la sposa, quando ci ritiriamo per deliberare la fine alla gara ebbene siamo la fine del mondo.

Non esiste Barcellona, non esiste Catalogna con un presidente in tribuna che sembrava Elton John in versione frocio rispettoso di pelo e di tasse in visita al Papa. Qui finisce ogni partita, potremmo mettere la lapide. Tutti persino un Higuain mai così in distonia col pallone come ieri sera si rendono proficui ed efficienti servi padroni. Padroni di gara ed avversario e del senso del tutto: servire alla Juve. Potevamo farne anche tre, quattro ieri sera così mentre non piacevamo, meglio non averne fatti sennò sai i Sette (ai) nani che sfornavo. Contropiedi sgorgano felici, lo slavo messo in mezzo dietro è un mostriciattolo felice di cazzimma pensosa, freddo quanto basta per giocare di prima con la stessa sicurezza verso le conseguenze delle proprie azioni di un qualsiasi sbrigativo amante di indifesi. Khedira un gigante buono, uno che benché grande e grosso le busca spesso nel tentativo di spegnergli quel capoccione che la sa più lunga di tutta la vanesia illusa Catalagna. Cuadrado, fan ridere quelli che ne minano la fase difensiva esaltando quella di Sandro mentre invece uno nasce terzino e collante e l’altro collant. Sexy ma irritante come una donna che ti sei già fatto. Khedira non ci sarà in semifinale di andata dove come dice Bonucci tutti vorrebbero sospendere la Cempions il tempo che ci cada l’aereo o qualche bomba ci spazzi finalmente via dalle loro emozionate esistenze.

Noi siamo tra le prime quattro, come aveva scritto Ricchiuti. Noi non so cosa faremo, dovremmo già essere scarichi come aveva scritto Ricchiuti e ieri sera ci stava uno Sturaro per Mandzukic. Se non fosse che c’è Allegri e sembriamo tante squadre e tutte amiche tra loro. Ma forse neanche tanto amiche. Le Juve che si danno i cambi come al basket somigliano più a complici che a sorelle. Ma è tutto legale. Non ci sono rapine da fare. I soldi sono già nostri.

La Juve, il Barça e l’elisìr di superiorità

Non c’era alcun motivo per abbandonarsi alla preoccupazione o peggio al fatalismo. Dopo quel martedì e dopo la Pasqua, la canzone poteva e doveva essere solo “Alleluja”.

E invece prudenza, esorbitante prudenza, dissennata prudenza. O forse solo quel tipico timore del vincente a metà, la mala abitudine del perdere tutto quando tutto l’hai già. Non c’era alcun bisogno di drogare coraggio e coscienza. C’era bisogno di quel che è stato: andare, prendere il caffè, ascoltare il canto, fare una passeggiata, scambiare qualche parola e lasciar trascorrere il tempo.
No, non è il villaggio Valtur a scale di Zeman. Non è il lavoro duro. È una sciocchezza. È la normale fatica di chi si è formato nei boschi, di chi ha costruito la stagione tutta nel ciclo prima caldo e poi rigido. Oggi guardiamo cosa abbiamo fatto senza voltarsi. Vediamo la storia, valutiamo il merito, senza leggere “Conclusioni” e pagelle. Non ancora.
Sì, molti di noi hanno voglia di fare i tiranni: divellere il monumento e portarlo a casa in fretta e furia. Non si può, anche se in cuor nostro siamo consci di meritarlo per sospendere l’autobiografia disgraziata.

Per una settimana ho letto chi citava Garcia Lorca: “I morti spagnoli sono più vivi dei morti di qualsiasi altro Paese”. Sì…Barcellona risveglia. Provate ad andare lì, si diventa un po’ artisti: scritte, foto, film. Ecco, film. Di fantascienza. Questo sarebbe stato la “remuntada”. Alla prossima…“Remuntaremo”. Parevano il quarantenne contento della routine, semi-calvo, sovrappeso e perlopiù indifeso. Onestamente: ci sono ancora genio, esperienza, potere, adorazione; al contempo, è pressoché impossibile conciliare l’archivio dei preferiti con gli affioranti umiliazione-dolore della sconfitta e della necessità di andare avanti a uffa.
Colpa della Juve. Merito della Juve. Non c’è stata alcuna supponenza da parte loro, bensì inferiorità resa palese da chi ha manifestato superiorità. Non è automatico interrompere senza stizza la monotonia, deviare il corso dei pensieri e delle azioni vincenti, ammettere il colpo patito; i catalani lo fanno, confessano e lungi dall’ipocrisia augurano il meglio a chi gli ha procurato più di una ferita allo zigomo. È comunque una forma di grandezza: realizzare e parlare all’ego senza filtro attenuante, non omettendo alcun passo incomodo.

Superiorità. Spesso mania e quasi sempre idiozia. Non è roba nostra, siamo reali(sti). Superiori, dunque invidiati. Odiati? Sì, fa lo stesso se non meglio. La Juve cerca il meglio in sé: è arte, è intelletto, è la risata solitaria; evidenzia lo scarto tra la tanta roba e il dappoco. Possiede tanto, necessita di poco. È sicura di sé, senza sfrontare.
Scriveva Gianni Brera dell’Avellino: “Questa squadra gioca al calcio magistralmente, senza sentirsi inferiore a nessuno e senza mostrare nessun borioso senso di superiorità. Umile ed operaia, e nello stesso tempo nobile, come solo i veri aristocratici sanno essere”.

Quasi quarant’anni dopo, sounds good. Sounds Juve. Di più: una volta avanti, lontano, in alto, la Signora cerca di condurre al livello gli altri. Avversari? Sì, ma…Se il movimento cresce, cresce anche/soprattutto lei che è stata start up ed è diventata PMI innovativa. Capire e far capire. Una volta fatto proprio l’esempio, darlo. Ecco, penso sia questa la superiorità.

 

(Immagine copertina: foto di Santi Ovalle-@santiovalle)