Il giorno in cui stanno per compilare i calendari di Premier League c’è una sola grande curiosità: quando si affronteranno le due super squadre di Manchester, allenate quest’anno dai due più famosi allenatori del mondo, protagonisti di una rivalità già leggendaria?
Il responso è da brividi: sabato 10 settembre. Praticamente subito. Per di più a ora di pranzo, quindi ancor prima di subito, non bisogna neanche aspettare la sera. Se ne parla ovunque. Perfino da noi, solitamente piuttosto provinciali, convinti che il nostro campionato sia sempre il più difficile – se non più il migliore – del mondo, se ne discute da giorni. Mourinho contro Guardiola. Paolo Condò dedica alla loro sfida un libro (“I duellanti”, Baldini e Castoldi editore) e, alla presentazione romana cui assisto pochi giorni prima, siamo in tanti a chiederci “stavolta chi vincerà?”. Condò risponde: al di là del match di sabato, lo United è più un instant team, ma negli anni prevarrà Guardiola. Qualcuno concorda, altri meno, ma è già un evento, che a Roma ci sia una sala piena per parlare di calcio inglese, di allenatori portoghesi e spagnoli, finalmente fuori dal nostro orticello moviolaro e complottista.
In tanti si organizzano fregandosene del pranzo al mare: questo weekend, La Partita è quella, a Manchester, alle nostre 13.30.
Tutto questo da noi. Figuriamoci là. Immaginiamo solo l’atmosfera di una città, di un Paese intero, per due squadre, due mondi così diversi e rivali che si affrontano. Gli uni con Mourinho, Ibra e Pogba. Gli altri con tanti campioni – attuali o futuri -, Guardiola e soprattutto il suo gioco.
Entrambe le squadre, come prevedibile, arrivano al match a punteggio pieno. Chi vince stacca l’altro, rende i rivali più insicuri e spaventati, dà un bello scossone al campionato, staccandosi già di tre punti in un torneo che verosimilmente si deciderà per dettagli.
Il City ha Aguero squalificato a causa della prova tv (da noi basterebbe questo, per una bella preparazione velenosa della sfida), ma comincia all’assalto, dominando i primi minuti e andando in vantaggio.
Poi, al 23esimo, Nolito si accentra da sinistra, serve Sterling che sposta il pallone, si invola in area e incoccia in pieno il corpo di Blind, che non si è neanche accorto che il pallone gli sia sfilato a fianco.
Sterling cade e non può proseguire la sua azione, lo United rinvia, l’arbitro fa cenno di proseguire, i cronisti italiani parlano di normale “body check”, non protesta nessuno, l’attaccante del City si rialza, i suoi compagni sono già impegnati a recuperare il pallone, c’è una partita da vincere e – a quanto pare – tengono più alla vittoria sul campo che a quella delle lagne in tv negli anni a venire.
Non ci crederete, ma dalla panchina non entra in campo furioso l’allenatore, i suoi giocatori seduti in panchina sono immobili, la sua squadra continua a giocare meglio dell’altra e – udite udite – vince, nonostante quel presunto fallo da rigore non sanzionato. In tv, la sera, l’episodio non esiste. Sui giornali inglesi del giorno dopo, neanche una riga. In Italia ancora meno, anzi, meglio passare oltre e non soffermarcisi.
Perché altrimenti si correrebbe il rischio di svelare il più grande bluff degli ultimi 20 anni di calcio italiano, quello che più di tutti ha contribuito a creare leggende e a formare un sentimento. E – attenzione – qui non facciamo moviola: lo diciamo da sempre, gli arbitri sbagliano e la cosa non ci interessa. Forse ha sbagliato Clattenburg, o magari l’errore fu di Ceccarini.
Come ricordiamo spesso, i telecronisti di quello Juventus-Inter, non proprio tacciabili di juventinità (Marianella e Chiesa) ebbero la stessa identica reazione di quelli che hanno commentato il derby di Manchester. Un body check, si va avanti. La vergogna, per loro, in diretta, fu la reazione indecente, l’invasione di campo (sull’azione seguente fu assegnato un rigore nettissimo alla Juve, peraltro poi sbagliato da Del Piero), la perdita di nervi dell’allenatore e dei suoi collaboratori e giocatori.
Per 20 anni, quell’episodio (con l’Inter già sotto in classifica e nel risultato di quella partita) rimarrà il caposaldo delle ingiustizie in favore della Juve. Iuliano su Ronaldo, lo sanno pure i bambini. Perfino i tifosi di altre squadre, che lo hanno sentito dire talmente tante volte da convincersi sul serio che quel contatto non fischiato – fosse o meno da rigore – sia stato il più grande scandalo della storia del calcio, a vantaggio dei soliti noti e a danno della povera Inter, ricompensata anni dopo – lo dicono tanti interisti, eh, mica io – con uno scudetto a tavolino non meritato. “Lo considero una ricompensa per quel rigore, quindi me lo tengo stretto”.
Questa settimana, da noi, come in ogni vigilia di Inter-Juve, intervisteranno quell’allenatore che diede di matto. No, non per chiedergli coma mai si comportò in quel modo, se col tempo si è pentito, se fu fregato dalla tensione del momento. Gli chiederanno, glielo hanno sempre chiesto da allora, se ritiene che quella ingiustizia gli abbia rovinato la carriera. Lui risponderà con voce rotta dal dispiacere, dirà che vuole passarci sopra, ma certo non è facile, uno scudetto andato via così (con quel rigore, evidentemente, avrebbe fatto due gol e più punti nelle partite successive). Intervisteranno l’arbitro di quell’incontro, il buon Ceccarini, il quale dirà che per lui non è fallo.
Ora, io non sono un esperto di calcio inglese, ma chi conosce il football di quelle parti sostiene che se tra 18 anni andassi là non tanto da Clattenburg o da Guardiola (non ambisco a tanto) ma da un qualunque tifoso del City a ricordargli “quella ingiustizia nel derby del 2016, dai, ti ricordi? Quel fallaccio di Blind, con Sterling che si stava involando in area, l’arbitro che fa proseguire, voi danneggiati ma alla fine riuscite a vincere lo stesso?”, lui mi guarderebbe sconvolto, mi chiederebbe di riguardare l’episodio – sai, un vuoto di memoria, è passato tanto tempo -, io glielo mostrerei con i potenti mezzi di cui disporremo nel 2034 e lui lo guarderebbe, riguarderebbe e poi, con tutta la calma, allontanandosi con una scusa, gli vedrei fare una telefonata, passerebbe qualche minuto, lui mi terrebbe calmo, mentre io sentirei avvicinarsi a me una sirena, più forte di secondo in secondo.
Massimo Zampini