Il gol di Kean, un po’ Weah, un po’ Higuain

Dove può arrivare Moise Kean neanche lui lo sa. Cosa può fare oggi, a ridosso dei quarti di finale di Champions e con una decina di partite vere nelle gambe in carriera, è sotto gli occhi di tutti: i gol, gli scatti in profondità, l’agilità (e un tocco di magia del momento) in area di rigore, qualche sponda, un buon lavoro d’appoggio sugli esterni allungando le difese avversarie nonché attaccare lo spazio.

Allegri non perde occasione per ricordare che si può fare ancora di più, che per comportarsi il percorso è lungo, che le ingenuità (perché è Kean, perché è più attaccabile di altri, perché non è ancora arrivato) vanno ridotte ai minimi termini. Lasciatemi però dire che ci sono giocatori e giocatori, non tutti uguali nelle loro parabole e nel loro modo di esplodere e esprimersi sul campo: intendo dire che ci sono calciatori che bruciano le tappe attraverso le ingenuità (che poi la lista di Kean sembra striminzita in questo senso) e altri che attraverso questa si bruciano.

Moise Kean rientra al momento in una categoria particolare, fatta quasi esclusivamente di attimi fuggenti, e in una realtà particolare, dove un gol ogni quaranta minuti può non bastare per entrare in campo sul 4-0 a favore. La mia verità di cui sopra è che di Kean la Juventus (e chiunque) deve assicurarsi gli anni migliori, che per prepotenza calcistica sono sicuramente questi a venire. Forse addirittura anche i mesi.

Dopo i 25, per esempio, gli attaccanti si trasformano: chi ha fatto tutto bene subito può perdersi come capitato a Adriano o a Mario Balotelli (pur con romanzi individuali che non si possono accostare), altri e spesso non la maggioranza riescono a imboccare l’evoluzione definitiva. Mi vengono in mente Didier Drogba o Samuel Eto’o (che la prima condizione la ha sfiorata). Non è ovviamente una questione che tocca solo i coloured, ma la semplificazione delle nostre categorie di ricordi ci porta qui.

 
Fino al gol partita in un Juve-Milan, che visto il gesto tecnico, allarga l’orizzonte dei paragoni legittimi perché il giornalismo calcistico funziona anche così: movimento a staccarsi dal marcatore allargandosi e in qualche modo fermandosi, vuole spazio per controllo e conclusione come lo voleva Gonzalo Higuain, ma il destro collo piede in estensione (controintuitivo anche per Reina, ragionando sulla posizione del corpo di Kean) è molto di George Weah. Il liberiano era potenza nella precisione.

Kean a questo punto deve migliorare sulla costanza, e questa fattore è giusto che Allegri lo reclami nel momento del potenziale bisogno. Giugno è lontano, Madrid è lontano, il contratto è nel cassetto di chi in campo – già a partire da Amsterdam – non ci andrà.

Luca Momblano.

Kean vs Dybala per prendersi la Juve

Il calcio vive di sue peculiarità e dogmi, che ogni anno, giorno, ora o minuto si rinnovano. Uno di questi è sicuramente il “dualismo“, che ha forgiato anni e anni di storia del calcio. Limitandoci al nostro, si ricordano la famosa staffetta Mazzola-Rivera al mondiale del 70, o i più recenti Del Piero-Baggio o Del Piero-Totti.

La concorrenza è il sale della competizione, e spesso stimola i giocatori a dare sempre di più; in altri casi invece abbatte uno dei contendenti, e da lì si capisce di che pasta possa essere fatto un calciatore. Nel calcio esistono poi, soprattutto, le gerarchie, e nella Juve di questa stagione sono sempre state chiare, soprattutto in due elementi; Cristiano Ronaldo e Mario Mandzukic (con tutto ciò che ne concerne); poi, vi è stato un via vai per l’occupazione del terzo posto del tridente; Douglas Costa si è autoeliminato (in compartecipazione con la sfiga), Juan Cuadrado ha lasciato il ginocchio nel ghiacciaio di Berna. Un altro “Berna“, Federico, invece ha convissuto con i soliti alti (in certi casi altissimi) e bassi. Paulo Dybala è quello che ha resistito di più, giocando un primo spezzone di stagione da titolare fisso (in ruoli diversi), condito da gol pesanti e prestazioni di sacrificio. Il prosieguo della stagione ha visto però un progressivo calo prestazionale, fisico e attitudinale dell’asso argentino, con tutto il contorno di discussioni sul suo rapporto con Massimiliano Allegri.

Il dualismo tra Paulo e Moise Kean nasce dal nulla, in una notte di inizio marzo, in un Juventus-Udinese di contorno di una stagione cui di lì a pochi giorni, la sfida contro l’Atletico, avrebbe potenzialmente potuto decretare la fine prematura. La dirompenza con cui Kean (a gennaio messo quasi all’uscio) si è preso la scena e ha scalato, appunto, le gerarchie, ha dapprima sorpreso Allegri, il quale ha cominciato un processo, forse eccessivo, di normalizzazione del ragazzo. Timori probabilmente giustificati (il tecnico toscano ai tempi del Milan ha vissuto situazioni potenzialmente simili, vedasi il famoso “trio delle creste“), e che fanno parte del suo modo di gestire i giovani.

La crescita di Kean, i cui numeri attuali sono pleonastici da snocciolare, è coincisa quindi con la “depressione” di Dybala. Tra problemi fisici e problemi tattici, l’ex enfant prodige si è perso, confermando un trend di discontinuità che oramai dura da due stagioni, contraddistinte da soventi cali emotivi, nonostante l’affetto e l’appoggio del pubblico bianconero non gli siano mai mancati.

Al momento dell’infortunio di Ronaldo, il pensiero è andato subito a lui: “per dare un senso alla propria stagione, contro l’Ajax potrebbe essere la sua partita”. Ma la settimana dopo la sosta ha ribadito il valore, e il momento magico, del nazionale italiano (che anche in maglia azzurra aveva provveduto ad abbattere altri record); Ronaldo andrà ad Amsterdam, non si sa ancora se da titolare o da probabile subentrante, e il buco lasciato dal portoghese sarà occupato da uno tra l’italiano e l’argentino; può essere che prevalga l’anzianità del numero 10, ma la notizia è che, da oggi, entrambi avrebbero le stesse possibilità di partire titolari.

Ma c’è anche un’altra ipotesi affascinante: se giocassero assieme? Della possibile intesa tra i due ancora non sappiamo nulla. E se rinvigorisse lo spirito dello stesso Dybala? Una possibilità che certifica la vera forza dell’attuale Juve, ovvero la possibilità di poter sfruttare, grazie alla profondità della rosa, ogni evenienza per creare qualcosa di nuovo ed efficacie.

La palla, dunque, passa a Massimiliano Allegri.

Michael Crisci.