Il 2017 bianconero dalla A alla Z

Un anno è lungo da raccontare. E per quanto nel calcio possa essere comunque molto più facile, riconducendo (anzi, riducendo) tutto al concetto di “chi ha vinto cosa”, è sempre meglio procedere analiticamente attraverso l’utilizzo di parole (e/o concetti) chiave. Magari una per ogni lettera dell’alfabeto, senza pretesta di esaustività, completezza o oggettività: perché in fondo ognuno di noi ha il suo alfabeto personale. Rigorosamente in bianco e nero.

A come Allegri – La sensazione è che si sia all’ultimo giro di giostra, al netto di rinnovi, simpatie, antipatie e vedovanze assortite. Uno degli allenatori più vincenti e divisivi della storia della Juventus. Sarà un record anche questo.

B come Buffon – A proposito di ultimi giri di giostra. Niente per cui servano parole.

C come Cardiff – Ha fatto male. Fa male. Farà male, almeno per un altro po’. Inutile girarci intorno.

D come Dybala – E come dieci. Diez nella sua lingua madre. Alti e bassi, luci e ombre, genio e sregolatezza, rispettando la mistica di quel numero. Per la continuità che lo separa ancora dai grandissimi ci stiamo lavorando. La speranza è quello di vederlo realizzarsi qui da (e con) noi, il realismo dice che potrebbe farlo altrove già dalla prossima estate.

E come Equilibri –  I nostri, quelli che stiamo faticosamente ritrovando. Quelli altrui, che qualcuno voleva spostare e che non devono interessarci più. Anche perché, alla miliardesima battuta in tal senso, uno ne avrebbe anche le scatole piene. Altrimenti inutile prendersela con i vari “Asensio 1-4 è finita”: il livello di disagio è quello lì.

F come #FinoallaFine – Più di un semplice motto. Una filosofia, uno stile di vita, un modo di stare al mondo. L’unico che conosciamo.

G come gioco – Quand’è che una squadra gioca bene? Semplicemente quando sfrutta al meglio le sue caratteristiche di base, per valori tecnici, tattici e di composizione della rosa. Null’altro. La Juventus lo fa? Non sempre, tendendo, anzi, all’estremizzazione del concetto di gestione nelle sue mille sfumature. Questo è il problema, non che non si riesca a replicare i modelli elogiati da una stampa che scrive e ragiona unicamente per luoghi comuni e frasi fatte.

H come Higuain – 44 gol in 79 presenze, in un rollercoaster costante dal punto di vista fisico e con non poche difficoltà ad adattarsi ad un sistema in cui non è il centro di gravità permanente. In un ipotetico iperuranio in cui è sempre in forma e la squadra è in grado di servirlo a dovere, siamo nell’ordine dei due gol a partita. Di media.

I come Inferno – Quello di Piazza San Carlo. Che ho avuto la sfortuna di vivere. E la fortuna di poter raccontare.

J come Juventus (e come nuovo logo) – “Mi emoziono anche quando vedo la lettera J sul giornale”. E magari su tutta una serie di prodotti in giro per il mondo. Nell’ennesima e riuscita fusione tra antico e moderno.

K come Kiev – L’illusione, la follia, la speranza, il sogno, l’incubo.

L come Luoghi Comuni – Quelli tirati fuori, a comando, quando si prova a far notare che forse non tutto va bene. E “cambiate squadra”. E “vi meritate Cobolli”. E “tifate Inda” (non Inter, Inda, perché bisogna adeguarsi all’analfabetismo funzionale del web). E “a maggio non salite sul carro”. E che palle.

M come Marzo – Il mese più atteso dell’anno.

N come Nerd – Detti anche, in un’accezione totalmente dispregiativa, “Capiscers”. Quelli che provano a far capire al resto del mondo che il calcio non è solo polemiche arbitrali, sfottò da terza elementare, “palo-dentro campione, palo-fuori coglione”. E che, nella sua splendida imprevedibilità, può essere anche prevedibile, in modo da adottare le (contro)mosse giuste. Non stupisce che vengano additati come il nuovo nemico da combattere dalla massa dedita alle gare di rutti: rientra perfettamente nella mediocrità del nostro tempo.

O come “Osare di più” – Per alcuni il motivo retrostante alle sette finali perse. Una forzatura dialettica, o forse no: di certo le cinque che ho visto io si portano dietro più di qualche rimpianto.

P come Pecoraro – Qualcuno sa spiegare come e perché sia ancora al suo posto? Siamo all’assurdo nel paese dell’assurdo per eccellenza.

Q come Qualità – Ciò cui si deve tendere. Ciò che serve per vincere quel che tutti vogliamo vincere. Perché il calcio è cambiato. E la narrativa cuore, polmoni, lacrime e sangue farà presa sulle masse ma a certi livelli non basta più.

R come Rosa – Ampia, completa, ricca, soprattutto dal centrocampo in su. Per questo da sfruttare (al) meglio. Perché dopo “la Juve di Marzo”, ci dovrà essere “la Juve di Maggio” che si presenti in condizioni decenti agli ultimissimi impegni. E tutti noi speriamo che ce ne sia ancora uno al quale presentarsi, stavolta, freschi e riposati grazie a rotazioni effettuate nei modi e nei tempi giusti.

S come Supercoppe – Due, lasciate inopinatamente ad avversari ampiamente alla portata. Una, quella di Doha, che grida ancora vendetta.

T come Triplete – Rivolgersi a Massimo Zampini.

U come Uruguay – Zalayeta, Montero, Fonseca, Caceres, oggi Bentancur. I charrua ci vogliono bene. E noi ne vogliamo a loro. Nonostante O’Neill, “El Pollo” Olivera e “El Malaka” Martinez.

V come Var – Potrebbe essere la miglior cosa capitata al calcio italiano negli ultimi anni. Se solo il calcio italiano non fosse il calcio italiano. Ovvero un contesto privo di qualsiasi cultura sportiva di base e, quindi, per nulla recettivo dei benefici derivanti dall’ausilio della tecnologia. Che, giova ricordarlo, è ancora in mano all’uomo. E come tutte le cose in mano all’uomo ha una certa percentuale di fallibilità. Per gli “arbitri robot” rivolgersi ad Asimov e ai fratelli Wachowski (quelli di Matrix). O a Raffaele Auriemma.

W come (Juventus) Women – Il calcio è bellezza, la bellezza è (anche) donna. Quindi perché vi stupite?

X come “la croce che dobbiamo mettere sulla Champions” – cit. di un Mike Fusco mai così pessimista.

Y come Yaki – Soprannome di John Elkann. Il deus ex machina che agisce (o trama, secondo qualcuno) dietro le quinte. Si dice sia poco innamorato della Juventus e che la recente vicinanza al cugino Andrea sia stata dettata più dalle prospettiva di crescita del brand che da reale affetto. Il tempo dirà.

Z come Zidane – Quanto ci ha fatto godere. Quanto ci ha fatto soffrire. Reinterpretando a modo suo quello strano rapporto tra divertimento e utilità e rivolgendocelo contro. L’unica volta, credo, in cui l’Avvocato proprio ragionissima non ha avuto. Succede anche ai più grandi.

Claudio Pellecchia.