Ritorniamo alla partita. E’ la Juve che palleggia dal basso, cadenzata, chiamando scientemente in causa i due centrali dietro per far uscire il Napoli e colpirlo addosso alla difesa con un gioco diretto che possa esaltare la scelta delle tre punte dal primo minuto? E’ Sarri che ribalta le indicazioni del 2020 perché pensa di conoscere questo Napoli meglio di chiunque altro? O è il Napoli a costringerci a questo copione lavorando soprattutto alla dorsale Pjanic-Dybala (l’argentino ha operato da raccordo dietro la punta, Higuain, defilando Ronaldo in territori antichi, qua largo a sinistra, qua largo a destra)? Oppure abbiamo supposto qualcosa che non si è verificato, tipo palleggiare pulito per uscire in corsia, dove però i traversoni dalla trequarti di Alex Sandro (di solito sulla schiena dell’avversario diretto) e Cuadrado (frustate alla cieca, che in passato hanno anche funzionato, alla ricerca delle uniche sortite dentro l’area di rigore di CR7 per quelli che sono solitamente dei veri e proprio uno contro cinque negli ultimi undici metri) non sono esattamente ciò che andavamo cercando scegliendo un tecnico dai canoni di gioco complementari a quelli del predecessore? Queste e altre domande restano lì, appese e sospese. Ma una risposta a chi ha messo al centro del dibattito circa la sconfitta del San Paolo la scelta del tridente dal primo minuto sorge spontanea: non è lì il corto circuito perché con Cristiano, Dybala e Higuain a preoccuparsi deve essere sempre l’avversario. Preoccuparsi di non far portare alla Juventus il pallone ai 25 metri. Preoccupazione che il Napoli ha risolto vincendo tutti i duelli a centrocampo, arginando ai 30 con Demme e occupando centralmente il campo. Non si comprende perché piuttosto si offenda con un uomo solo quando si cerca l’ampiezza (e che si difenda anche in modo isolato, ma questo è un altro discorso). Che poi è uno e mezzo a destra solo perché Cuadrado ha quelle caratteristiche peculiari lì, che gli permettono di fare il boia e l’impiccato (crocefisso sui gol, ma da notare che la giocata sistematica sul lato debole contro il colombiano ha costretto Cuadrado a disimpegnare in solitaria almeno 5/6 situazioni analoghe in precedenza). Che la difesa partenopea fosse il reparto attaccabile siamo tutti d’accordo. Quindi ci sta che Sarri abbia ragionato in modo basico: andiamo a prenderci tutto e subito, il tridente fa paura, alimentiamo le loro insicurezze, eccetera eccetera. Piuttosto – con tutto che Sarri una risposta netta alla matrice del gioco di trasmissione tra i reparti non l’ha ancora data – il problema è impresso sull’altra faccia della medaglia: se giochi così, devi pressare con i tre e almeno due di questi devono proporsi per una partita di sacrificio per dirla con i termini che si utilizzavano i tempi di Del Piero, Vialli e Ravanelli. E, se non si sacrifica Higuain – per natura stessa dei calciatori in questione – la Juve può soffrire. E così è accaduto. E così i centrocampisti hanno corso male e a vuoto. E così non erano tranquilli perché in possesso non posseggono allo stadio attuale giocate memorizzate di uscita (troppo poco la verticale veloce di Bonucci o Pjanic per il vertice alto del rombo). Visto che però interessano così tanto di tre davanti, una cosa va aggiunta in attesa di capire come reagiranno i calciatori alla stecca, qualcosa magari che vada oltre i tre minuti più recupero di domenica sera. Ed è a titolo di sensazione personale: ho pensato e intuito che Ronaldo, Higuain e Dybala nutrissero una voglia matta di giocare insieme a dispetto delle frenate verbali di Sarri. Durante Napoli-Juve diverse volte mi sono chiesto perché. Perché ognuno sembrasse giocasse per sé. Perché non stare, almeno a tratti, vicini vicini. Perché non cercarsi. Perché pensare, ognuno, di voler essere il match-winner. Che di solito accade quando non contempli l’idea di un piano alternativo. L’idea che esista un risultato diverso. Che il risultato va sempre costruito da zero. E che va ricostruito attraverso nuovi progetti a gara in corso quando i mattoni non tengono. Anche se hai in serbo CR7 che vale sempre almeno uno. E a questo, nella confusione del giorno dopo, ci aggrappiamo. Molto più che alla classifica provvisoria.
Luca Momblano
Sarri e quel tifoso Juve che non sa perdere (per fortuna)
La Juve ha perso. Male. Proprio quando c’era da sprintare ed allungare, da continuare la crescita e dimostrare che questa squadra, oltre che -a volte- bella è anche vincente, nel senso pieno del termine.
Oltre ad un’involuzione tecnico-tattica evidente (ritorno al tridente che “esige” Matuidi, dopo 3 gare giocate con gli stessi 11; errori tecnici e tattici nei gol subiti; imbottigliamento tipico contro chi fa densità centrale), il San Paolo ha riproposto quella “paure” sotterranea che a volte attanaglia l’ambiente quando si pensa a Sarri: l’aspetto mentale, la Juve che non sa vincere quando non riesce a giocare.
Le parole –oneste, troppo oneste– di Sarri, “mentalità blanda, squadra sazia, difficile motivarla“, sono un colpo al cuore peggiore del cross di Matuidi per Insigne o della mezza papera di Szczesny.
Il dubbio è sul Sarri “motivatore”, dubbio su una squadra in “evoluzione” che a volte non segue il mister, si abbassa, lancia lungo, giochicchia, non pressa alta. Il dubbio è sul Sarri che non “legge” e anticipa quei segnali psico-fisici e schiera il tridente in casa di una squadra iper-carica che ci concede il primo tiro al 87° e ci buca con sole due ripartenze. Il dubbio è sulla capacità di Sarri di anteporre la vittoria al suo credo, di ri-adattarsi in modo più furbo e speculativo, in gare in cui “mentalmente” (appunto) non riusciamo a dare linfa al “Sarrismo” Juventino.
Questi dubbi mentali (e sulla rosa, ma lì si passa a Paratici…) escono fuori alla prima vittoria striminzita, ed esplodono dopo i KO. C’è una certa intolleranza per Sarri, per il passato da “perdente” (come se non avesse fatto miracoli con le sue squadre) e da figura “anti-juventina” che se la squadra vince di “horto muso” molti prendono in giro “Il Maestro” e appena si perde (2 su 21 in A, 3 su 31 in stagione), moltissimi ne invocano la cacciata.
Figuriamoci poi se, nel culmine di quel delirio che invade il tifoso Juventino in questi anni dopo una (rara) sconfitta, Sarri è onesto –improvvidamente onesto– e se anche gli girano i coglioni, cede alla domanda e dice “se proprio devo perdere almeno mi fa piacere per i ragazzi del Napoli che si riprendono, anche se preferivo dalla settimana successiva“.
Lo Juventino è fatto così, non puoi perdere, non puoi parlare della sconfitta, non puoi dire “purtroppo veniamo da anni di vittorie, difficile imporre una certa filosofia di gioco“, non puoi dire “se proprio devo perdere, almeno sono felice per i miei ex-ragazzi”.
Non si può essere onesti dopo una sconfitta. La sconfitta è tabù per la Juve, non ci si abitua, non si ragiona, non si concede nulla, non ci sono mezze misure. Il tifo preferisce chi odia la sconfitta a tal punto da sragionare, urlare, fare scena muta. Il tifo preferisce chi è lacerato dalla sconfitta ed esplode, figuriamoci rivolgere un pensiero alla ex-squadra.
E’ una fortuna essere tifosi di una squadra che non elabora il lutto, non ragiona a pancia vuota. Poi c’è il campo, la difficoltà di motivare giocatori che hanno vinto tutto per 9 anni (e Allegri e Conte venivano presi in giro quando lo dicevano), la difficoltà di allenare la mente di giocatori “normali” (esclusi i fenomeni CR7 e de Ligt). E’ la proposta di gioco, il coinvolgimento tattico, il gusto del “divertimento” nel Sarrismo juventino -visto a tratti- ad essere la migliore arma per motivare i nostri.
Abbiamo scelto Sarri, le cose vanno bene, non benissimo, non come vorremmo, dalle sconfitte si esce “alla Sarri”, continuando ad insistere sul gioco, senza isterie. Ridicoli erano quelli di #AllegriOut, ancor più ridicoli quelli di #SarriOut.
Alle sconfitte non ci si abitua, questo ha fatto la fortuna dello spirito Juve, ma dopo le sconfitte si guarda alla prossima, è questo è un mantra molto più Juventino.
Sandro Scarpa.