Liquidità è la parola chiave di una Juve che riesce a tenere tutto in splendida rotazione liquida come piattini di un equilibrista giapponese: girano vorticosamente gli esterni che costruiscono, assaltano e rintuzzano; girano più solidi i centrali difensivi più attenti sui palloni alti, uno a profondere calcio e l’altro a distruggerne qualsiasi velleità nemica; gira Pjanic che vive lo stato di grazia di chi è passato da unica fonte del gioco a una delle tre sorgenti di calcio e da unica diga a stare nella bambagia tra i due interni; girano appunto gli interni che non saranno sopraffini come Modric nè straripante come Pogba ma cantano se chiamati sul palco e la croce la portano quasi piacere agonistico; soprattutto girano tutti quei 3-4-5 lì davanti, gira Dybala stoccatore se deve farlo o perfino rifinitore se gli tocca, gira Berna in onnipotenza fisica contenuta a stento, gira Mandzukic che o segna o appoggia e la clava ce l’ha sempre, gira e tutto gira intorno a Cristiano, non solo la Juve ma anche le difese avversarie.
Ora la Juve tiene tutto, tutti gli equilibri ora sono liquidi mentre prima erano sempre corti o lunghi: troppo offensivi, troppo poco, troppo riflessivi, troppo frettolosi, sparagnina, troppo bucati, troppo poco spettacolari, troppo conservativi…
Risalendo indietro gli ultimi 4 anni della Juve di Allegri solo per pochissime settimane, si era arrivati ad equilibrio così mirabile spostato dieci metri più avanti sul campo e mille anni-luce più avanti nella mentalità: quei 2 mesi di 4231 purissimo, dalla Lazio alla gara in casa col Barcellona, virato poi verso un (boh?) 3421 nel doppio confronto col Monaco, con Barza al posto di Cuadrado e Dani Alves, colui che ci stava lanciando avanti nello spazio-tempo, messo come ala.
E invece ora non smettiamo di stropicciarci gli occhi. Non sono schemi, automatismi, non è il taglio classico o la palla che esce ed entra, non sono sovrapposizioni pre-ordinate, non è divisione scientifica ed esagonale intorno a chi ha il possesso palla, né lo scambio rapido di posizioni, né il corridoio pre-determinato per la mezz’ala, non è tiki-taka per occupare spazi avanti e riaggredire, né verticalità ossessiva, non è roba che si allena in 11 vs 0 né con droni o lavagnette: sono principi e connessioni, compiti e funzioni, struttura liquida e variazioni infinite, mentalità, conoscenza, competenza tattica acquisita e straordinaria tecnica personale.
A tutta questa Juve ci siamo preparati per anni, con lo schematismo contiano, la duttilità allegrista, quella esplosione che ci aveva portato subito ai vertici in Italia e quella scalata tortuosa e deludente ai vertici Europei. Scalata che ha avuto, nel primo anno di Allegri, un’accelerazione improvvisa, fortunosa e brusca, che abbiamo scontato l’anno successivo (nel confronto col Bayern di Guardiola), comprendendo di essere in realtà molto indietro, non solo nella rosa, ma soprattutto nella testa, qualità e capacità di indossarlo l’abito tattico buono fatto di possesso, dominio e controllo.
Ci siamo di nuovo inerpicati a livelli altissimi e rarefatti di gioco e propositività l’anno del 4231, prima di schiantarci a velocità pazzesca contro un muro Real che aveva un decennio di cabotaggio ai vertici alle spalle prima di poter praticare quel calcio liquido, scintillante, coraggioso e vorticoso.
Una macchina che andava a 300 all’ora perché ne aveva l’ardire ed il motore, ma con le gomme totalmente logore, la carrozzeria cascante e il serbatoio al lumicino: quella fu la sensazione della Juve di Cardiff, avevamo fatto il passo più lungo della gamba. Sensazione orribile di rinnovata impotenza dopo essersi sentiti ad un soffio dall’onnipotenza.
Adesso non è tempo di voli pindarici e dell’onnipotenza (almeno in Europa) ci importa il giusto. Dimostrare di aver trovato una propria dimensione di crescita, una specifica via per essere invincibili, anzi “vincenti”, in Europa, questo è quello che ci interesserà nei prossimi mesi.
Da quel 4231 con Bonucci-Alves-Pjanic a creare, Licht, Chiellini, Khedira e Mandzukic a lottare, Alex Sandro e Cuadrado e sgommare e Higuain e Dybala a finalizzare, ora abbiamo aggiunto un centrocampista e tolto una mezz’ala ma tutti avanzano, tutti creano, tutti riaggrediscono, con un’audacia nelle uscite (e fa niente se poi Bonucci sbaglia di mezzo metro e il Napoli ci buca) e una qualità inedita nelle connessioni e nei movimenti senza palla, dettati dalla conoscenza e non da spartiti che gli altri possono sbirciare e contrastare.
Avanti poi c’è LUI che, sulle prime pagine e sulla bocca di mezzo mondo, marchiato da un crimine atroce, non se ne sta in un angolo atterrito, come avremmo fatto tutti noi esseri umani (e magari anche qualche alieno tra Barcellona o Parigi), ma alza in modo robotico il suo livello di performance.
In panchina o tribuna ci sono poi il miglior marcatore dell’anno scorso (Benatia), uno degli uomini più imprevedibile degli ultimi 2 anni (Cuadrado), un centrocampista in doppia cifra l’anno scorso (Khedira) e, soprattutto, l’uomo più forte della Serie A 2017-18: Douglas Costa.
Il nuovo-vecchio -finalmente totale- calcio liquido di Allegri, la quintessenza a cui ci si è arrivati, pazientando o maledicendo, rassegnati o speranzosi, ora è qui: godiamocelo!
Sandro Scarpa.