di Damiano Giordano
La Juve scrive l’ultima pagina di questa stagione, una nuova della storia calcio italiano e chiude uno dei capitoli più avvincenti e spettacolari della sua storia. Un vero e proprio romanzo, con un inizio drammatico e un finale lieto, trionfante. Mai nessuna squadra era riuscita a vincere per due anni consecutivi Scudetto e Coppa Italia. Questi, i tre volti che hanno caratterizzato la finale di Coppa Italia:
Il buono – Alvaro Morata. Scontato quanto doveroso. L’attaccante spagnolo entra e mette a segno il gol decisivo. Di prima intenzione, un fulmine a ciel sereno. Un goal ricamato dall’altro buono di questa finale, Juan Cuadrado. Due non proprio a caso. Due, che l’anno prossimo, forse, vestiranno un’altra maglia. Così tutto diventa più romantico, con l’immagine del canto del cigno, che lascia l’amaro in bocca nonostante il dolce appena mangiato. I tifosi sperano non sia l’ultimo…canto. Vedremo cosa succederà in estate. Buono, alla fine, il Milan che, tra limiti e stimoli, ha onorato l’impegno come mai nella sua stagione. Ha vinto la più forte, non la più meritevole. Perché i rossoneri hanno dato battaglia e mantenuta viva a testa alta la partita per 120’. La squadra di Brocchi non ha segnato quando poteva, la squadra di Allegri ha segnato quando doveva. Il calcio è anche questo.
Il brutto – Hernanes. Il brasiliano torna in cabina di regia nell’ultima gara annuale con la consapevolezza che alla Juve, il posto, si suda e si guadagna attraverso le prestazioni. E quest’ultima, (anche) in finale, è venuta a mancare. L’equazione è presto fatta. Partita dopo partita emerge sempre più un fattore: non è questione di adattamento, collocamento in campo o schemi tattici, quella che manca è la personalità. Mai propositivo e spesso surclassato dal modesto centrocampo del Milan. Zero responsabilità. Le comparse alla Juve hanno vita corta. Specie se, la Vecchia Signora, desidera raggiungere i top club europei. Quella strada prevede che chiunque indossi la maglia bianconera faccia la differenza, soprattutto in ruoli delicati come il suo. Che poi gli “operati” servono sempre, ma in altre zone.
Il Cattivo – Massimiliano Allegri. Cattivo è un eufemismo. Straripante e mai domo in panchina fino al fischio finale. Un martello… (vi mancava questo termine?) per cercare di tenere i suoi concentrati fino alla fine. Specie dopo il vantaggio. Questa stagione abbiamo conosciuto un altro lato del tecnico livornese. E’ cresciuto anche lui, insieme a questa splendida squadra. E’ cresciuto di polso e carisma, virtù che fino a quando sedeva sulla panchina del Milan o in quella del Cagliari erano sconosciute. E’ stato il suo anno. Dalla finale di Champions persa alla partenza scioccante di stagione. Tutto sembrava irrecuperabile, difficile, impossibile, eppure, mister Allegri è riuscito a compattare un gruppo quasi nuovo trovando l’amalgama perfetta. Da lì: vittorie su vittorie, record, coppe. In mezzo, Monaco. Una sconfitta che poteva scalfire psicologicamente qualsiasi mente per come è maturata. Si chiude un capitolo importante, con un finale che è solo il preludio al capitolo successivo, ricco di sorprese e aspettative. Come on!