Oggi Gaetano Scirea avrebbe compiuto 63 anni. Non è più con noi da quel maledetto settembre del 1989, quando ci lasciò all’improvviso mentre era in Polonia per la sua Juventus.
Ai più giovani, in questi anni, è mancato come esempio e come maestro, visto che questa era la strada che stava percorrendo. Chi ha avuto l’onore di conoscerlo, ne conserva amorosamente il ricordo.
Già perché quando si pensa al concetto di nobiltà d’animo, non solo nel mondo del calcio, la mente non può che non andare a lui, quasi in maniera automatica.
“Sapeva ridere, “Gai”, sapeva fare gruppo, sapeva assaporare la gioia delle piccole cose. È stato sempre vicino ai propri cari ed ai propri compagni, facendo loro da punto di riferimento. «Era il mio fuoriclasse, in tutto», le parole significative del Presidente Boniperti, seguite in questo video da quelle di Zoff, che ricorda come Gaetano fosse «di una serenità e di uno stile straordinario, sia in campo che fuori».
Sempre leale, anche da avversario, Scirea ha incarnato alla perfezione la figura del vero libero moderno. Se facilità e visione di gioco gli permettevano di non eccedere mai nell’agonismo, la generosità con la quale si proponeva in avanti – ed in aiuto ai compagni – altro non erano che manifestazioni calcistiche del suo altruismo.
La classe cristallina, l’eleganza e la gentilezza, di Gaetano Scirea, sono stati e saranno per sempre il più bel manifesto di questo sport. Serietà e signorilità sono i valori che hanno meglio incarnato lo stile bianconero, e che continuano a guidare l’operato del club che più ha amato, e che più lo ha amato, anche a ventisette anni dalla sua tragica scomparsa.
Io sono un uomo
L’uomo fa il dirigente. Pensa solo che non sarà mai più padrone di niente. Sta lì in auto tra la ruota di scorta e il ripostiglio. Quello che deve fare gli diranno come deve farlo. Non è più l’ultimo non è più il primo, è solo quel suo vecchio silenzio che non ha più obblighi di finire. La terra ormai non la sfiora più, manco si salutano. Qualcun altro la tiene ferma, col sudore e quel che gli altri avevano da offrire. Lui no, aveva classe e fronte pulita da quanto la portava alta al cospetto di cielo e milioni di milioni di coglioni. Ora la testa non la solleva e non si accorge di quella sera come di tutte le sere. Quando tutto succede è tutto già successo. Il fuoco vivo, lui morto.
il difensore del 2016 fa tutto in numeri. 3, 5, 2. 4,4,2. Il più grande di questi numeri è stato scoperto, intervistato e tradotto in campo. Nulla sfugge al movimento previsto, alla spiega dei cambi che non cambiano. Tutto codificato, quadrato, calcolato. Avanti indietro. Indietro avanti. E lui e lui e quell’altro ancora che avanzano solo per tornare indietro, che tornano solo per tornare a tempo, partite come sinfonie e battaglie d’algebra e la paura prevista alla pagina numero. Il difensore si trova in area. Ha sbagliato tutto, sta per segnare. Lui vivo, il manuale morto. Fa tacco. In area. Nella finale dei mondiali. Prima di lui, solo Gaetano Scirea. Lo spiegano in tv: è arrivato secondo.
Vincenzo Ricchiuti.
Un giorno da Gaetano Scirea
Mariella è lì, dove è sempre stata e dove starà sempre. Un bacio, uno sguardo che è sempre lo stesso da quarant’anni e poi una richiesta. Garbata, financo dolce, ma ferma:
“Oh non ti azzardare a organizzarmi di nuovo una festa a sorpresa come l’anno scorso eh? Lo sai come la penso su queste cose…”
“Massì stai tranquillo, solo io e te. Ma Almeno una torta la vuoi?”
“Fai tu. Ma niente di elaborato”
“Naturalmente…”
Il tempo di una doccia veloce che è già tempo di uscire. Solo che, stavolta, il telefono suona per davvero:
“Pronto?”
“Ciao Gae, buon compleanno…”
“Dino! Grazie mille. Come stai? Quel problemino? Risolto?”
“Beh sai si tira avanti. Ora va molto meglio però…”
“Mi fa piacere. In questi giorni passo a trovarti”
“Ti aspetto. E mi raccomando, vai piano in macchina. Non come quella volta in Polonia che hai rischiato di rimanerci…”
“Tranquillo“.
E mette giù. Il tutto mentre Mariella sorride divertita:
“Addirittura quasi 40 secondi. Vuoi ridurci sul lastrico con queste telefonate chilometriche? Tu e quell’altro logorroico?”
“Spiritosa”
Un altro sorriso:
“Non fare tardi. Ti aspetto”
“A stasera”
Ed esce. E mentre sale nella sua auto (una Fiat anni ’80 tenuta benissimo), come ogni giorno negli ultimi trent’anni, non può fare a meno di chiedersi cosa mai lo spinse un giorno ad accettare quel curioso incarico dirigenziale. L’Avvocato l’aveva chiesto o, per meglio dire, ordinato con una tale gentilezza che non se l’era sentita di rifiutare:
“Su Scirea, la smetta di temporeggiare. Dica si e basta…”
“Ma Avvocato ma cosa vengo a fare io in società? Non ho nessuna competenza…”
“Si fidi io ho intuito per queste cose. Lei farà bene.”
“Si, d’accordo ma con quale ruolo?”
“E’ un dettaglio. L’importante è che lei sia lì…”
“Ma a fare cosa?”
“Quello che fa tutti i giorni. Le verrà naturale, vedrà…”
Comunque eccoci qui. Corso Galileo Ferraris 32. Parcheggio al solito posto e saluto al portiere (non Dino, quello del palazzo) che poi è lo stesso da vent’anni e come sempre quasi arrossisce nel rispondere. Sale velocemente le scale per raggiungere il suo ufficio. Anche il suo, come gli altri, ha una targhetta identificativa “Andrea Agnelli: Presidente”, “Beppe Marotta: Direttore generale”, “Gaetano Scirea”. Così, senza alcuna carica. Anche questa un’imposizione dell’Avvocato: “Basterà il nome“, diceva.
Un rapido sguardo alla teca con gli allori di un’intera carriera (fosse dipeso da lui non l’avrebbero mai messa, ma l’Avvocato…) e poi dritto alla scrivania. Un occhio ai giornali, un altro alla posta: si preannuncia una giornata tranquilla. I nazionali sono in ritiro per gli Europei, gli altri sono ad allenarsi a Vinovo di gran lena, dopo aver accolto il suo invito a dimenticarsi subito della seconda doppietta consecutiva.
Inevitabile che la mente vaghi, con i ricordi di una vita che prendono il sopravvento. Gli scudetti, Paolo Rossi e Platini, Bilbao, il Bernabeu ma anche l’Heysel e quella volta in cui giurò di non mettere mai più piede in una discoteca quando, uscendone all’alba, vide gli operai della Fiat pronti ad iniziare il turno di lavoro. E poi tutti i ragazzi che Boniperti di vola in volta gli portava perché avevano bisogno di un’inquadrata. La scena era sempre la stessa: una telefonata a preannunciare la visita, il deciso bussare alla porta, l’introduzione di qualche ventenne un pò troppo brillante son cui scambiare due paroline. Oddio, non che abbia mai dovuto dire granché. Spesso bastava il silenzio, un incrocio di sguardi e quello se ne andava, rigando dritto da lì in avanti. L’ultimo con cui abbia realmente avuto una conversazione è stato Andrea Barzagli. Voleva essere il primo a capire, da campione del Mondo a campione del Mondo, cosa potesse portare uno così a perdere quasi del tutto la voglia di giocare. Quello che si dissero, ancora oggi, lo sanno soltanto loro due. Fatto sta che le partite le guarda soltanto se c’è il 15 in campo. Altrimenti tanto vale fare altro.
Un’altra telefonata lo distoglie da tutto questo:
“Pronto?”
“Signor Scirea buonasera, la contatto per quell’intervista in occasione del suo compleanno. Ricorda? Ci siamo accordati qualche giorno fa…”
Un’occhiata all’orologio. E’ già quasi ora di tornare a casa:
“Guardi, mi deve scusare ma stavo per andare via. E’ un problema rimandare a domani?”
“Non si preoccupi. Come le ho detto l’altra volta non voglio assolutamente disturbarla“.
Adesso capisce perché ha concesso l’esclusiva a quel giovane giornalista. E’ umile, preparato, garbato, il contrario di tanti suoi colleghi.
E’ l’ultimo pensiero che lo accompagna prima di varcare la soglia di casa. Ma c’è qualcosa di strano. Le luci sono spente. Sembra che non ci sia nessuno. “Vuoi vedere che…“. Non fa nemmeno in tempo a finire. “Sorpresa!” gridano tutti quanti in coro sbucando da ogni parte. Non manca nessuno. Nemmeno Dino che gli rivolge il suo classico sguardo da “Oh, io non volevo venire ma mi ci hanno costretto…”. Arriva la torta con il 6 e con il 3, i numeri di una vita, i numeri di una notte speciale. “Ti avevo detto che non volevo niente…” sussurra timido a Mariella che, come al solito, è lì dove è sempre stata. “E piantala Gae, sono qui perché ti vogliono bene. Perciò non rompere. E tanti auguri…”
Claudio Pellecchia.