Una intervista a Max Allegri, apparsa su Il Nuovo Calcio nel gennaio 2011, era stata riassunta in copertina con la frase non complichiamo il calcio. Questa affermazione, così apparentemente apodittica, voleva rappresentare il riassunto della filosofia calcistica del tecnico livornese. La recente intervista a GQ di marzo (in edicola in questi giorni) sembra confermare, ancora oggi, quelle parole ormai vecchie di cinque anni: “fanno tutti i professori, parlano di tattiche e schemi, ma la verità è che nel pallone non si inventa nulla dal ’92, dall’abolizione del passaggio indietro al portiere. Il resto sono puttanate.” Che si sia d’accordo o meno con questa tesi, da qui possiamo partire per tracciare un profilo dell’Allegri allenatore juventino. E, se fosse possibile riassumere il suo ideale calcistico in una sola parola, questa potrebbe essere semplicità. Come Guglielmo di Ockham, che con il suo rasoio invitava a non moltiplicare gli enti, anche Allegri non vuole complicare le cose ai suoi giocatori. Il suo è un calcio lineare, semplice… il che non vuol dire semplicistico, scolastico, accademico. Da Sassuolo, a Cagliari, al Milan fino alla recente avventura bianconera, il calcio di Allegri non era e non appare complesso e, forse, non finirà nei libri di storia come quello di un novello Rinus Michels né, probabilmente, avrà gli onori delle cronache come le elucubrazioni mentali e tattiche di un André Villas-Boas o di uno Jurgen Klopp (per non parlare degli arcinoti Pep Guardiola e Marcelo Bielsa).
Questo non significa che le idee di Allegri debbano passare come una meteora nel cielo della Serie A di questo secondo decennio del nuovo millennio. Uomo di scoglio, di quella Livorno che ha dato altri allenatori dalla scorza dura al calcio italiano (Armando Picchi, Mazzarri, Sonetti, Agroppi…con vari livelli di successo, ovviamente), Allegri ha infatti impostato la sua squadra secondo dei principi di gioco cartesianamente chiari ed evidenti. In possesso palla, la squadra deve andare a due velocità, deve cioè sapere quando accelerare e quando rallentare, quando forzare e quando gestire la palla per rifiatare. Anche le l’attenzione mediatica è stata diversa, perché il glamour dell’uomo è diverso, non siamo molto lontani dal resting with the ball di mourinhana memoria. Senza palla, Allegri vuole una Juventus corta e stretta, come si conviene ad una fase difensiva degna di questo nome, con gli attaccanti che aiutino in fase difensiva. Il punto di riferimento della sua fase difensiva è l’uomo. La posizione della palla, certo, conta (si gioca a zona…) ma la difesa deve essere flessibile abbastanza da adeguarsi alle posizioni degli attaccanti avversari. Nulla di nuovo sotto il sole, si dirà. Certamente…ma Allegri è riuscito a far applicare bene questi concetti alla Juventus, a dare la sua impronta ad una squadra che, sotto la precedente gestione, viveva dell’impeto e della foga del suo allenatore, alla perenne ricerca della verticalità.
Ma la gestione Allegri va oltre la diversa impostazione data alla squadra. L’incidenza del tecnico toscano, infatti, si nota anche nella capacità di leggere la partita. A questo proposito, è interessante una statistica pubblicata dal sito whoscored.com, che mostra come le sostituzioni di Allegri abbiano inciso e non poco sull’andamento generale della Juventus 2015/16. In base a questa statistica, la Juventus è terza in Serie A, dietro Fiorentina e Lazio, per il numero di gol segnati dai sostituti, con ben 25 reti segnate. Il giocatore che ha maggiormente contribuito a questa statistica è Morata, con 5 gol segnati entrando a partita in corso, cui vanno aggiunti anche i 2 assist forniti dallo spagnolo. Importante anche il ruolo di Zaza con 3 gol segnati. In una stagione lunga come quella che deve affrontare una squadra impegnata in 38 partite di campionato, più quelle di Champions League e Coppa Italia, l’importanza di avere una panchina in grado di contribuire non è mai da sottovalutare. Chi segue la NBA conosce già l’importanza del sesto uomo e delle rotazioni a partita in corso. Anche nel calcio, avere una panchina lunga ed efficace può fare la differenza e consentire all’allenatore di effettuare un turn over vincente.
Detto questo, non bisogna sminuire l’aspetto dell’incidenza motivazionale garantito da Allegri nelle due stagioni alla guida di una squadra che tutti dicevano avesse perso la ‘fame’ di vittorie dopo i successi raggiunti nell’era Conte. Se, a suo tempo, si esaltò Capello per aver rivitalizzato gli Invincibili del Milan dopo la stagione vincente (ed estenuante) vissuta sotto Arrigo Sacchi a cavallo fra gli anni ‘80 e ‘90, non deve essere giudicato da meno il lavoro svolto, a livello psicologico, da Allegri nella Juventus. E questo non soltanto nella stagione scorsa quanto, soprattutto, in questa, cioè nell’anno seguente ad una vittoria in campionato e ad una finale di Champions League raggiunta. Se poi teniamo conto delle difficoltà che lo staff di Allegri ha dovuto superare per sostituire elementi chiave come Pirlo, Vidal e Tevez, in un campionato emozionante come non si vedeva da anni (con diverse squadre che si sono alternate al comando nel corso della stagione), il lavoro dei tecnici bianconeri dovrebbe essere ancor di più sottolineato. Dovrebbe perché, in verità, raramente si è trovata traccia sulla stampa nazionale dei dovuti riconoscimenti verso l’allenatore della Juventus.
Ultimo sguardo indietro a #JuveSassuolo. La magia di Paulo Dybala è inclusa…
Pubblicato da Juventus su Domenica 13 marzo 2016